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Imparare a cucire e tornare a vivere. Le sarte che sfidano i Talebani

Un gruppo di ragazze e di donne ritratte all’interno di una scuola segreta di cucito e alfabetizzazione a Kabul, prima del ritorno al potere dei Talebani © Carla Dazzi

A Kabul e in diverse province dell’Afghanistan sono stati attivati corsi clandestini in cui le donne possono imparare un mestiere e, al tempo stesso, studiare. Una forma di resistenza che fa i conti con controlli invasivi

Tratto da Altreconomia 262 — Settembre 2023

Un ronzìo sommesso, ininterrotto, come un silenzio abitato. Le voci dei bambini seduti in braccio alle mamme. Le macchine da cucire non si fermano, le mani accompagnano la stoffa. Un breve momento di sollievo, di gioia perfino, per le donne dai 13 ai 60 anni che sono qui, sedute a terra, ognuna davanti al suo banchetto di legno. Le vediamo attraverso lo schermo del pc, la nostra finestra aperta sulle loro vite. Qualcuna alza la testa, qualche breve sorriso timido, altre si coprono con il chador colorato. I burqa e gli hijab neri sono appesi fuori come tanti impiccati, qui non servono. Siamo a Kabul, all’interno di una scuola di cucito e alfabetizzazione gestita da un’associazione di cui non possiamo fare il nome per motivi di sicurezza. Una scuola segreta, come tutto ciò che ancora vive in Afghanistan.

Le ragazze e le donne imparano a confezionare abiti, studiano il dari, la matematica, il disegno e l’arte. Per loro essere qui è una sfida quotidiana, un salto nel buio e nella speranza. Vengono a cucire la trama della loro resistenza all’oblìo, la vita sotterranea che ha ancora il sapore forte della scelta. Realizzano vestiti vivaci, riportano i colori nel mondo. Arrivare al corso è “la battaglia del mattino -come la definisce Sukria-. Quando attraverso quella porta e mi tolgo il burqa so che oggi ho vinto io, non loro. Ho conquistato un giorno nuovo. Posso respirare, imparare, esistere, stare con le altre, lavorare, condividere”.

Vestito nero fino ai piedi, hijab lungo dello stesso colore e mascherina, oggi è questo il protocollo. Solo gli occhi segnalano la vita. Ma non basta a proteggerle. Hanno paura, tutte, ma continuano a venire. La strada è una trappola: molte di loro non hanno nessuno che possa svolgere il ruolo del mahram (il parente di sesso maschile che deve accompagnare le donne negli spazi pubblici) e si mettono in cammino da sole, esponendosi al rischio di essere fermate dai Talebani, interrogate e persino picchiate perché non hanno con sé un uomo che le sorveglia. Qualsiasi sciocchezza può degenerare. Tornano in mente gli annunci della Corte suprema talebana sulle decine di donne lapidate per “comportamenti scorretti”, le frustate pubbliche, le torture. Sanno che potrebbero sparire e nessuno direbbe nulla. “Persecuzione di genere” l’hanno definita le Nazioni Unite in un rapporto ufficiale pubblicato lo scorso maggio in cui si parla apertamente di crimini contro l’umanità.

Ogni giorno, nelle moschee di tutto il Paese, la voce fanatica dei Talebani mette in guardia gli uomini: non devono lasciare che le loro mogli vadano a scuola o frequentino corsi di qualunque genere, perché imparano cose sbagliate e possono diventare indipendenti. La donna istruita li terrorizza. Potenzialmente ribelle.

Quando Sukria ha annunciato in famiglia il suo desiderio di seguire questo corso i cognati si sono opposti e hanno litigato violentemente col marito, che non è totalmente contrario, e lo hanno riempito di botte. Hassan, il marito, non può più lavorare e Sukria al corso può imparare un mestiere per portare a casa qualche soldo: la fame è la sua alleata. Tutti in famiglia avranno bisogno del suo denaro quando potrà vendere gli abiti. Così è riuscita a spuntarla. Adesso, ogni mattina, si prepara a fronteggiare l’esercito dei parenti maschi: minacce, ricatti, insulti. Il loro piccolo orgoglio ferito cerca sempre una scusa nuova per chiuderle quel breve tempo di libertà. “Non ci riusciranno. Quando chiudo la porta sulle loro parole cattive, sento la vita che scorre -racconta-. Penso alle mie amiche, alle mie insegnanti che mi stanno aspettando. Ce la farò, anche stamattina”.

“Se si chiudesse questo corso io soffocherei, sarei schiacciata dai miei problemi psichici. È la mia medicina: essere qui mi fa imparare un lavoro per vivere, certo, ma è molto di più, è tutta la mia vita” – Nooria

Fino a qualche tempo fa, proprio dietro il paravento dei corsi di cucito -attività confinata nelle mura domestiche e tollerata dai Talebani- le insegnanti potevano gestire corsi di alfabetizzazione, inglese e materie scientifiche. Ora anche i corsi di cucito sono caduti sotto la mannaia talebana e sono entrati in clandestinità.

Nooria ha più di sessant’anni, fa un po’ da nonna ai figli delle donne più giovani quando si stancano di stare in braccio alle mamme. Lei non si è mai sposata e vive con la madre: “Se si chiudesse questo corso io soffocherei, sarei schiacciata dai miei problemi psichici. È la mia medicina: essere qui mi fa imparare un lavoro per vivere, certo, ma è molto di più, è tutta la mia vita”. L’isolamento, la totale esclusione dalla vita sociale, la sparizione del futuro consumano la mente. I disturbi psichici aumentano, specialmente nelle giovani, crescono il numero dei suicidi e l’uso di droga. Su quattro milioni di tossicodipendenti, un milione sono donne. “Organizziamo scuole segrete in quattro province: Kabul, Farah, Kunduz e Jalalabad -ci dice la direttrice Nazifa-. Ricostruiscono la vita sociale scomparsa, danno la possibilità di lavorare da casa senza dover affrontare traumi, tengono occupate le mani e la mente e ridanno a queste ragazze la fiducia in se stesse”.

