Interni / Opinioni
Il patrimonio culturale ha senso solo se mettiamo al centro le persone
Dal Vangelo arriva un invito a rimettere al centro del mondo dell’arte gli “scarti”: da ciò che sta ai “margini” viene ciò che può salvarci. La rubrica a cura di Tomaso Montanari
C’è un brano dei Vangeli sinottici che mi ha sempre turbato perché è forse l’unico in cui Gesù viene messo di fronte all’arte, al “patrimonio culturale”, e la sua risposta è terribile. All’uscita dal tempio di Gerusalemme i suoi discepoli gli dicono: ma tu non guardi tutta questa bellezza, i doni votivi, l’architettura del tempio? E Gesù risponde: “Di tutta questa bellezza, che voi ammirate, non rimarrà pietra su pietra”.
È una risposta sprezzante, di inconsueta durezza. Che cosa voleva dire? I santi Padri della Chiesa, poi i teologi, lo hanno spiegato mettendolo insieme a un altro brano famoso, che invece mi è sempre piaciuto molto, quello in cui Gesù scaccia i mercanti dal tempio, l’unico luogo in cui veramente si arrabbia e in cui fa una frusta con le cordicelle, rovescia i tavoli dei cambiavalute e dice: “Della casa del Padre mio avete fatto un mercato”. Mai parole potrebbero essere più attuali per il mondo di oggi, in cui della società abbiamo fatto un mercato. E si è sempre detto che Gesù in entrambi i passi parla del proprio corpo, agisce con zelo, con rabbia e con forza perché in realtà vuol dire: voi guardate alle cose, e le profanate, ma dovete guardare al corpo, alle persone, e in quel caso al suo corpo. Il discorso sul tempio vuol dire che dopo la morte sarebbe risorto: un nuovo tempio, non più fatto di pietre.
Questo discorso religioso ha anche un grande significato laico, per tutti noi. Noi non vediamo nulla, non guardiamo con amore, se guardando le pietre vediamo le pietre; dobbiamo vedere le persone, i corpi. Il patrimonio culturale, tutto, ha un senso se ci leggiamo i diritti delle persone. Per quanto tempo, anche a sinistra, non si è capito che il ministero che si chiamava “dei Beni culturali” (e che oggi propagandisticamente torna a chiamarsi “della Cultura”) non era un ministero dei diritti delle pietre, le quali non hanno diritti, ma delle persone; come il ministero della Salute, dell’Istruzione (della Pubblica istruzione, come sarebbe bello continuare a chiamarlo). Le persone: guardare le pietre e vedere non le pietre ma le persone. In un altro passaggio dei Vangeli, Gesù parla della pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d’angolo.
Parla, ancora una volta, di se stesso, ma parla di tutti gli scartati, una parola molto cara a papa Francesco. A me, ogni volta che la sento, “scarto”, viene in mente (potenza delle associazioni) un passo bellissimo di un saggio di Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg, “Centro e periferia”, in cui parlano di storia dell’arte e del fatto che spesso le improvvise innovazioni, i lampi di genio, le svolte, non vengono dai centri ma dalle periferie, con uno “scarto”, dicono, che è la mossa del cavallo. Lo scarto di lato, del quale abbiamo tanto bisogno, può venire da ciò che è scartato.
È vero nelle pietre, è vero nel patrimonio; ci concentriamo ossessivamente sulle grandi città d’arte, distruggiamo Venezia e Firenze con un turismo predatorio, ma è dal patrimonio che chiamiamo presuntuosamente “minore”, è dal corpo diffuso, dalla provincia, da ciò che è ai margini che viene ciò che può davvero salvarci. Lo scarto da ciò che è scartato; la pietra scartata che diventata testata d’angolo. Forse proprio qua è il senso profondo: ribaltare le gerarchie, i rapporti di forza, i nessi causa-effetto. E così pensare che non sono i monumenti a dare un senso alle persone: ma le persone ai monumenti. E a tutto il resto.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
© riproduzione riservata