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Esteri / Intervista

“Sono in molti a doversi vergognare per la distruzione dell’Afghanistan”

Bilqis Roshan è stata membro del Parlamento afghano. Nell’agosto 2020 si è opposta alla liberazione di 400 Talebani detenuti nel Paese (uno dei punti previsti dagli Accordi di pace in corso in Qatar) ed è stata duramente attaccata anche da altre deputate. © Cristiana Cella

Bilqis Roshan, ex senatrice impegnata per i diritti delle donne, è dovuta fuggire dal Paese. Continua a denunciare i crimini dei Talebani e le responsabilità dei governi stranieri che li sostengono, ancora oggi. L’abbiamo intervistata

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

Beviamo tè allo zafferano in tazze di porcellana bianca con il marchio in oro del Parlamento afghano. La stanza è grande con poltrone in stile barocco (qui piace molto) e grandi mazzi di fiori finti, impacchettati nella plastica. Un edificio sontuoso, che ricorda un castello medioevale, adornato da marmi, colonne, cupole di rame e vetro costruito con soldi indiani. Con lo stesso stile è stato realizzato l’edificio di fronte: il palazzo reale di Darul Aman, appena inaugurato. Delle spettrali rovine, ricordo della guerra civile, che sovrastavano la città non c’è più traccia. Era il 2019 ed ero a Kabul per incontrare Bilqis Roshan, senatrice del Parlamento afghano dal 2011 e attivista per i diritti delle donne. La gente la saluta con rispetto quando la incontra: “Quando gli americani se ne andranno daranno l’Afghanistan in regalo ai Talebani su un piatto d’argento”.

Quella previsione si è avverata: “Come vedi, avevo ragione”, racconta Roshan quattro anni dopo. Oggi è riuscita ad arrivare in Europa ed è salva.

Roshan, come ricordi il 15 agosto del 2021?
BR Ero nel mio ufficio al Parlamento. C’era molta tensione. Il futuro stava arrivando e non aveva una bella faccia. L’avanzata dei Talebani proseguiva inesorabile. Kabul stava per essere consegnata nelle loro mani. Poi è arrivata la notizia: hanno preso Surobi, cittadina a sessanta chilometri dalla capitale, lungo la strada per Jalalabad. Sarebbero potuti entrare nel mio ufficio in una manciata di ore. I Talebani mi minacciavano da anni e non era una buona idea farsi trovare lì e quindi me ne sono andata subito, con il mio autista. La città era irriconoscibile, non avevo mai visto una cosa simile: migliaia di macchine, mezzi militari, persone che correvano, un caos spaventoso. La notizia aveva innescato il panico, che pareva inarrestabile. Non si avanzava di un millimetro. Sono scesa dalla macchina e ho proseguito a piedi, per due ore, per arrivare a casa.

Che ne è stato dei tuoi colleghi?
BR Alcuni sono rimasti, erano Talebani o comunque dalla loro parte e li hanno aspettati a braccia aperte. Per chi aveva partecipato agli Accordi di pace in Qatar, gli americani avevano già programmato da tempo il protocollo per lasciare il Paese: passaporti, visti, biglietti aerei. Sono partiti in fretta. È stato così per tutti i signori della guerra e i membri del governo.

Anche per le tue colleghe?
BR Sì. Quelle parlamentari come Fawzia Koofi e altre deputate, che giuravano sul cambiamento positivo dei Talebani, sul loro rispetto dei diritti delle donne sono state le prime a scappare. La maggior parte delle parlamentari erano solo dei burattini in mano agli ex presidenti Hamid Karzai e Ashraf Ghani, non hanno mai lavorato per migliorare la condizione delle nostre donne. Ti racconto un episodio. Nell’agosto 2020, si è svolta una loya jirga (la tradizionale assemblea del popolo afghano con più di tremila delegati, ndr) in cui si doveva decidere se liberare gli ultimi 400 Talebani ancora detenuti: i più pericolosi tra i cinquemila già scarcerati nell’ambito delle trattative per gli Accordi di pace in Qatar. I Talebani ne pretendevano il rilascio, minacciando ritorsioni, per iniziare i colloqui intra-afghani di pace e gli americani premevano in questa direzione. Mentre parlava Ghani io mi sono alzata con un cartello: “Liberare questi selvaggi Talebani è un tradimento del nostro Paese”. Sono stata attaccata dalle mie colleghe, insultata, aggredita fisicamente e cacciata dall’assemblea. Questa vergognosa liberazione è stata approvata con il loro sostegno. Dovrebbero chiedere scusa alle donne del loro Paese per averle consegnate ai Talebani.

