Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Interni

Il Paese delle mani impunite. Intervista a Piercamillo Davigo

Oggi in Italia mancano leggi adeguate a rendere efficace la lotta alla corruzione, spiega Piercamillo Davigo. Molte norme approvate dopo Mani Pulite hanno reso più faticosa la repressione e il riconoscimento del delitto Piercamillo Davigo è consigliere della Corte Suprema…

Tratto da Altreconomia 96 — Luglio/Agosto 2008

Oggi in Italia mancano leggi adeguate a rendere efficace la lotta alla corruzione, spiega Piercamillo Davigo. Molte norme approvate dopo Mani Pulite hanno reso più faticosa la repressione e il riconoscimento del delitto

Piercamillo Davigo è consigliere della Corte Suprema di Cassazione. Dal 1981 è stato Sostituto procuratore della Repubblica a Milano, e membro del pool Mani Pulite. Di recente ha pubblicato -con Grazia Mannozzi-, il volume La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale (Laterza).
Dottor Davigo, qual è il livello di corruzione in Italia?
Non si può dire con precisione. È un reato che non emerge di per sé, ma va cercato mentre si lavora su altri reati. Le tecniche che si impiegavano per scoprire la corruzione però non sono più adeguate, anche perché è cambiato il contesto normativo. Normalmente c’è una sorta di “interscambio” continuo tra criminali e investigatori, per il quale i primi si adattano alle mosse dei secondi e viceversa. Oggi lo stato degli apparati giudiziari non permette questo continuo affinamento degli strumenti investigativi.
Possiamo dire almeno se la corruzione aumenta o diminuisce?
Le organizzazioni che misurano la percezione della corruzione in Italia dicono che l’aumento è costante. Il picco di denunce e condanne registrato durante il periodo di Mani Pulite è probabilmente una fotografia più aderente alla realtà di quella che ci indicano i dati attuali, che non intercettano a sufficienza quel che accade. Nel distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria, per fare un esempio, ci sono state solo due condanne per corruzione tra il 1983 e il 2002. O siamo di fronte a un’isola felice, oppure a una consuetudine che non viene denunciata e condannata. È chiaro anche il legame tra corruzione e attività criminale organizzata.
Eppure in pochi si preoccupano della corruzione in Italia.
Infatti preoccupa più gli osservatori internazionali che gli italiani. Il problema principale è che di questi temi da noi non si parla. Altrove va diversamente.
La Finlandia, il Paese meno corrotto del mondo, ha un numero di condanne ogni 100mila abitanti per quel reato pari a quello del nostro Paese. Paradossalmente, in Italia la corruzione emerge di più dove ce n’è meno.
Anche le denunce sono poche.
È più corretto parlare di “indice di chiarimento”, ovvero sapere se un reato c’è e chi lo ha commesso. Registriamo un numero elevatissimo di prescrizioni (i cui termini si sono abbreviati). Inoltre, in materia di corruzione molti processi si basavano sul principio di “correità”, principio oggi reso difficile dall’approvazione di alcune riforme normative, che impediscono ad esempio l’utilizzo delle dichiarazioni rese a un processo per un altro procedimento.
Nel vostro libro analizzate i risultati ottenuti nella lotta alla corruzione anche alla luce della legislazione vigente. Come hanno influito le modifiche alla normativa italiana alla lotta alla corruzione?
Poche norme, di solito derivanti da convenzioni internazionali, hanno introdotto maggiori rigore. Molte altre invece hanno reso più faticosa la repressione. Alcune di queste sono poi cadute sotto la scure della Corte Costituzionale, altre sono state ammorbidite. Alcuni esempi: il già citato accorciamento dei termini di prescrizione; la riforma dell’articolo 513 del codice di procedura penale, che impedisce che le dichiarazioni acquisite al di fuori del dibattimento siano utilizzate come prova contro i soggetti cui si riferiscono senza il loro consenso. Oppure le norme sulle rogatorie internazionali. La responsabilità politica di queste scelte è ampiamente diffusa, da destra a sinistra.
Si può ravvisare un rapporto tra ciclo economico e livello di corruzione?
Esiste una singolare assonanza tra ciclo economico e corruzione. Durante le fasi di recessione, le indagini hanno infatti dato risultati positivi. Quando c’è la crisi ci sono meno soldi da dividere, e la gente è disposta meno a sopportare l’idea di dover pagare una tangente.
Quali strumenti sarebbero efficaci nella lotta alla corruzione?
Si deve spezzare la convergente convenienza al silenzio tra corrotto e corruttore. Ad esempio, con degli sconti di pena per chi parla. Ma anche questo può non essere sufficiente. A costo di essere impopolari, dovremo pensare a un test di integrità per i funzionari pubblici, misura già adottata in alcuni Paesi europei. O ancora: il reato di corruzione prevede che esista un “accordo” tra le due parti per il compimento o l’omissione di un atto determinato. Questo raramente può essere provato.
Meglio sarebbe che bastasse il semplice passaggio di denaro, e anche i processi sarebbero più semplici.

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.