Diritti / Inchiesta
Il ruolo dell’Unhcr nei centri in Albania, tra le “lettere” con il governo e le vittime di tratta
Non c’è alcun protocollo siglato dal ministero dell’Interno ma uno scambio epistolare, ottenuto da Altreconomia, in cui si definisce l’intervento che l’Agenzia Onu per i rifugiati dovrebbe svolgere nelle contestate strutture per migranti di Shëngjin e Gjadër. “Era doverosa la nostra presenza”, spiega Chiara Cardoletti dell’Unhcr. Resta però il punto estremamente critico delle persone “vulnerabili”
Nessun protocollo, solo uno “scambio di lettere”. La presenza del personale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei centri per migranti di Shëngjin e Gjadër in Albania si basa su una semplice dichiarazione di intenti “in assenza di una formale stipula d’accordo”.
Scrive così il ministero dell’Interno rispondendo alla richiesta di Altreconomia di poter visionare la documentazione relativa al ruolo che l’Unhcr rivestirà nell’ambito dell’accordo tra Roma e Tirana.
“Non è stato siglato un protocollo perché l’Unhcr non fa parte dell’accordo Italia-Albania -spiega ad Altreconomia Chiara Cardoletti, Rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino dell’agenzia Onu per i rifugiati-. Dopo aver ricevuto chiarimenti su alcuni aspetti del Protocollo anche in sede parlamentare, alla luce di incontri durante i quali il governo ha ribadito la forte volontà che questo sia in linea con il diritto e gli standard internazionali, si è ritenuto più opportuno procedere con uno scambio di lettere con il ministero dell’Interno per definire le nostre funzioni”.
Proprio a firma di Cardoletti è la lettera inviata il 7 agosto al ministero dell’Interno e ottenuta da Altreconomia. L’Unhcr esprime “gratitudine per l’invito esteso dal Governo italiano” che permette di “contribuire alla protezione delle persone coinvolte nell’attuazione del Protocollo”. Osserva in apertura che qualsiasi accordo tra Stati relativo alle persone soccorse o intercettate al mare “deve essere conforme al diritto internazionale dei rifugiati, ai diritti umani nonché agli standard di protezione”.
Molti giuristi ritengono che lo stesso protocollo violi il diritto internazionale ma Cardoletti, a nostra specifica richiesta, ha risposto che “molto dipenderà da come questo protocollo verrà implementato e proprio per questo consideriamo importante il nostro ruolo di monitoraggio”.
Che cosa farà l’Unhcr? Nelle lettere si indica attività di monitoraggio e di counselling attraverso personale qualificato dell’Agenzia che sarà presente sia sulla “nave hub” che trasferirà i migranti verso il territorio albanese così come nei centri di Shëngjin e Gjadër in Albania “e in qualsiasi altra località che possa diventare rilevante nell’attuazione del Protocollo in questione”. Non è chiaro, in questa frase, a quale struttura si riferisca l’Alto commissariato.
Il governo italiano, dal canto suo, dovrà condividere regolarmente “tutte le informazioni pertinenti” inclusi “i dati statistici relativi all’attuazione del Protocollo”. L’intervento è previsto per un periodo di tre mesi dalla data in cui questo diventerà operativo e l’Unhcr si riserva il diritto “a sua completa discrezione, di ritirarsi da questa intesa in qualsiasi momento” in caso diventi necessario “per motivi operativi, gestionali o di altra natura”.
L’Alto commissariato fornirà a Roma “osservazioni e raccomandazioni” che contribuiranno “ove necessario” a promuovere l’adesione al diritto internazionale e agli standard pertinenti” nell’attuazione del Protocollo.
La risposta da Roma non si fa attendere. E il 12 agosto la prefetta Laura Lega, a capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, sottolinea che la presenza di Unhcr “costituirà un sicuro valore aggiunto per l’attuazione del Protocollo” che si pone come obiettivo quello di sviluppare “un innovativo modello di gestione dei flussi migratori nel pieno rispetto del diritto e degli standard internazionali”.
A proposito di tali garanzie c’è un altro punto delicato. Come raccontato da Altreconomia è prevista infatti la possibilità di trasferire anche i cosiddetti “vulnerabili” -citati tra l’altro anche dall’Unhcr nella sua lettera- viste le attività garantite dalla Medihospes Albania Srl proprio per questa tipologia di persone.
“Abbiamo ricevuto garanzie e rassicurazione su questo punto di vista e il Protocollo prevede, in ogni modo che le persone vulnerabili siano portate in Italia”, sottolinea Cardoletti che però specifica che non sarà compito dell’Unhcr “identificare le vulnerabilità che spetta ai soggetti attuatori del protocollo, quindi alle autorità”, aggiungendo che l’Agenzia sarà pronta “a intervenire se le necessità o i diritti dei vulnerabili non saranno garantiti”.
