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Esteri / Attualità

“Che cosa comporta la nostra vittoria contro il governo olandese per le armi a Israele”

Un F-35 in volo © unsplash

Il 12 febbraio il Tribunale d’appello dell’Aia ha ordinato all’esecutivo lo stop all’invio di parti dei caccia F-35 a Tel Aviv a fronte del serio rischio che queste contribuiscano alla strage in corso a Gaza. Frank Slijper della Ong PAX, tra i promotori della causa, spiega ragioni e conseguenze di una decisione storica che riguarda anche l’Italia

“Gli effetti di questo verdetto si ripercuotono su tutti i Paesi che hanno a che fare con gli F-35 e con il trasferimento di armi a Israele”. Frank Slijper, che lavora presso PAX, la principale organizzazione olandese per la pace, commenta con emozione ad Altreconomia la vittoria nel processo contro lo Stato dei Paesi Bassi. Lunedì 12 febbraio il tribunale olandese ha infatti ordinato al governo lo stop all’invio di parti degli aerei militari F-35 verso Israele, a fronte di un serio rischio che queste contribuiscano alle violazioni dei diritti umani commesse a Gaza.

Slijper dirige il progetto sul monitoraggio e l’implementazione delle regole internazionali nel commercio di armi presso PAX. “Questo verdetto rappresenta un precedente per l’export di armi dai Paesi Bassi ma anche un segnale che i trattati internazionali vanno rispettati -aggiunge-. Le argomentazioni dei giudici potrebbero esser usate anche in altri Paesi europei e questo rende la sentenza particolarmente significativa”. A vincere il caso sono le organizzazioni dei diritti umani Oxfam Novib, PAX, e The Rights Forum, che hanno portato il governo olandese a processo con l’accusa di complicità nei crimini di guerra di Israele. La decisione è stata pronunciata dal giudice del Tribunale d’appello dell’Aia Bas Boele, che ha dichiarato che “esiste un chiaro rischio che le parti di F-35 da esportare in Israele vengano utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario”.

Il giudice ha menzionato il “gran numero di vittime civili, tra cui migliaia di bambini”, gli edifici distrutti, l’uso di “bombe stupide” (così vengono chiamate quelle non guidate) e il bombardamento di ospedali. ”Non è plausibile che queste distruzioni siano state inflitte esclusivamente a obiettivi militari o che costituiscano ‘danni collaterali’ legittimi”. Per questo il giudice ha concluso che lo Stato abbia agito “illegalmente” nel continuare le esportazioni e ha dato al governo sette giorni di tempo per attuare lo stop.

“Siamo molto felici -dice Slijper-, non solo per il verdetto positivo ma perché il giudice si è pronunciato a nostro favore su ogni singolo punto”. Slijper racconta di una forte emozione al termine dell’udienza, nell’aula del tribunale gremita di pubblico e giornalisti internazionali. “Sono stati tre mesi di duro lavoro, soprattutto da parte dei nostri avvocati, quindi poi c’è l’emozione che viene fuori, così come le lacrime di felicità”.

La soddisfazione è condivisa da Dirk Jan Jalvingh, consulente per le politiche umanitarie di Oxfam Novib, che però esprime anche amarezza. “Ci sono voluti tre mesi e l’intervento di un tribunale per far fare al governo questo passo”, spiega. La decisione ribalta quella presa dal Tribunale civile dell’Aia lo scorso dicembre. Il giudice di prima istanza aveva infatti affermato che, nonostante il serio rischio di violazioni del diritto internazionale, il governo godesse di “un ampio grado di libertà” nelle decisioni sull’export militare. Il processo era stato intentato a novembre dalle tre organizzazioni, a seguito delle rivelazioni del quotidiano olandese NRC sulle esportazioni di parti di F-35 a Israele consentite dopo il 7 ottobre dal governo olandese, nonostante gli avvertimenti dei suoi stessi funzionari riguardo alle possibili violazioni in corso.

