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Diritti / Reportage

Il fallimento dei minori detenuti visto da Casal del Marmo, l’istituto penale di Roma

© CHUTTERSNAP - Unsplash

Sovraffollamento, pene più lunghe e prevalenza di condanne per reati contro il patrimonio. Giuseppe Chiodo, neo direttore dell’Ipm capitolino, conferma una dinamica nazionale aggravata dal “Decreto Caivano”. È la sconfitta di una “società malata”, come osserva Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania

La cosa che colpisce andando verso l’Ipm di Casal del Marmo, l’istituto penale minorile di Roma, è che non è molto distante dall’ex manicomio, Santa Maria della Pietà, due istituzioni totali a un paio di chilometri l’una dall’altra e se una è stata chiusa e aperta al pubblico, l’altra è sempre più affollata. Gli Istituti penali minorili stanno infatti scoppiando, dicono i numeri fatti uscire da Antigone martedì 20 febbraio nel report ‘Prospettive minori’, ma è una problematica ben conosciuta da chi ci lavora.

L’Ipm, anche se non si può chiamare carcere, quello è: lo stesso cancello in metallo blu che si trova a Rebibbia, il cortile con le mura alte, le sbarre alle finestre. I detenuti invece sono dei ragazzini, gridano, ridono si prendono in giro, alcuni sono più grandi (si può restare al minorile fino a 25 anni di età) ma la maggior parte ha una faccia da bambino. O da bambina.
“Dopo il Decreto ‘Caivano è molto più facile per un minore entrare in un Ipm, è un fatto basta vedere anche solo i nostri numeri”, spiega Giuseppe Chiodo, neo direttore dell’istituto di Casal del Marmo. Chiodo è uno dei nuovi direttori che sono entrati tramite concorso alla fine del 2023, e come gli altri cinque entrati a Milano, Torino, Airola e Catania, non sono direttori di Istituti per adulti a fine carriera ma specialisti della materia. La riforma delle carriere dell’ordinamento penitenziario è in realtà del 2005, la legge Meduri (n.154/2005, attuata dal d. lgs. n. 63 del 2006).

“Fino al nostro arrivo si tamponava attribuendo la reggenza dei nostri istituti penale per i minorenni a dirigenti degli adulti, quindi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria,  che purtroppo si sono trovati a gestire contestualmente tre, quattro istituti tra cui un istituto penale per i minorenni”. Il nuovo direttore è alla sua prima esperienza come dirigente del sistema carcerario, il suo curriculum è piuttosto accademico-giuridico: un dottorato presso l’università Mediterranea di Reggio Calabria e un lavoro come coordinatore di Master, sempre in materia di diritto penitenziario. “Ho deciso di sostenere il concorso -spiega- perché mi interessava l’idea di dare una possibilità alle persone che poi vengono sottoposte all’esecuzione minorile. Nel senso che forse qui, nel sistema minorile, si percepisce di più la finalità educativa e risocializzante della pena. Negli istituti penali entrano gli ultimi tra gli ultimi, arrivano qui dopo tutta una serie di fallimenti del sistema”. Nel senso che è il sistema che delude i minori? “Nel senso che si sarebbe potuto intervenire prima”.

Il direttore divide la popolazione dell’Ipm in due macro categorie. Ci sono i minori stranieri non accompagnati che, anche a Casal del Marmo, sono circa la metà. “In questo caso è il sistema di accoglienza che non è riuscito a funzionare bene perché se invece di garantire una comunità o un percorso di formazione a un minore, mi passi il termine, lo costringiamo a vivere di espedienti, allora l’Ipm è un passaggio obbligato”. E in questo caso ci  possono essere anche risvolti positivi per l’acquisizione dei documenti o della lingua italiana, opportunità che sarebbero dovute essere garantite fuori. “Dall’altra parte ci sono i ragazzi del territorio che sono spesso già noti ai servizi esterni e sui quali però per tutta una serie di difficoltà non si è riusciti a intervenire in tempo -continua Chiodo-. Questa seconda categoria è composta da ragazzi che sono alla loro seconda terza quarta esperienza detentiva, che non sono mai riusciti a discostarsi da alcune scelte di vita”.

