Economia / Opinioni
La cura fiscale che occorre (subito) all’Italia
La paralisi economica legata all’epidemia ha fatto crollare il gettito. Per evitare che la crisi fiscale diventi così ampia da generare rischi di bancarotta pubblica occorrono alcuni strumenti ormai indispensabili. Troppo facile gridare “meno tasse per tutti”. L’analisi di Alessandro Volpi
Il nostro Paese sta avvicinandosi sempre più ad una pesante crisi fiscale. I segnali in tal senso sono molteplici: la paralisi economica legata all’epidemia ha fatto crollare il gettito e, ancor peggio, ha eroso la base imponibile.
I provvedimenti presi dal Governo, pur necessari, hanno spostato numerose scadenze e hanno introdotto alcune cancellazioni di rate. Inoltre, da più parti si ipotizzano ulteriori crediti di imposta e ulteriori rinvii per dare sollievo al mondo delle imprese. Hanno pesato e stanno pesando, in particolare, il rinvio dei versamenti Iva e il loro calo dovuto alla compressione dei consumi, così come incidono la netta diminuzione dei versamenti dei contributi previdenziali e quella del prelievo fiscale sui giochi di azzardo, che ha sottratto all’Erario in pochi mesi quasi due miliardi di euro, a dimostrazione di quanto sia diffusa questa pessima pratica, spesso espressione di una vera e propria ludopatia.
Più in generale, i primi quattro mesi del 2020 hanno registrato entrate fiscali per soli 123 miliardi di euro; un dato che se proiettato sull’intero anno –una proiezione peraltro assai difficile da fare ora– comporterebbe una perdita di quasi 100 miliardi di euro rispetto alle entrate tributarie erariali del 2019, in linea invece con le annate precedenti. Ciò significa il concreto ritorno di un disavanzo primario e di problemi di cassa per amministrazioni centrali ed enti locali; nel caso degli enti locali infatti è molto complesso prevedere quale sarà la morosità dei contribuenti e a quanto ammonterà il minor gettito legato al minor utilizzo di una serie di servizi, a cominciare dai trasporti. Inoltre situazioni simili di incertezza possono generare una sempre più marcata distanza fra i bilanci pubblici di competenza, in cui sono iscritte le cifre che si pensava di incassare, e i bilanci di cassa, dove compaiono quelle realmente incassate; un pericolo non banale per la contabilità pubblica e per la tenuta degli enti locali.
A tutto ciò si sta supplendo, quasi unicamente, con un forte aumento dell’indebitamento pubblico, anche per evitare il peggioramento dell’indebitamento privato, ma si tratta di un meccanismo che presenta un chiaro limite, al di là dell’aumento del debito in se stesso: sempre più in Italia attraverso l’indebitamento, che dovrebbe finanziarie gli investimenti, si coprono le necessità della spesa corrente, a cui dovrebbe provvedere invece il sistema fiscale, con effetti certo non positivi sul versante dalla produttività e della ripresa economica.
Per evitare che questa crisi fiscale diventi così ampia da generare rischi di bancarotta pubblica occorrono alcuni strumenti ormai indispensabili.
Serve un fisco europeo che “garantisca” e copra il debito pubblico, mutualizzato o nazionale, e che si basi su una minimun tax, ben poco “minima”, contro il dumping fiscale, su un appesantimento della tassazione sulle rendite finanziarie, a livello europeo, su una digital tax, in grado di far pagare ai colossi della Rete imposte coerenti con i loro fatturati nei vari Paesi, e su alcune non rinviabili imposte ambientali.
Nella sostanza un pacchetto di misure che l’Unione europea dovrebbe assumere sostituendosi in parte ai singoli Stati proprio perché solo a livello europeo tale imposizione può avere efficacia. In tal modo si originerebbe un primo, importante contributo al riequilibrio fiscale. Nel caso italiano, servono poi un Testo unico in materia fiscale, per superare le mille incomprensioni e le infinite farraginosità dei troppi tributi e per scrivere una vera riforma, dopo tanti anni, con cui ripristinare progressività, eliminando alcune aliquote “piatte” che costringono l’Irpef a sorreggere quasi per intero il carico fiscale.
Senza una riforma complessiva, che miri a definire in maniera organica il rapporto tra i vari cespiti e che metta mano alla giungla delle spesso immotivate deduzioni e delle detrazioni, ogni provvedimento in materia di fisco sarà confusamente inefficace. Peraltro, proprio la crisi epidemica sta peggiorando la condizione dell’Irpef perché ha accentuato la sua natura di pressoché unica imposta cardine dell’intero sistema fiscale: mentre nel caso degli altri tributi, come accennato, si è registrato un calo molto forte dei versamenti, l’Irpef ha retto, in questi mesi, con una leggera flessione del 2%, confermando la sperequazione fiscale evidente nel nostro Paese.
Serve poi in tale ottica inasprire l’imposta di successione, rispetto alla quale l’Italia è un vero paradiso fiscale, e serve una riduzione del numero delle aliquote Iva per spostare sulle cose una parte del carico che grava ora sulle persone e sul lavoro. Certo è più facile gridare a gran voce “meno tasse per tutti”, ma dovrebbe essere evidente che, se non si affronta seriamente il nodo fiscale, il rischio dell’estinzione delle risorse di cassa e poi del fallimento dello Stato per eccesso di spesa corrente non coperta da un sostenibile sistema fiscale appare molto vicino. Naturalmente, tutto ciò deve essere accompagnato da una dura lotta all’evasione e all’elusione fiscale, a partire da un ampio uso della tracciabilità per evitare le incredibili fughe di denaro alle Bahamas.
Università di Pisa
© riproduzione riservata