Quando hai deciso di andartene?
BR Non volevo partire. Speravo ancora di poter fare qualcosa per la mia gente. Poi, giorno dopo giorno, la gabbia si è chiusa intorno a noi. Alla fine, il 13 febbraio 2023, amici e sostenitori mi hanno pregato di andarmene: stava diventando troppo pericoloso e comunque non riuscivo più ad aiutare nessuno. Dopo l’arrivo dei Talebani a Kabul ho dovuto vivere nascosta, cambiare casa ogni due o tre giorni. I miei sostenitori mi ospitavano, ma la mia presenza li metteva in pericolo. Ero sempre in ansia per loro. Mi sentivo soffocare.

È difficile stare lontana dal tuo Paese?
BR È molto duro. Ascoltare le terribili notizie che mi raggiungono, tagliata fuori da tutto, è estremamente frustrante.

Cosa ti manca di più?
BR Il legame forte che ho costruito con la mia gente. Ero la loro voce, li ascoltavo e li potevo aiutare con la posizione di potere che avevo in Parlamento. Non poterlo più fare è molto triste.

Nei mesi in cui sei rimasta a Kabul, hai visto qualche possibilità di resistenza organizzata ai talebani?
BR Prima o poi il mio popolo inizierà una resistenza. Il 90% della popolazione odia i Talebani. La situazione è insostenibile: si vive nella paura, ogni valore di umanità è sparito. Forse ci vorranno dieci anni, o venti, o anche cento ma dovrà emergere una ribellione organizzata. Non c’è un’altra strada, l’unico modo è quello di resistere ai Talebani, di cacciarli. Nessuna nazione può essere liberata dagli altri. È una responsabilità nostra quella di ottenere la libertà, ce lo insegna la storia degli ultimi decenni.

“Prima o poi il mio popolo inizierà una resistenza. Il 90% della popolazione odia i Talebani. La situazione è insostenibile: si vive nella paura” – Bilqis Roshan

In quale scenario i Talebani potrebbero cadere?
BR Se non fossero sostenuti dagli Stati Uniti non resisterebbero più di due mesi. Non hanno nessuna base popolare. Hanno il problema dei finanziamenti e dei conflitti interni che stanno crescendo. Ma il punto principale è un altro. I Talebani non sono una forza indipendente costruita su una base di consenso popolare. Tutto quello che fanno è suggerito o imposto dalle intelligence dei loro vari padroni: Stati Uniti, Qatar, Pakistan e Arabia Saudita. Fanno parte di un gioco orchestrato da Washington. Sia i Talebani sia il governo precedente sono burattini nelle mani dello stesso padrone: quando non soddisfano più le aspettative vengono sostituiti. Era stato così anche nel precedente periodo talebano. Tra un po’ potrebbero anche tornare i warlords che si tengono pronti con tutti i loro soldi rubati e le loro armi. Nessuna pedina viene completamente scartata. Possono sempre servire.

Al di là della propaganda, di questi vent’anni di presenza occidentale non è rimasto molto.
BR No, lo abbiamo visto. Tutto quello che è stato costruito in vent’anni è un castello di carte. I miliardi spesi, le vite umane, l’addestramento delle truppe, la cosiddetta democrazia, il Parlamento in cui ho lavorato, tutto è collassato in un solo giorno. Nessuna base reale, tutto è stato fatto solo per gli interessi strategici degli Stati Uniti e della Nato. A noi è rimasta la cenere.

