Ambiente / Attualità
Andri Snær Magnason. Il rumore bianco dei ghiacciai
In Islanda le calotte glaciali stanno scomparendo. Ne “Il tempo e l’acqua” lo scrittore spiega quali parole servono per raccontare il cambiamento climatico e combatterlo
Il Vatnajökull, la calotta glaciale più estesa dell’Islanda, contiene la quantità d’acqua pari a 20 anni di precipitazioni sull’intera isola. Se si sciogliesse completamente, il livello degli oceani di tutto il mondo si alzerebbe di un centimetro. È quello che sta succedendo con una inesorabile lentezza: dalla fine dello scorso secolo al 2019, il ghiacciaio ha visto una recessione del 4%. Ogni anno si è assottigliato di mezzo metro per un totale di quasi 100 chilometri cubi di ghiaccio. A raccontarlo, e a descrivere come l’isola stia perdendo una parte della sua memoria naturale e storica, è lo scrittore e poeta islandese Andri Snær Magnason ne “Il tempo e l’acqua”, pubblicato in Italia nel 2020 da Iperborea, dove l’autore affronta il cambiamento climatico e i suoi effetti sulla terra dei ghiacci e dei vulcani.
“I ghiacciai si stanno ritirando con una velocità allarmante. Entro i prossimi 200 anni, la maggior parte di loro non ci sarà più. L’Islanda deve pensare a ridurre le emissioni di gas climalteranti ma non basterà se non ci saranno interventi internazionali comuni contro il climate change”, dichiara ad Altreconomia Magnason. Il Vatnajökull non è l’unico a rischio sparizione. Il Langjökull e lo Hofsjökull si stanno ritirando più velocemente e si stima che lo Snæfellsjökull possa scomparire entro il 2050. Mentre un grande assente c’è già: l’Okjökull, una calotta glaciale di 19 chilometri quadrati ora ridotta a poco più di un chilometro quadrato di ghiaccio morto. È “il drammatico ritratto” della condizione in cui versa l’isola, spiega Magnason che nell’agosto 2019 era stato uno degli organizzatori del suo funerale: a 90 chilometri da Reykjavik, a oltre mille metri di altitudine, un centinaio di persone tra cui la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, giornalisti, scienziati e attivisti si erano riuniti per celebrare la sua scomparsa. Lo scrittore aveva inciso le parole di commemorazione sulla placca: una “lettera al futuro” in cui si ricorda che Okjökull è stato il primo a perdere il suo status di ghiacciaio, ridotto a un accumulo di detriti. Oltre a essere una testimonianza e un monito per il cambiamento. La missiva terminava con una cifra: 415 parti per milione di anidride carbonica, presenti in quel momento nell’atmosfera terrestre, che contribuiscono all’aumento globale della temperatura. “L’Islanda è simile a un termometro. Rappresenta un problema di portata globale: mostra quello che succederà in ogni parte del mondo e le conseguenze che si avranno sulla biodiversità. Il raggiungimento delle emissioni zero al 2030 è il principale obiettivo da ottenere. E suona drammatico”, afferma Magnason.
Ma per comprendere gli effetti che il cambiamento climatico sta avendo sull’ambiente e sulla vita quotidiana, spiega, oggi servono anche nuovi espedienti narrativi. Le sole cifre, pur fondamentali, non bastano più. Occorre vivificare il linguaggio dell’accademia per permettere a un ampio destinatario di utilizzarlo. “Tutti i miei lavori sono basati sulle ultime ricerche scientifiche”, prosegue Magnason. “Il tempo e l’acqua”, infatti, non è il primo lavoro in cui l’autore affronta gli effetti delle attività antropiche sull’ambiente. Nel documentario “Dreamland”, uscito nel 2009, aveva denunciato la devastazione degli altopiani dell’isola causati dall’estrazione di alluminio. “Il linguaggio tecnico, soprattutto quando parla di fenomeni nuovi, può allontanare il lettore. E possono volerci decenni, se non secoli, prima di comprendere il concetto espresso dalla parola appena creata e farla diventare di uso comune”. Magnason riporta due casi: espressioni come acidificazione degli oceani e aumento delle emissioni si perdono in un “rumore bianco” se non sono semplificate o incarnate in una storia, mantenendo sempre il loro rigore scientifico. “Le metafore possono aiutarci a comprendere i numeri. Come autore sono stato condizionato da Italo Calvino, Umberto Eco, Jorge Luis Borges. Nei loro testi ho visto come utilizzare storie e memorie personali come strumento per rimandare ad altro”, prosegue. “Per questo in ‘Il tempo e l’acqua’ ho usato elementi distanti tra loro: i racconti della mia famiglia, la mitologia islandese, le memorie dei luoghi”, aggiunge. Tutti insieme raccontano un cambiamento.
“L’Islanda è simile a un termometro. Rappresenta un problema di portata globale: mostra quello che succederà in ogni parte del mondo e le conseguenze che si avranno sulla biodiversità”
È il caso della storia dei nonni esploratori dell’autore, scelto come espediente narrativo per parlare dello scioglimento dei ghiacciai: dagli anni Cinquanta alla fine dello scorso secolo i due hanno partecipato alle spedizioni sul Vatnajökull, fino ad allora inesplorato, insieme alla Società glaciologica islandese di cui sono co-fondatori, e hanno documentato come il cambiamento del “simbolo di qualcosa di grande ed eterno” sta proseguendo al punto da non essere più misurabile su scala secolare o millenaria. Aiutare a vedere che un ghiacciaio sta scomparendo nell’arco di un’esistenza umana, significa riportarlo alla corporeità della vita dei singoli e inserirlo in un’esperienza collettiva. “Se ne capissimo fino in fondo il significato, queste parole avrebbero un impatto immediato sul nostro comportamento e sulle nostre decisioni”, afferma Magnason. “E la reazione dipende da noi. Da quello che faremo da ora in poi”.
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