Esteri / Reportage
La causa del Nicaragua contro la Germania alla Corte dell’Aia per la sua complicità con Israele
Nell’udienza cautelare dell’8 aprile gli avvocati di Managua hanno chiesto alla Corte delle Nazioni Unite di ordinare a Berlino il blocco degli aiuti, specie militari, verso Tel Aviv, e la revoca della sospensione dei finanziamenti all’Unrwa. Un altro caso di scuola che può rappresentare un precedente. Soprattutto per l’Italia, terzo esportatore di armi verso Israele
Il Nicaragua ha portato la Germania davanti alla Corte internazionale di giustizia all’Aia accusandola di complicità nel genocidio commesso contro la popolazione palestinese di Gaza per via del supporto militare garantito a Israele da Berlino anche dopo il 7 ottobre 2023. Nell’udienza per le misure cautelari dell’8 aprile -che Altreconomia ha potuto seguire direttamente- gli avvocati del Nicaragua hanno chiesto alla Corte delle Nazioni Unite di ordinare alla Germania il blocco degli aiuti, specialmente militari, verso Israele, e la revoca della decisione di sospendere i finanziamenti all’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente. Secondo il Nicaragua, infatti, in questo modo la Germania starebbe violando la Convenzione sul genocidio del 1948 e le norme di diritto internazionale umanitario delle Convenzioni di Ginevra e di diritto internazionale consuetudinario.
“In Palestina si stanno verificando gravi violazioni”, ha detto in Corte l’agente e ambasciatore del Nicaragua nei Paesi Bassi, Carlos Jose Arguello Gomez. In questa situazione, tutti gli Stati hanno degli obblighi, ha aggiunto. Quello cioè di far del loro meglio per garantire il rispetto delle norme del diritto internazionale e non favorire con aiuti e assistenza chi porta avanti queste infrazioni. “La Germania ha violato questi obblighi”.
Parlando ai giornalisti dopo l’udienza, un delegato dello Stato palestinese ha espresso il suo sostegno al caso del Nicaragua: “È un segnale che il diritto internazionale rimane importante”. A far da sottofondo alle sue parole erano gli interventi dei manifestanti pro-Palestina radunati fuori dai cancelli del Palazzo della Pace, la sede della Corte.
La Germania è uno degli alleati principali di Israele. Dopo gli Stati Uniti, è il secondo Stato per esportazioni militari verso Israele. Per il ministero dell’Economia tedesco, nel 2023 la Germania avrebbe approvato esportazioni di armi verso Israele per 326,5 milioni di euro, dieci volte di più rispetto all’anno precedente, fornendo così il 30% delle armi dell’esercito israeliano.
“È la prima volta che uno Stato viene citato in giudizio autonomamente per il supporto offerto a un altro Stato”, spiega ad Altreconomia Marco Longobardo, professore associato di Diritto internazionale presso l’Università di Westminster a Londra. Dal punto di vista legale questo è un passaggio importante, aggiunge. Infatti la Corte internazionale di giustizia non può decidere su un caso quando “la parte di cui i diritti sono direttamente toccati non partecipa”. In questo caso Israele. In risposta, gli avvocati del Nicaragua hanno ribadito la responsabilità autonoma della Germania nell’invio di armi e nella mancata prevenzione delle violazioni in corso a Gaza.
Il 9 aprile la Germania ha portato le sue argomentazioni davanti ai 16 giudici della Corte, 15 ordinari e uno nominato ad hoc dal Nicaragua. “La Germania sta facendo del suo meglio per essere all’altezza delle sue responsabilità nei confronti del popolo israeliano e di quello palestinese”, ha spiegato l’agente tedesca, Tania von Uslar-Gleichen.
Von Uslar-Gleichen ha respinto tutte le accuse e dichiarato che il Nicaragua avrebbe assunto una “visione unilaterale del conflitto”. Ha poi menzionato la Shoah: “La nostra storia è la ragione per cui la sicurezza di Israele è stata al centro della politica estera tedesca”. Ma la posizione tedesca a Gaza rimane sempre “definita dal diritto internazionale”, ha aggiunto l’avvocata tedesca.
Nei mesi scorsi sia a Berlino sia in altre piazze europee si sono registrate numerose proteste da parte della società civile per gli aiuti militari a Tel Aviv e le oltre 33mila vittime palestinesi accertate nell’assalto militare israeliano. Il 3 aprile più di 600 giuristi inglesi hanno mandato una lettera al governo del Regno Unito, segnalando che l’esecutivo Sunak starebbe violando il diritto internazionale continuando ad armare Israele. Qualche giorno dopo un numero simile di funzionari statali tedeschi ha scritto al cancelliere Olaf Scholz, chiedendo al governo di fermare immediatamente l’export.
Nella lettera si citava la decisione della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio nel caso del Sudafrica contro Israele per la violazione della Convenzione sul genocidio. I giudici avevano affermato che ci fosse un plausibile rischio di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza e avevano ordinato a Israele di prendere le misure necessarie a fermarlo. In una successiva decisione sul caso del 28 marzo, i giudici avevano ribadito poi l’urgenza della distribuzione di cibo e aiuti umanitari a fronte della “carestia in atto”. Sul caso portato dal Sudafrica si basa ora in parte quello del Nicaragua.