Pensi che i Talebani verranno riconosciuti, prima o poi, dalla comunità internazionale?
BR Si sta preparando il terreno. Le Nazioni Unite, ad esempio, fanno molte pressioni su Kabul affinché venga revocato il divieto alle ragazze di frequentare la scuola. Importante, certo, ma non l’unica tragica conseguenza del governo talebano. Focalizzare tutto su questo problema è una tattica pericolosa. Può diventare un punto di scambio: se i talebani decideranno di riaprire le scuole, allora la comunità internazionale dovrà accettarli. E gli altri crimini non verranno più presi in considerazione.

I warlords sono scappati ma i gruppi terroristici no. È così?
BR L’Isis Khorasan (Isis-K) continua ad attaccare i Talebani e ci sono spesso attentati contro i civili: è il nuovo nemico, il nuovo spauracchio. La propaganda ci dice: state con i Talebani altrimenti l’Isis verrà nelle case a rapire le vostre mogli. Almeno i Talebani questo non lo fanno. Ma ci sono altri gruppi. Il mio Paese sta diventando un hub dei terroristi. Una sorta di supermercato in cui qualunque Stato estero può comprare le sue milizie (talebane o altre) e usarle per i propri interessi. Un addestramento che inizia dalla scuola.

Le scuole per i bambini maschi sono madrase?
BR In pratica sì. Sono incubatrici di terrorismo. Mentre nelle moschee propagandano le loro feroci regole contro le donne, nelle scuole i Talebani insegnano solo il Corano, la sharia, l’uso delle armi, la loro Storia: gli attentati suicidi che hanno commesso, glorificano i martiri che si sono fatti esplodere, insegnano quanti morti e quali vantaggi questi attentati abbiano portato. Un lavaggio del cervello.

Quali sono adesso i tuoi progetti?
BR Non sono qui per fare una vita tranquilla e in disparte. Sarò presente ovunque si possa parlare di Afghanistan per far conoscere la vera realtà del mio Paese. Voi però, dovete spiegare alla vostra gente, in America e in Europa, che i loro soldi non sono stati usati per il popolo afghano ma per sostenere warlords, Talebani e criminali. Della distruzione del mio Paese sono in molti a doversi vergognare.


Il tribunale delle donne per le donne in migrazione aderisce alla campagna Stand up with afghan women 

Con il finanziamento dell’8permille alle Chiese valdesi, Casa internazionale delle donne, Differenza donna e Le Sconfinate (con l’adesione di fondazione Basso, Donne di Benin City, cooperativa Eva, Trama di terre, Cisda, Binario 15, Nove onlus, Nodi, Donne brasiliane in Italia, Bosnia nel cuore, Kalma) hanno dato vita al Tribunale delle Donne, per promuovere il diritto di donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate alla protezione internazionale e a condizioni dignitose di accoglienza in Italia.

Il progetto fa tesoro dei fondamenti teorici e storici del femminismo giuridico e delle esperienze dei Tribunali dei popoli e dei Tribunali delle donne, in particolare quello di Sarajevo. Nella prima seduta pubblica sono state ascoltate le testimonianze di otto donne afghane che hanno raccontato la loro fuga e i diritti che vengono ancora negati: riconoscimento dei loro titoli di studio, inserimento lavorativo in base alle loro competenze, ricongiungimenti familiari allargati, che sono minime riparazioni per quanto hanno subito e subiscono. Hanno parlato delle loro famiglie, delle loro sorelle di lotta rimaste in Afghanistan (cui sono fortemente legate) che sono sottoposte a ogni forma di violenza.

Il Tribunale delle donne è parte attiva delle 82 realtà euro-afghane che aderiscono a #StandUpWithAfghanWomen, la campagna promossa da CisdaLarge MovementsRawa e e Hambastagi, insieme ad Altreconomia. È possibile aderire su standupwithafghanwomen.eu (form per associazioni o sindacati) o su change.org.

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