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Terra e cibo / Opinioni

La crisi ucraina e la minaccia all’agricoltura sostenibile

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Lo spettro di una crisi alimentare ha ridato voce a chi vuole aumentare a tutti i costi la produttività. L’Unione europea deve resistere. La rubrica a cura di Riccardo Bocci della Rete Semi Rurali

Tratto da Altreconomia 248 — Maggio 2022

Devo ammettere che per un po’ ci avevo creduto, avevo sperato che, finalmente, ci fosse una visione unanime sulle politiche agricole a livello europeo. Che le sudate strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità”, approvate dal Parlamento europeo, potessero diventare i paletti entro cui costruire i sistemi agricoli del futuro. Purtroppo mi sbagliavo. È bastata la paura della crisi alimentare dovuta alla guerra in Ucraina a riportare le lancette indietro di almeno dieci anni. In queste settimane, infatti, è stato un fiorire di voci e pareri su cosa occorre fare per risolvere il probabile futuro problema di approvvigionamento alimentare per l’Italia.Siamo stati tempestati di dati sulle nostre importazioni, sul fatto che non siamo autosufficienti per semi oleosi, cereali, mais e quant’altro, dimentichi che è il nostro sistema economico-politico che si è organizzato in questo modo. L’iperspecializzazione monocolturale in agricoltura ci ha portato ad abbandonare terre e colture dove non eravamo competitivi con altre aree del mondo. Niente di nuovo sotto il sole. 

Questi dati sono serviti a ridare fiato al paradigma modernizzatore e produttivista, che finora aveva male accettato le aperture degli ultimi anni a pratiche come biologico, biodinamico, permacoltura o banalmente l’agricoltura sostenibile. La logica che viene portata avanti è di una banalità imbarazzante nella sua incapacità di capire come funzionano i sistemi agricoli-alimentari: siamo dipendenti dall’esterno per i prodotti agricoli, quindi dobbiamo aumentare la produttività ad ettaro, rimettere in colture le terre a riposo, riconsiderare la strategia “Farm to Fork”, aumentare l’uso di fertilizzanti e mezzi chimici, in barba alle richieste di riduzione della strategia “Biodiversità”.

Questa ricetta, ovviamente, prevede anche una revisione completa dell’approccio precauzionale sul tema degli Ogm e delle nuove Tecnologie di miglioramento genetico (New breeding techniques, Nbt): basta con i lacci della politica e della burocrazia, dobbiamo aprire l’agricoltura europea agli Ogm americani, anche non autorizzati da noi, e promuovere l’uso delle future varietà Nbt. Queste sono, ad esempio, le indicazioni espresse nell’audizione alla Camera il 22 marzo scorso da parte del comitato tecnico-scientifico della casa editrice Edagricole e dall’Associazione italiana società scientifiche agrarie.

Nel 2020 la Commissione europea ha approvato la strategia “Farm to Fork” con l’obiettivo di rendere più sostenibile il sistema alimentare europeo

Stessa retorica ha animato lo scorso 27 marzo una pagina del supplemento culturale del Sole 24 Ore che, con perizia scientifica, ha cercato di dimostrare che non esistono tante agricolture, ma solo una: quella basata sulla scienza, ovviamente declinata al singolare perché un solo modello scientifico è riconosciuto. Il resto delle agricolture sono frivolezze da cittadini agiati che si possono permettere simili illusioni. Un’unica narrazione per convincere che non c’è più spazio per il dubbio, per sperimentare alternative al modello agricolo-industriale, per mettere definitivamente a tacere ogni discussione in nome dell’emergenza.

È come se il paradigma scientifico produttivista (sviluppatosi nel secondo dopoguerra e in questi anni sopraffatto da agricoltori, cittadini e politici che stanno cercando delle alternative) riprendesse fiato con una minaccia: finora vi siete permessi di giocare ad essere alternativi, olistici o sostenibili perché non c’era la crisi. Ora non possiamo più permettercelo. Non è neanche all’orizzonte l’eventualità che questa crisi sia anche frutto di quel modello industriale e che i cambiamenti climatici e i problemi ambientali sono i nuovi limiti dentro cui muoversi. Speriamo che l’Ue e la politica abbiano la forza e la visione necessarie per resistere a questa spallata.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola


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