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Il terzo mandato di Narendra Modi in India è più debole che mai
Alle mastodontiche elezioni politiche indiane -con 970 milioni di persone chiamate alle urne in sette tornate iniziate il 19 aprile- il partito nazionalista del primo ministro uscente, pur prevalendo, non ha sfondato e anzi ha perso seggi. I temi sociali hanno prevalso rispetto ai toni polarizzanti del governo. Da dove può ripartire l’opposizione nel Paese più popoloso del Pianeta
È una vittoria dal retrogusto amaro quella che a inizio giugno ha portato il primo ministro uscente Narendra Modi a essere confermato per il terzo mandato consecutivo in India. I primi exit poll durante lo spoglio dei voti (elettronici) sembravano preannunciare una clamorosa vittoria del suo partito nazionalista, il Bharatiya janata party (Bjp), con una maggioranza schiacciante. Come spesso succede nelle mastodontiche elezioni indiane -iniziate il 19 aprile e protrattesi fino al primo giugno, in sette turni elettorali- i sondaggisti non sono però stati accurati nel prevedere gli umori dell’enorme elettorato indiano: quasi 970 milioni di persone chiamate alle urne per scegliere i 534 rappresentanti alla Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano.
Mentre la conta dei voti andava in diretta nazionale in un clima di trepidante attesa fino alla sera del 4 giugno, la schiacciante maggioranza data per certa da analisti ed esperti non si è concretizzata e ha iniziato invece a prendere forma un quadro ben più complesso del panorama politico indiano. Il Bjp come partito ha perso oltre 60 seggi, portando il totale a circa 240, parecchio sotto i 272 necessari per formare un governo di maggioranza: per la prima volta il partito etno-nazionalista di Modi dovrà dipendere dai suoi poco affidabili partner politici per governare.
Il ritorno di Modi al potere, dato per inevitabile, era però atteso con una maggioranza macroscopica, visto il culto della personalità costruito attorno al leader e alla sua centralizzazione del potere. Il Bjp mirava a ottenere “400 seggi” in coalizione: era questo lo slogan della campagna elettorale dai toni estremamente polarizzanti che ha caratterizzato le prime elezioni da quando l’India è diventata il Paese più popoloso al mondo. Una maggioranza che sollevava timori di modifiche costituzionali. E invece Modi porta a casa una batosta, una vittoria stentata che non gli permetterà di governare il Paese come era abituato: alle scorse elezioni, nel 2019, aveva infatti ottenuto 303 seggi.
Il maggiore partito di opposizione, l’Indian national congress (Inc), lo storico partito indiano della famiglia Nehru-Gandhi, si aggiudica 99 seggi, conquistandone ben 47 in più rispetto a cinque anni fa mentre la coalizione da lui capeggiata e racchiusa nel poco originale acronimo “India”, porta a casa 235 seggi: il verdetto elettorale segna una sorprendente scalata per l’alleanza di opposizione guidata dal Congress, che ha disatteso le previsioni sul suo inesorabile declino.
E mentre la conta dei voti era ancora in corso e iniziavano a delinearsi i confini della nuova geografia elettorale indiana, nella serata del 4 giugno Modi è salito sul palco nella capitale New Delhi per dichiarare vittoria. “Oggi è un giorno molto propizio e la Nda [National democratic alliance] formerà il governo per la terza volta consecutiva. Siamo tutti grati al pubblico per questo. I cittadini hanno riposto la loro fiducia nel Bjp e nella Nda; la nostra vittoria è la vittoria della più grande democrazia del mondo”, ha dichiarato Modi, sottolineando che questa è la prima volta dopo il 1962 con Jawaharlal Nehru -il padre dell’India moderna- che un governo torna al potere per la terza volta consecutiva.
Anche se davvero il Bjp formerà il nuovo governo con la coalizione Nda, che ha ottenuto meno di 300 seggi, il suo mandato è più debole che mai. Molti dei suoi partner hanno un’agenda nazionalista molto meno intransigente e il grande ritorno delle politiche di coalizione in India segna un ostacolo non indifferente per il Bjp, che per la prima volta in dieci anni si trova a dover venire a patti con altre forze politiche. Nel suo discorso alla nazione Modi si è anche congratulato con Chandrababu Naidu e Nitish Kumar per le “prestazioni stellari” nei rispettivi Stati, Andhra Pradesh e Bihar, con i quali molto probabilmente il Bjp proverà a formare una maggioranza. E in queste ore fervono le trattative per creare un governo di coalizione.
Narendra Modi, un leader dal forte carisma, ha condotto una campagna elettorale dai toni durissimi contro un’opposizione che aveva invece incentrato la sua battaglia sulle deludenti performance economiche del governo a guida Bjp: sebbene il Paese sia l’economia in più rapida crescita al mondo, per gli elettori gli alti tassi di inflazione e la disoccupazione, soprattutto giovanile, sono stati determinanti al momento del voto. Mentre Modi cercava di distrarre l’elettorato con messaggi sempre più polarizzanti cavalcando le divisioni settarie, alla fine, l’incapacità del suo governo di creare posti di lavoro sembra aver prevalso sulla retorica dello sviluppo tanto cara al Bjp.
Queste dinamiche sono state particolarmente evidenti nello Stato settentrionale dell’Uttar Pradesh che, con i suoi oltre 240 milioni di abitanti, è quello con il peso più rilevante ai fini elettorali. Finora considerato una roccaforte del Bjp, è stato qui che il partito ha subito le sconfitte più significative, tra cui Ayodhya, la cittadina dove a gennaio Modi aveva inaugurato il tempio di Ram, eretto sulle ceneri di una moschea demolita nel 1992 da fanatici hindu, che si pensava avrebbe contribuito a consegnare al Bjp una vittoria epocale.
“Le elezioni del 2024 sono un momento meraviglioso -ha scritto Pratap Bhanu Mehta, accademico ed editorialista-. L’aria di sconforto, l’ombra soffocante dell’autoritarismo e i venti nauseanti del comunitarismo si sono, almeno per il momento, sollevati”. A dimostrazione dell’imprevedibilità di un elettorato tanto ampio e variegato.
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