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Altre Economie

Il mondo consumato come una candela

Ogni anno il Natale ci pone di fronte al nostro bisogno di simboli. Il mercato se ne prende gioco mentre fa di tutto per autoalimentarsi e mantenere al potere le élite che lo governano: vendere cose che non esistono (migliaia…

Tratto da Altreconomia 111 — Dicembre 2009

Ogni anno il Natale ci pone di fronte al nostro bisogno di simboli. Il mercato se ne prende gioco mentre fa di tutto per autoalimentarsi e mantenere al potere le élite che lo governano: vendere cose che non esistono (migliaia di contratti futures su barili di petrolio virtuali, ad esempio), far passare per affari i rischi altrui (come i famigerati derivati, o tanti altri prodotti di finanza speculativa), spacciare i sogni (come i mutui subprime o le carte di credito), venderci cose già nostre (come l’acqua), svendere servizi pubblici che funzionano, costano poco e tutelano i diritti, per far guadagnare i privati (per poi abusare della parola “liberalizzazione”, come se questa avesse a che fare con la libertà). E il mercato ci riempie di oggetti sapendo bene che ce ne libereremo il prima possibile (è l’obsolescenza programmata di cui parliamo da pagina 8). Lo spreco indotto dal mercato, quello che vediamo ogni anno a Natale, è un’arma di distruzione di massa che devasta il pianeta. Eppure la ripresa dei consumi è idolatrata come il dio che ci porterà fuori dalla crisi. O, almeno, da questa, in attesa di una nuova.
Ecco, noi non utilizziamo più gli oggetti. Noi li consumiamo, noi consumiamo il mondo proprio una candela come si consuma, simbolo votivo molto più natalizio di qualsiasi albero.
Al mercato noi vorremmo per una volta contrapporre simboli e significati. Già negli anni 70 e 80 lo psicoanalista americano James Hillman sosteneva che molti dei problemi psicologici della modernità nascono dal degrado dell’ambiente e dalla sua “povertà simbolica”. Quella della società dei consumi è una vana fuga dagli dei (Adelphi, 1991): tutti abbiamo bisogno di un ordine simbolico ed è pura illusione farne a meno, sostituendo i simboli con gli oggetti neutri del consumo. Gli oggetti non sono neutri, la trasformazione dell’ambiente e del paesaggio ha conseguenze dirette sulla nostra umanità sociale e psicologica. Scrive Hillman, citando Jung: “Gli dei sono diventati malattie. La causa dei nostri malesseri non sono immaginarie, bensì immaginali”. E per questo, dobbiamo riscoprire anche il senso della parola. “Con le parole -scrive ancora Hillman- noi possiamo modificare la realtà; possiamo far esistere, possiamo plasmare e modificare la struttura e l’essenza stessa del reale. L’arte della parola diventa modalità primaria per far muovere la realtà”. Ma se le realtà ultime sono solo gli oggetti, le cose, gli eventi materiali -cose morte, fuori da noi- allora il discorso non ha più alcuna efficacia. Flatus vocis, parole vuote, fiato sprecato.
Il consumismo, che ha il suo idolo -non il simbolo- nell’albero di Natale (carico di rifiuti in realtà, come quello che abbiamo messo in copertina) ci ha ammutolito.
In nome del mercato è stato fiato sprecato il vertice Fao sull’alimentazione di novembre, che avrebbe potuto contribuire a salvare milioni di vite umane. Fiato sprecato sarà probabilmente il vertice sul clma di Copenhagen, annichilito prima di iniziare dalle posizioni cinesi e americane. Riprendiamoci la parola, e con essa le nostre responsabilità.

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