Questo è un punto molto scivoloso, fa notare Maria Grazia Giammarinaro, già magistrata e Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tratta di esseri umani dal 2014 al 2020. “Non comprendo la posizione dell’Unhcr sulle persone vulnerabili -spiega ad Altreconomia-. Identificare le condizioni che garantiscono il diritto d’asilo implica inevitabilmente esaminare anche le vulnerabilità. D’altra parte, proprio in Italia, l’Agenzia ha avuto un ruolo di primo piano nella costruzione e implementazione di Linee guida che facilitassero l’identificazione e il referral delle vittime di tratta durante le procedure di asilo. E l’essere vittima di tratta, secondo la giurisprudenza di molti tribunali, è a sua volta un presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato”.
In risposta a un accesso dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione in seno al Viminale ha provato a chiarire chi si occuperà dei vulnerabili, specificando nuovamente che i minori non verranno trasferiti in Albania (dove però sono presenti, secondo i documenti di Medihospes, dei fasciatoi) chiarendo che a bordo della nave sarà svolta un’attività di pre-screening coordinata da funzionari della polizia, “coadiuvato da personale specializzato per gli aspetti sanitari e la mediazione linguistico-culturale”.
Una volta arrivati in Albania, invece, interverranno “diversi attori” per identificare quei casi in cui “una vulnerabilità emergesse successivamente presso le strutture site in Albania, il migrante verrà trasferito sul territorio italiano”.
Oltre all’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute, ci sarà l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti che a fine luglio ha aggiudicato una gara da oltre due milioni di euro per l’affidamento di un “servizio medico ed infermieristico presso l’istituto detentivo di Gjadër” alla Croce Bianca Srl, con sede a Roma.
E infine il Dipartimento indica il personale dell’ente gestore “per la ricerca attiva di vulnerabilità sanitarie che dovessero verificarsi durante la permanenza” o in “collaborazione con psicologi e altri specialisti” per l’emersione di violenza e tratta. Su questo punto, però, non è chiaro come si procederà. L’ufficio del Viminale cita il “Vademecum per la rilevazione, il referral e la presa in carico delle persone portatrici di vulnerabilità”.
Questo documento, siglato nel giugno 2023, prevede con riferimento alle vittime di tratta (la cui identificazione è spesso complicata perché vivono la “paura” delle minacce subite dai trafficanti) che laddove è presente l’Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni) sia suo compito svolgere la prima intervista alla potenziale vittima, come succede ad esempio sulle coste siciliane. Laddove però l’Oim non c’è, come nel caso albanese, “la prima intervista può essere condotta dal personale che ha momentaneamente in carico la potenziale vittima in coordinamento con le associazioni anti-tratta a cui è possibile fare una segnalazione attraverso l’utilizzo di materiale informativo”.
Il documento cita il Numero verde, un dispositivo attivo giorno e notte a cui è possibile segnalare i casi. “Nessuno ci ha contattato per informarci o chiedere supporto su questo”, spiega però Gianfranco Della Valle, referente del numero del numero verde nazionale antitratta.
Così come nessuno ha contattato il Dipartimento per le pari opportunità, titolare dei progetti per le vittime di tratta. Non solo: il numero verde non funziona se la chiamata arriva dall’estero. “Qualunque vademecum si voglia utilizzare c’è un problema alla radice -riprende Giammarinaro-. Per identificare le vulnerabilità, e soprattutto le vittime di tratta, sono necessari vari colloqui con operatori sociali qualificati, è necessario costruire un rapporto di fiducia che porti alla condivisione del proprio vissuto di sfruttamento. Questo certamente non può avvenire in mare dopo il salvataggio e men che meno una volta arrivati in Albania, data l’approssimazione metodologica con la quale il problema viene affrontato e l’incertezza sui soggetti che se ne faranno carico. Penso che sarà quasi impossibile identificare una vittima di tratta nel contesto di questo Protocollo”.
Per Cardoletti di Unhcr “la fase di identificazione e screening sarà decisiva, soprattutto a bordo delle navi” e risulta “evidente l’importanza del ruolo di monitoraggio dell’Agenzia che permetterà di verificare il rispetto effettivo dei diritti dei soggetti a cui si applica il Protocollo”.
La linea che separa il monitoraggio all’avallo del protocollo è però molto sottile. A inizio settembre il sottosegretario al ministero dell’Interno Nicola Molteni ha detto a La Stampa che in Libia e Tunisia “la politica migratoria avviene in un quadro di politiche internazionali con il controllo di organizzazioni come Unhcr e Oim. I diritti umani sono quindi garantiti”. Molteni nega l’evidenza, raccontata, recentemente da un duro reportage del Guardian che documenta stupri e uccisioni. Chissà se in Albania basterà citare le lettere con l’Unhcr per rassicurare in merito al rispetto dei diritti.
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