Ambiente / Opinioni
La “Direttiva Salvini” ignora i dati sulla sicurezza stradale
In Europa le “zone 30” riducono il numero di morti per incidente. Invece di favorirle il ceto politico le ostacola. La rubrica di Stefano Caserini
Un altro esempio del degrado istituzionale in corso in Italia arriva dalla cosiddetta “Direttiva Salvini”, con cui il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti cerca di ostacolare l’introduzione del limite di 30 chilometri orari nelle strade urbane.
Le “zone 30”, aree delle città in cui la velocità massima viene ridotta rispetto ai 50 chilometri orari, vengono realizzate in Italia fin dal 1995 per motivi spiegati chiaramente dagli esperti di mobilità. La mortalità per un pedone passa da oltre il 50% in caso di impatto con un veicolo che viaggia a 50 chilometri all’ora a meno del 10% se la velocità scende a 30. Nelle città in cui questo limite è stato introdotto si è verificata una riduzione consistente delle morti in strada.
Le “zone 30” sono diffuse da tempo in molte città europee, come ha scritto anche Altreconomia. Bologna, dopo un lavoro approfondito e ben strutturato, ha introdotto una soluzione molto avanzata in cui il limite di 30 chilometri orari è stato applicato a larga parte del reticolo stradale, escludendo i principali assi di scorrimento. Ma soprattutto ha iniziato a sanzionare chi non rispettava i limiti.
Il polverone montato dal centrodestra per opporsi alle “zone 30” ricorda le tecniche usate per impedire o annacquare le politiche contro il cambiamento climatico, per la difesa dell’ambiente e della biodiversità. Le accuse sono le solite (essere elitari, non pensare a chi deve lavorare e così via) senza alcun confronto nel merito, su dati e strategie.
Salvini ha attaccato la scelta di Bologna e del suo sindaco di centrosinistra, Matteo Lepore, sostenendo che la scelta del nuovo limite sarebbe stata giustificata con il fatto che “così i cittadini potranno sentire il canto degli uccellini”.
I morti nel 2022 a seguito di una collisione stradale sono stati 3.159 in aumento del 9% rispetto all’anno precedente
Lo spunto è stata una singola frase contenuta in uno degli allegati della delibera che ha istituito le “zone 30”. Il grande lavoro di analisi e le motivazioni del provvedimento sono state ignorate, per dare spazio a un argomento secondario su cui costruire una narrazione tossica. Atteggiamenti che ti aspetteresti da un consigliere comunale di un paesello, non da un ministro della Repubblica.
La “Direttiva Salvini” ha aggiunto confusione e si tradurrà in un maggiore carico burocratico per i Comuni, che dovranno riportare in modo dettagliato i motivi delle limitazioni strada per strada. Burocrazia e centralismo per ricavarsi un po’ di spazio politico.
E sì che i dati sono chiari: negli ultimi anni i progressi compiuti per ridurre il tasso di mortalità stradale si sono arrestati e l’obiettivo di dimezzare il numero delle vittime tra il 2010 e il 2020 non è stato raggiunto. Molte misure adottate e il miglioramento dei veicoli hanno incrementato la sicurezza degli automobilisti a scapito di ciclisti e pedoni. E poi ci sono i cellulari, potentissimi nell’attrarre l’attenzione di chi si trova al volante. L’eccesso di velocità è un fattore chiave in circa il 30% degli incidenti mortali e un aggravante nella maggior parte dei sinistri. E poco importa se i tempi di percorrenza alla fine non aumentano in modo significativo: come mostrano i dati della Federazione italiana ambiente e bicicletta (Fiab), le velocità medie nelle nostre città già oggi sono spesso inferiori ai 30 chilometri all’ora.
La battaglia è simbolica e in fondo ha a che fare con il rifiuto del senso del limite. Anche in altri settori c’è un conflitto tra sicurezza e velocità: pensiamo ad esempio alla sicurezza sul lavoro. Se si abolissero le norme che la tutelano i cantieri procederebbero più veloci. Ma tutti -o quasi- troveremmo inaccettabile sostenere che la produttività non debba essere ridotta a causa delle norme sulla sicurezza del lavoro. E i morti sul lavoro in un anno sono “appena” un terzo delle oltre tremila vittime sulla strada.
Stefano Caserini è docente all’Università di Parma. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (People, 2022)
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