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Diritti

Il mercato delle armi è sempre vivo

Le notizie delle ultime settimane dal fronte business armato

Confermando il vecchio adagio che recita "finché c’è guerra c’è speranza" anche i primi mesi del 2010 hanno confermato che il mercato degli armamenti, e con esso il comparto di spesa pubblica dedicato all’ambito militare, è attivo e soprattutto in attivo.
Varie notizie di queste ultime settimane lo confermano e, in particolare, rendono chiara la tendenza di un’apertura a nuovi mercati di vendita con nuovi "big spenders" che si affacciano sulla scena e allettano gli appetiti delle realtà industriali armiere (che invece sono le solite note). Tutte le maggiori aziende del settore si sono catapultate ad esempio in India a metà di febbraio, ansiose di placare il vorace appetito per le armi del gigante asiatico, alla maggiore delle fiere di settore tenuta a New Delhi.

650 compagnie da 35 paesi diversi hanno cercato di assicurarsi un posto a tavola, considerando che il budget indiano per la difesa è uno di quelli che sta crescendo di più negli ultimi anni, spinto soprattutto dalla volontà di rimpiazzare i vecchi sistemi sovietici attualmente in dotazione con le migliori tecnologie sul mercato.
All’abbuffata partecipa in prima linea anche l’italiana Finmeccanica che per bocca del suo vice presidente Filippo Bagnato ha dichiarato di considerare l’India, che importa il 70% delle sue armi e ha una spesa militare di circa 26 miliardi di dollari, tra i maggiori attori del futuro. La holding tricolore delle armi ha già venduto agli indiani nel corso degli ultimi anni elicotteri Sea King, torpedini e materiale per la sorveglianza e intende continuare gli affari nel settore aeronautico e dei sistemi di controllo. Senza dimenticare che la joint venture europea MBDA (in cui anche Finmeccanica ha una partecipazione) per mezzo della sua succursale italiana ha venduto negli ultimi anni batterie di missili Spada 2000 al Pakistan (che ne vuole ordinare altri) mentre contemporaneamente intende fornire agli indiani i missili anti-nave Marte in una versione dal range esteso. Come dire: valorizzare al meglio la spirale di spesa che viene indotta dalle frizioni tra i due paesi asiatici.

L’esempio dell’India dimostra quindi come il mercato armiero sia in grado di ampliare i propri orizzonti anche in un periodo di grossa crisi economica come quello attuale. La fetta di denaro che ne può derivare per le aziende di tutto il mondo non è secondaria, e da qui nascono perciò le frizioni che vedono contrapposti i grandi attori del settore. Non è un caso che anche Europa e Stati Uniti, ormai tradizionalmente stretti alleati nel campo militare, stiano facendosi una battaglia a colpi di provvedimenti: da ultime le restrizioni imposte nel mese di marzo dall’amministrazione a stelle e strisce all’inglese BAE Systems e le azioni messe in campo per estromettere EADS da una gara per la fornitura di una cisterna militare  (in cooperazione con Northrop Grumman).
Ovviamente tale mercato non esisterebbe senza i compratori, che per i sistemi d’arma sono essenzialmente i governi (in parte è diverso per le piccole armi) che contribuiscono con le loro spese militari, cresciute del 50% in 10 anni a partire dal 1999. Del caso italiano in generale abbiamo parlato nel volume "Il caro armato", con l’esempio più lampante di spesa inutile ed elefantiaca nell’acquisto previsto di oltre 130 cacciabombardieri F-35. La spesa, messa sotto la lente anche da un’apposita campagna di pressione, è sempre stata stimata in 13 miliardi ma le ultime notizie provenienti da oltre oceano fanno sospettare cifre ancora più alte: secondo il Pentagono i costi del programma F-35 Lightning II hanno sforato in crescita il 50% in più rispetto alle stime iniziali del 2001. Le stime elaborate nel corso degli anni dal Dipartimento della Difesa USA sono passate dai 50 milioni per aereo del 2001, ai 69 milioni per aereo del 2007 ai circa 90 milioni del 2009. Il tutto a prezzi costanti, perchè se invece si prendono come riferimento i prezzi attuali si arriva una valutazione di costo di circa 110 milioni a pezzo (il che proietta l’eventuale spesa per i 130 caccia italiani a oltre 14 miliardi…). Il tutto senza avere ancora una certezza di consegna ed operatività perché contemporaneamente le previsioni di pieno dispiegamento operativo per gli aerei che saranno forniti ad esercito e marina sono state spostate al 2016. Un ritardo di almeno anni rispetto alle ultime indicazioni, già ridefinite rispetto alle ipotesi iniziali. A conferma del fatto che i programmi militari complessi sono sempre più costosi e più lunghi di quanto venga detto, a parlamenti ed opinione pubblica, quando vengono proposti inizialmente.

Ma le spese militari dei vari paesi (compresa l’Italia) spesso vanno a finire in ambiti meno tradizionali è più da "giochi di guerra". Ne ha parlato recentemente anche un interessante servizio di RaiNews24 che ha ricostruito uno scenario in cui un quarto della spesa dei governi per il militare va a finire in nuove armi e tecnologie avanzate. Droni, cybersicurezza, soldato del futuro, nanotecnologie. Una profusione di denaro che spesso davvero sembra solo ludica e fantascientifica, a fronte delle nuove minacce alla sicurezza che sono molto più "banali" ma di forte impatto e pericolose, e che si inquadrano in una situazione di forte asimmetria. A riguardo delle prospettive future della guerra, e di conseguenza delle forniture di materiali che essa genererà, si può vedere il dossier sulle nuove guerre curato per Mosaico di Pace e pubblicato anche su questo blog di Altreconomia.

 

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