In Italia manca una normativa organica in grado di incentivare il riutilizzo dei beni, favorendo coloro che avviano un’attività imprenditoriale legata a questo settore. Secondo le stime della Rete nazionale degli operatori dell’usato (Rete ONU), è possibile arrivare ad intercettare fino a 650mila tonnellate di beni, riducendo la produzione di rifiuti. Tra le richieste, un’IVA agevolata e una riduzione della tassa relativa all’igiene urbana. Per approfondire legge il libro di Altreconomia "Il salto della pulce. La rivoluzione dell’usato"
Chi vende beni usati, in Italia, opera in un settore merceologico che non esiste: non c’è alcun riferimento normativo organico; non esiste, nello specifico, un codice che descrive quest’attività economica (in sigla, ATECO). Questo -spiega ad Altreconomia Andrea Valentini, membro del comitato scientifico di Rete ONU, la rete nazionale degli operatori dell’usato- “determina uno svilimento dell’attività stessa, ma anche errori marchiani dal punto di vista della tassazione e della facilitazione allo svolgimento dell’attività. Ad esempio, se volessi aprire un’attività di rivendita di beni usati, il funzionario del Comune dovrebbe equipararmi a realtà che fanno un altro mestiere, come il commercio al dettaglio”.
È per promuovere interventi normativi in materia che il 17 marzo Rete ONU ha promosso un convegno a Montecitorio, dedicato a “Il valore aggiunto dell’usato all’economia circolare”.
“Il contributo ambientale ed occupazionale che il settore già oggi garantisce, senza alcun riconoscimento in termini di premialità -ha spiegato Sebastiano Marinaccio, Vicepresidente di Rete ONU- potrebbe essere raddoppiato rimuovendo alcuni ostacoli normativi che ne limitato lo sviluppo. Basti pensare che il comparto dell’usato sottrae al mondo dei rifiuti beni per 300mila tonnellate all’anno e che valorizzando la preparazione per il riutilizzo si potrebbe arrivare ad intercettarne oltre 650mila tonnellate all’anno destinate al riutilizzo per un valore di 1.300 milioni di euro, generando nel solo comparto della preparazione per il riutilizzo oltre 15mila nuovi posti di lavoro, quasi 22,9 lavoratori ogni mille tonnellate”.
“Queste stime -spiega Valentini- prendono in considerazione anche le opportunità di sviluppo di una branca completamente nuova, legata alla possibilità di intercettare presso i centri di raccolta quei beni che oggi sono considerati rifiuti”. Mobili ma anche elettrodomestici, rifiuti elettronici in generale, libri ed oggettistica.
Lentamente, l’Italia si sta preparando al “riutilizzo”, con l’approvazione dei decreti attuativi dell’articolo 180 bis del Testo unico ambientale, la l. 152/2006. I decreti attuativi sono in bozza, “finalmente” come dice Valentini. Dopo sei anni (l’articolo 180 bis è stato introdotto nel Testo unico del 2006 quattro anni dopo), si sta lavorando a un modo per “rendere più semplice dal punto procedurale ed economico fare una cessazione dallo ‘stato di rifiuto’”. Quello che avviene oggi Valentini lo spiega con un esempio: una famiglia chiede il ritiro di un bene, un mobile, definito “ingombrante”; quando quel mobile viene caricato sul mezzo di raccolta è diventato rifiuto; chi lo scarica presso un centro di raccolta non può più considerarlo un bene, vendibile, ma al più potrà riciclarlo come legno.
La Rete ONU ha scritto una legge organica sul settore, e alcuni parlamentari hanno depositata in Parlamento dei testi che a quella fanno riferimento. Sono tre gli elementi cardine, oltre al riconoscimento di uno specifico codice per quest’attività economica, già ricordato, spiega Valentini. “Intanto, si istituisce un Consorzio nazionale dell’usato, con l’obiettivo di estendere la responsabilità del ‘fine vita’ di un bene ai soggetti che li producono, mediante il pagamento di un contributo”. È ciò che già avviene oggi per gli imballaggi o i RAEE. “Attraverso la costruzione di un valore economico, individuando contributi minimi, riteniamo possibile sostenere le attività virtuose, per migliorare i risultati ambientali”.
Viene poi chiesto un incentivo, di tipo fiscale: “L’usato è un’attività finalizzata al mercato che porta anche vantaggi indiretti di carattere ambientale e sociale, che non sono immediatamente valutabili economicamente. Se verifico la necessità di politica ambientale di indirizzare gli operatori verso un’attività che porta questo tipo di vantaggi, dovrei poter stimolare la partecipazione al settore, e la riduzione dell’IVA sul costo della vendita stessa potrebbe essere efficace. Questo tipo d’intervento, inoltre, c’è già per chi commercia rottami metallici, mentre l’Iva sulla vendita di beni usati è quella standard, del 22%”.
Valentini ricorda come non sia prevista, “ad oggi, nemmeno una riduzione della tassa sui rifiuti per i mercatini dell’usato. Per ogni attività economica l’imposizione è legata al fatto che essa produce rifiuti: gli operatori dell’usato per definizione sono soggetti che ne eliminano, perché ripristinano la fruibilità di beni. Perché non premiare questo comportamento virtuoso?”.
Secondo Valentini e Rete ONU, incentivi fiscali e premialità potrebbero favorire l’emersione di un gran numero di operatori (almeno 30mila) che oggi lavorano in un mercato che presenta “marginalità molto basse: a soggetti che hanno fatturati molto bassi oggi conviene operare ‘di nascosto’. Se esistessero agevolazioni, questi avrebbero la possibilità di uscire allo scoperto. Con il grande vantaggio per tutto il sistema, compreso quello economico nazionale, di maggiori entrate fiscali”.