I Paesi Bassi ospitano un deposito regionale di F-35. I caccia sono di proprietà degli Stati Uniti ma dal 2019 la base aerea di Woensdrecht, nel Sud del Paese, funge da centro di distribuzione per i pezzi di ricambio. Le esportazioni sono regolamentate da una autorizzazione generale concessa nel 2016, che però può essere rivista all’occorrenza dal ministero degli Esteri.

I criteri contenuti nelle regole europee del 2008 e nel Trattato internazionale sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) sanciscono infatti che le esportazioni devono essere vietate se c’è il potenziale rischio che le armi siano utilizzate per commettere o facilitare una grave violazione del diritto internazionale. Del Trattato fanno parte 113 Paesi, tra cui tutta l’Unione europea. Gli Stati devono anche impegnarsi affinché vengano rispettati i principi della Convenzione di Ginevra e della Convenzione sul genocidio.

Frank Slijper dirige il progetto sul monitoraggio e l’implementazione delle regole internazionali nel commercio di armi presso PAX, la principale organizzazione olandese per la pace

Il peso della Convenzione di Ginevra è stato ribadito dal collegio di tre giudici, tra cui Boele, che hanno stilato la sentenza. I suoi principi hanno “un peso superiore” rispetto ai forti legami e agli interessi commerciali dei Paesi Bassi con gli Stati Uniti e Israele, argomentazione che gli avvocati dello Stato avevano sostenuto in appello. Il governo ha risposto che attuerà la sentenza del tribunale ma che intende fare ricorso in Cassazione che, come in Italia, esprime un giudizio di legittimità. Questo potrebbe richiedere mesi. “Spetta allo Stato definire la propria politica estera”, è stata la motivazione espressa dal ministero degli Esteri in un comunicato. Secondo Jalvingh questo ragionamento non regge: “Ci si avventura su un terreno pericoloso se si sostiene che gli obblighi del diritto internazionale sono una questione di prospettiva politica”.

Jalvingh riporta l’attenzione anche su quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza, dove tutti i suoi colleghi di Oxfam hanno perso qualcuno, chi per attacchi militari chi per malattie e fame. Aggiunge che questa decisione è stata accolta positivamente dai palestinesi, ma spera che possa fare “la differenza per le persone a Gaza”. Il 26 gennaio i giudici della Corte internazionale di giustizia hanno dichiarato che c’è un plausibile rischio di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza, nel caso del Sudafrica contro Israele. A seguire, due aziende tecnologiche giapponesi hanno tagliato i ponti con i partner israeliani e la regione belga della Vallonia ha smesso di rilasciare licenze di esportazione di armi per Israele. Mentre ancora prima, a dicembre 2023, due organizzazioni per i diritti hanno presentato un ricorso all’Alta corte britannica per chiedere uno stop alle licenze per l’export militare dal Regno Unito a Israele.

In Italia c’è ancora poca chiarezza sulla questione. Il ministro della Difesa Guido Crosetto a novembre aveva annunciato la sospensione delle “vendite di armi a Israele” dopo il 7 ottobre. Ma il governo in realtà non ha mai chiarito se ad essere sospese fossero solo le nuove autorizzazioni o quelle già rilasciate. Due richieste di accesso a queste informazioni formulate da Altreconomia all’autorità preposta presso il ministero degli Esteri (Uama) sono state negate. Inoltre, a seguito della pubblicazione dell’articolo di Altreconomia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato pubblicamente “tutto ciò che è militare” sarebbe stato “fermato”. Ma mancano le prove.

Secondo Slijper, un problema per la trasparenza nell’export di armi è dato dal sistema delle autorizzazioni generali, proprio come quelle per le componenti di F-35. Mentre nei Paesi Bassi le altre autorizzazioni vanno rilasciate di volta in volta e ne viene data nota ogni due mesi, quelle generali necessitano solo di un’approvazione iniziale e i report di un anno vengono pubblicati solo nel settembre di quello successivo. Introdotte una decina di anni fa a livello dell’Unione europea per rendere l’export più agevole, le licenze generali si sono diffuse anche ai Paesi esterni e non membri della Nato, come Israele. “Certo -conclude Slijper- riducono gli oneri amministrativi per le aziende ma a costo della sicurezza delle persone”.

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