Interni
La legge e gli ogm
Ad aprile il giudizio del Tar del Lazio sul ricorso promosso da Giorgio Fidenato, che aveva piantato mais Monsanto a Pordenone —
La sentenza è attesa per il 9 aprile. Il Tar del Lazio deciderà sulla conformità del decreto interministeriale che lo scorso luglio ha vietato per 18 mesi, fino al dicembre 2014, e fino all’adozione delle misure previste dal regolamento comunitario 178/2002 sulla sicurezza alimentare, la coltivazione sul territorio italiano del Mon810. Prodotto dalla Monsanto, è l’unico mais geneticamente modificato, autorizzato nell’Unione europea, dal 1998, e nel 2012 è stato coltivato su 130mila ettari di 5 Paesi: Spagna (116mila ettari), Portogallo, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia. Il ricorso è stato presentato da Giorgo Fidenato, imprenditore agricolo friulano che dalla primavera 2010 ha iniziato a coltivare mais Mon810 su un campo di Vivaro (Pordenone). Quella di aprile è una scadenza fondamentale: la decisione del Tar, proprio in periodo di semine, sarà cruciale per la diffusione o meno degli ogm. “In caso di accoglimento si spalancheranno le porte agli ogm, in tutta Italia, perciò è meglio garantirsi in anticipo”, ha commentato i primi di gennaio il vicepresidente del Friuli-Venezia Giulia e assessore alle Risorse agricole, Sergio Bolzonello, dando inizio a una serie di consultazioni per l’approvazione del “Regolamento regionale sulla coesistenza tra ogm e colture convenzionali e biologiche”. Dopo l’approvazione nel giugno 2013 di alcune misure restrittive alla legge regionale 5/2011 (“Disposizioni relative all’impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura”), l’adozione di questo regolamento -primo caso in Italia- vuole essere un altro passo per minimizzare il rischio della diffusione degli ogm. Il nuovo regolamento dovrebbe prevedere, tra l’altro, la partecipazione ad attività formative (almeno 8 ore, per un attestato valido 3 anni) quale requisito per poter coltivare varietà ogm e introduzione una tariffa annuale di 50 euro per ettaro da versare all’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale (Ersa) a copertura dei costi tecnici. Nel caso del mais, sarebbero previste delle prescrizioni lungo tutta la filiera produttiva, per scongiurare il rischio di contaminazioni, con sanzioni da un minimo di 5mila a un massimo di 50mila euro. Chi coltiva mais ogm dovrebbe inoltre rispettare una distanza di 500 metri dagli altri campi, più una zona cuscinetto di 250 metri. Alle consultazioni in Regione hanno partecipato anche le associazioni dei produttori biologici e ambientaliste –Aiab, Aprobio, Isde, Wwf e Legambiente-, critiche poiché ritengono “tecnicamente impossibile la coesistenza tra agricoltura tradizionale e di qualità e quella transgenica”. La loro richiesta è “una moratoria delle semine ogm per il 2014”, a difesa delle “poche forme di agricoltura redditizia che si stanno sviluppando in Regione e che sono le uniche capaci di futuro”. Guarda all’agricoltura biologica e naturale anche il “Coordinamento no ogm”, nato da alcuni mesi, che riunisce agricoltori, gruppi d’acquisto solidale e comitati impegnati per la salvaguardia della biodiversità in Italia. A oggi hanno aderito una trentina di associazioni attive soprattutto tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ma anche alcune realtà nazionali, come Civiltà contadina, Wwoof Italia e Genuino Clandestino: la lista completa e gli aggiornamenti sono disponibili sul blog di Coltivare condividendo, che aderisce al coordinamento (coltivarcondividendo.blogspot.it). —