Diritti / Opinioni
La cornice del razzismo
Torino e Firenze, nell’arco di una settimana, sono state teatro di due episodi di violenza contro comunità immigrate. La crisi economica esaspera una cultura comunque xenofoba. E non c’è da illudersi: passata l’indignazione per il pogrom di Torino e la strage di Firenze, la logica liberista, la cultura dell’efficienza, torneranno a dominare, causando nuove guerre ai poveri e nuove lotte fra poveri. A meno che non si cominci a ricostruire una cultura dei diritti e della solidarietà.
Nel 2007 Mihai Mircea Butcovan scrisse sul settimanale Internazionale una lettera aperta a un immaginario “cronista razzista”: “Sono stanco di inseguire gli articoli che contengono l’equazione rumeno/straniero=delinquente (dove la variabile straniero non è incognita, ma la soluzione di tutti i mali) per poi chiedere rettifiche che non arrivano mai. Allora per una volta protesto prima”. Butcovan, che è romeno e scrive i suoi libri in lingua italiana, chiedeva al suo ipotetico interlocutore di “non scrivere quell’articolo razzista. Così sapremo orientarci e capire se ‘da quindici anni in Italia’ è una grave malattia pregressa o un certificato di buona salute”.
L’articolo torna alla mente all’indomani del tentato pogrom di Torino, ossia l’incendio di un campo rom, nel quartiere delle Vallette, ad opera di un gruppo di cittadini staccatosi da una manifestazione -ufficialmente una “fiaccolata contro la violenza”- organizzata dopo la denuncia di una ragazzina del quartiere, che aveva detto d’essere stata violentata da due giovani rom. Il maggiore quotidiano locale –La Stampa– aveva riportato con grande enfasi la denuncia della ragazza, titolando così: “Mette in fuga i due rom che violentano la sorella”. Dopo l’assalto al campo, la ragazzina ha confessato di essersi inventata tutto. La Stampa, a quel punto, si è sentita in dovere di chiedere scusa: “Probabilmente -ha scritto Guido Tiberga- non avremmo mai scritto: mette in fuga due torinesi, due astigiani, due romani, due finlandesi. Ma sui rom siamo scivolati in un titolo razzista. Senza volerlo, certo, ma pur sempre razzista. Un titolo di cui oggi, a verità emersa, vogliamo chiedere scusa. Ai nostri lettori e soprattutto a noi stessi”. Non è frequente che un quotidiano chieda scusa per i propri errori, e tuttavia c’è poco da rallegrarsi. Butcovan, oltre quattro anni fa, indicava l’urgenza non di rettifiche e scuse, ma di un contributo del media “a costruire relazioni, non muri, comunità e non brutalità, umanità e non genocidio”. La protesta preventiva non è servita.
La “etnicizzazione del reato” è finita nel titolo, la denuncia non è stata trattata con la necessaria prudenza. Poi sono arrivate le scuse, tutt’altro che risolutive: Tiberga si è dimenticato di chiedere scusa al popolo rom e alle famiglie residenti nel campo delle Vallette. La vicenda torinese e i suoi risvolti giornalistici fanno capire quanto sia scesa in profondità la retorica razzista e xenofoba nel nostro Paese. Viviamo da molto tempo in una cornice culturale dominata dall’ideologia della paura e dell’esclusione. Pochi giorni dopo l’incendio delle Vallette, ecco la strage di Firenze: due cittadini senegalesi uccisi, tre feriti gravemente da un attivista di estrema destra.
Altre memorie affiorano alla mente. La prima: lo sciopero della fame attuato da un gruppo di ambulanti senegalesi, nel 1990, dopo la violenta aggressione subìta da alcuni di loro, al culmine di una forte polemica sul “degrado” cittadino causato dalla vendita per strada. Seguì una non dimenticata manifestazione antirazzista. La seconda: la celebre ordinanza contro i lavavetri dell’agosto 2007, un atto compiuto dall’assessore Graziano Cioni e dal sindaco Leonardo Domenici, che ha lasciato un segno profondo. Con un provvedimento di modesto rilievo pratico (si trattava di una trentina di persone attive in pochi incroci cittadini), si lanciava un messaggio di forte impatto simbolico e politico, che sanciva l’abbandono della cultura solidale ed egualitaria e l’approdo all’ideologia della legalità formale, priva di connotazioni sociali. L’ordinanza sui lavavetri segnò un punto di svolta: fu imitata in tutt’Italia e a Firenze è stata recepita nello statuto comunale ed estesa ad ulteriori fattispecie (musica di strada, richieste d’elemosina) dal nuovo sindaco, un personaggio che sta cercando spazio sulla scena politica nazionale alzando la bandiera del ricambio delle classi dirigenti, della gioventù anagrafica, del liberismo autoritario corrente.
Non serve chiedersi se Torino, o Firenze, o altre città siano razziste o meno: “Nessuna città lo è”, scrive Giuseppe Faso sul sito “Giornalisti contro il razzismo” (www.giornalismi.info/mediarom/). Gli episodi di violenza razzista, però, hanno a che fare con la cornice culturale del momento. E non c’è da illudersi: passata l’indignazione per il pogrom di Torino e la strage di Firenze, la logica liberista, la cultura dell’efficienza, torneranno a dominare, causando nuove guerre ai poveri e nuove lotte fra poveri. A meno che non si cominci a ricostruire una cultura dei diritti e della solidarietà. Ma chi sa ancora davvero parlare di giustizia sociale, uguaglianza, pluralismo delle culture?