Quest’attività è molto più difficile nelle province. Nazifa è appena tornata da Farah, una delle zone più tormentate dell’Afghanistan: un viaggio di 19 ore in automobile, assieme al marito. Non sarebbe stato possibile senza un mahram. I checkpoint sono tanti e ogni volta tengono in ostaggio i viaggiatori per ore. “La sorveglianza è strettissima nelle province -continua- la popolazione viene controllata rigidamente e l’intelligence dei Talebani è ovunque. Hijab obbligatorio, sempre, anche con le tremende temperature estive. Bisogna trovare appartamenti privati adatti alla scuola e non è facile. C’è molta paura. Ho ascoltato tante storie terribili: le ragazze spariscono, sempre più spesso, senza lasciare traccia, i suicidi di donne sono in aumento. Ma l’entusiasmo per imparare è lo stesso di Kabul”.

“La sorveglianza è strettissima nelle province la popolazione viene controllata rigidamente e l’intelligence dei Talebani è ovunque. Hijab obbligatorio, sempre, anche con le tremende temperature estive. Bisogna trovare appartamenti privati adatti alla scuola e non è facile. C’è molta paura” – Nazifa

La sicurezza è il problema principale. Quando la pressione del controllo talebano è troppo forte i corsi devono essere sospesi. Nella scuola della capitale c’è una donna fuori dalla porta, una sorvegliante che controlla l’ingresso delle studentesse: “Entrano alla spicciolata ma i Talebani ronzano qui intorno come mosconi e se si insospettiscono entrano -racconta Nazifa-. Abbiamo una cantina difficile da individuare e le ragazze con le insegnanti si nascondono lì. I nostri colleghi maschi vanno a trattare e io mi presento come un’insegnante di bambine piccole, ancora autorizzate a studiare. Poi, quando se ne vanno, torniamo ai nostri libri”.

Ai corsi si impara anche ad affermare i propri diritti, a battersi per questa piccola luce di dignità ritrovata. “Qui arrivano i guai di tutte, le loro sofferenze, la paura -dice Nazifa-. E insieme cerchiamo di risolvere i problemi”. Le mani delle altre, i loro volti che ascoltano, i consigli, gli abbracci. È questa la forza che cresce nella stanza grande con le pareti spoglie e la stuoia a quadri per terra. Shirin mischia le parole alle lacrime mentre racconta. Un brutto giorno, un uomo si è presentato a casa sua con una proposta di matrimonio per lei ed è disposto a pagare tanti soldi. Nessuno lo conosce in famiglia. Così il padre si informa: è un Talebano, un pezzo grosso. Ha già mogli e figli ma vuole anche Shirin.

Deve dire di no, insorgono le compagne. Loro saranno il suo coraggio. La cognata lotta al suo fianco all’interno della famiglia, pagando l’appoggio alla ribellione di Shirin con la violenza del marito. La ragazza minaccia il suicidio se la faranno sposare a quel bruto. Tiene duro. Il tempo passa. Alla fine il Talebano si trova un’altra moglie e Shirin è libera. Si guarda intorno, cerca le sue amiche con gli occhi, le sue guerriere di libertà. “Da sola non ce l’avrei mai fatta. Tutte le mie giornate, da che sono nata, sono passate dentro casa. Uno spazio di altri, senza luce né sogni. Ora, qui, è cambiato tutto. Ho visto che c’è un’altra vita fuori di casa, anzi c’è la vita. Conosco tante donne come me, condividiamo le nostre paure e le trasformiamo in forza. Ridiamo, perfino, e tanto. È molto divertente. L’allegria è importante per restare vive”. Ci mostra il suo quaderno, fierissima di aver imparato a scrivere correttamente. Ora vuole studiare l’inglese. È bella la nuova Shirin, ora che sorride.

Con i contributi del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda) Altreconomia vuole mantenere un appuntamento fisso sulla rivista e su altreconomia.it per tenere una luce accesa sull’Afghanistan


L’ADESIONE DEL COLLETTIVO DONNE DI CASALE MONFERRATO A STAND UP WITH AFGHAN WOMEN

 Burqa e femminicidi derivano dalla stessa cultura che vuole tenere sotto controllo il corpo delle donne”, dice Serena Castaldo, portavoce del Collettivo donne di Casale Monferrato (AL) nato negli anni Settanta a sostegno dei primi consultori per la salute sessuale e riproduttiva delle donne. “Con me.dea, il centro antiviolenza di Casale, ci siamo mobilitate per sensibilizzare e raccogliere le firme sul nostro territorio, ma abbiamo anche deciso di supportare i progetti delle associazioni afghane attraverso Cisda, perché l’azione politica sia sempre accompagnata da un sostegno concreto alle donne che vivono in una situazione estrema di violenza di genere”. Il collettivo è parte attiva delle 87 realtà euro-afghane che aderiscono a #StandUpWithAfghanWomen la campagna promossa da Cisda, Large Movements, Rawa e Hambastagi, insieme ad Altreconomia. È possibile aderire su standupwithafghanwomen.eu (associazioni o sindacati) o su change.org (adesioni individuali).

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