In Italia, contrariamente a quanto sostenuto dal Governo Meloni circa un generalizzato “blocco” delle forniture militari a Israele, i dati Istat citati dall’inchiesta di Altreconomia hanno mostrato come invece nell’ultimo trimestre 2023 il nostro Paese abbia esportato armi per oltre due milioni di euro. Per non parlare poi di materiale legato ai caccia utilizzati dalle forze aree per bombardare la Striscia.
Secondo Longobardo, già la decisione della Corte del 26 gennaio avrebbe dovuto rappresentare una bandiera rossa per l’export italiano. “A maggior ragione se la Corte troverà fondate le richieste del Nicaragua, l’Italia dovrebbe sospendere il trasferimento delle armi a Israele in quanto si configura un rischio sostanziale di violare le regole europee del 2008 e il Trattato internazionale sul commercio delle armi”.
Sempre l’8 aprile l’agente del Nicaragua Daniel Müller ha dichiarato che “la Germania non poteva non essere a conoscenza della probabilità che il suo sostegno -l’equipaggiamento militare e le armi da guerra- sarebbe stato usato da Israele per bombardare e uccidere migliaia di bambini, donne e uomini palestinesi”. Müller ha aggiunto che nonostante ciò l’export è continuato.
Su questo punto ha ribattuto l’agente della Germania, Christian Tams. L’esportazione di armi tedesco verso Tel Aviv avverrebbe in “un solido quadro giuridico che valuta le richieste di licenza di esportazione caso per caso e garantisce il rispetto della legge nazionale e degli obblighi internazionali”, come ha dichiarato, ricalcando la posizione assunta dal governo italiano in Senato dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Altreconomia.
Tams ha aggiunto che il 98% delle licenze concesse dopo il 7 ottobre non riguarderebbe armi da guerra ma altre attrezzature militari, come elmetti e materiale protettivo. Secondo Tams, tre delle quattro licenze per armi da guerra sono per materiale da addestramento. Sul valore dell’export ha aggiunto poi che oltre ai 203 milioni di euro stanziati a ottobre 2023, le cifre sono scese mese per mese: 24 milioni a novembre, 19 a dicembre, 8,5 a gennaio, 0,59 a febbraio e 1,06 marzo.
Il caso del Nicaragua verte anche su come la sospensione dei finanziamenti a Unrwa abbia violato il diritto internazionale. Il 27 gennaio, il giorno dopo le misure cautelari annunciate dalla Corte contro Israele, Tel Aviv ha pubblicato un rapporto secondo cui 12 dei 13mila membri dello staff dell’Agenzia a Gaza avrebbero preso parte agli attacchi del 7 ottobre. In risposta, la Germania e molti altri Paesi, hanno congelato i finanziamenti all’organizzazione. Solo qualche settimana fa Berlino ha riesumato il suo supporto alle attività regionali dell’Unrwa in Giordania, Libano, Siria e Cisgiordania, ma appunto non a Gaza.
Von Uslar-Gleichen ha dichiarato che, nonostante questa sospensione temporanea dei fondi, la Germania resta il primo Paese al mondo per finanziamenti all’assistenza umanitaria al popolo palestinese, attraverso varie organizzazioni come il World Food Programme. Durante l’udienza, gli avvocati di Berlino hanno aggiunto che lo Stato ha partecipato con 12,5 milioni di euro ai 50 milioni di euro sbloccati dall’Unione europea per l’Unrwa a marzo di quest’anno.
Oltre alla Germania, il Nicaragua ha “citato” anche Regno Unito, Canada e Stati Uniti. Mentre per gli Usa non sussiste la giurisdizione necessaria a portare avanti il caso, per Regno Unito e Canada sì, anche se l’iter richiede almeno sei mesi prima di muovere qualsiasi passo in Corte.
“Si sta vedendo negli ultimi anni il fenomeno di una grande centralità della Corte internazionale di giustizia nel discutere temi caldi, soprattutto conflitti armati”, osserva ancora Longobardo, menzionando i casi di Ucraina e Russia, Azerbaigian e Armenia e, da ultimo, quello di Israele e Palestina. La Corte avrebbe anche aperto sempre di più alla possibilità per Stati non direttamente interessati di portare a giudizio i responsabili di violazioni delle “convenzioni chiave”, proprio come quella contro il genocidio. E il fatto che Nicaragua e Sudafrica stiano portando davanti ai giudici Stati come Germania e Israele segnala anche una certa “fiducia nella Corte da parte di Stati del Sud globale”, conclude Longobardo.
La decisione sulle misure cautelari è attesa tra qualche settimana. La Corte può indicare misure diverse da quelle richieste o può rifiutare di ordinare misure provvisorie. Una possibile decisione finale sulle contestazioni del Nicaragua potrebbe invece richiedere anni.
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