Il racconto del direttore ricalca perfettamente i numeri del rapporto “Prospettive minori”, da una parte c’è una forte presenza di maggiorenni, ovvero detenuti che hanno commesso reati da minorenni e possono restare in Ipm fino ai 25 anni, il 60% a Casal del Marmo. E la maggior parte dei detenuti è condannata per reati contro il patrimonio. Le alternative al carcere sono la messa alla prova, che tiene il minore fuori dal carcere e porta all’estinzione del reato, o l’inserimento in Comunità per minori ma i posti in queste comunità non sono sufficienti e quindi i ragazzi attendono settimane in Ipm prima che si trovi una collocazione esterna.

Il “clima” di Caivano però ha cambiato anche la durata delle pene. “Se prima la media era di un anno e mezzo -racconta il direttore- ora assistiamo, per le medesime condotte di reato, a un inasprimento della del trattamento sanzionatorio”. Quindi condanne più lunghe e non per i reati trattati dal Decreto Caivano (possesso e traffico di stupefacenti e armi), ma per quelli contro il patrimonio.

Il sovraffollamento, conviene il direttore, porta a un peggioramento della vita nel minorile. “Se devo guardare alla quotidianità detentiva questo significa aumentare le difficoltà di convivenza all’interno perché all’interno dell’Istituto gestiamo culture molto diverse. Aumenta la difficoltà di proporre delle attività educative con le quali impegnare la giornata e dare un senso al percorso all’interno dell’Istituto e quindi questo priva un po’ di senso la detenzione minorile che finora è stata intesa, sia dentro i confini nazionali che fuori come un esempio di buona gestione delle persone che purtroppo a un certo punto della loro vita finiscono dentro il circuito penale”. Ed è un problema anche per le ragazze, sei su 55 a Casal del Marmo, che già vedono i propri spazi sacrificati alle attività dei maschi. La soluzione per il sovraffollamento per il governo sembra quella di aprire nuovi Ipm, che oggi sono 17. “Stiamo andando in una direzione in controtendenza rispetto al passato -conclude sconsolato Giuseppe Chiodo-, quando si chiudevano perché non c’erano i numeri per tenerli aperti”.

Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, è un veterano della giustizia minorile, ex prete, fu uno dei primi ad aprire negli anni ottanta comunità per minori alternative al carcere. “Dobbiamo partire dai dati per interpretarli e capire come modificare il sistema. I soggetti in carico ai servizi della Giustizia minorile al 31 gennaio 2024, in tutta Italia, sono 13.740 -spiega Ciambriello-, una prima novità il numero delle denunce verso minori è costante nel tempo, ma i reclusi negli istituti penali per minorenni sono aumentati del 16%, negli ultimi mesi grazie al cosiddetto decreto Caivano”. Ma dei circa 14mila adolescenti presi in carico dal sistema, spiega ancora il garante, il 90% erano stati segnati per il rischio dispersione scolastica. “È chiaro che dobbiamo intervenire prima, seguire questi segnali. Certo non è una soluzione quella di passare dai 20 euro di multa se non si mandano i figli a scuola ai due anni di carcere per i genitori. Chi sta con il ragazzo se il genitore è in carcere?”.

Anche se Ciambriello rileva un cambiamento: la violenza (88 incriminati per omicidio consumato, 248 per tentato omicidio, oltre 900 per violenza sessuale) e quello che lui chiama “il vuoto negli occhi”, la mancanza totale di consapevolezza delle loro azioni. “Negli anni 80 se chiedevo a un minorenne perché aveva rubato l’autoradio o perché faceva la vedetta, quello rispondeva ‘padre io voglio il motorino, l’abbonamento al Napoli’ c’era un’idea di uguaglianza. Oggi se chiedo perché hai ucciso a un ragazzo, mi risponde con un vuoto. È un adolescente a metà”. “Abbiamo bisogno di chi segue queste persone che hanno una precarietà economica affettiva culturale che non sanno neanche che cos’è la legalità, concentriamoci sulla prevenzione”. E se alla fine entrano comunque in un Ipm, continua il garante, aumentare la custodia e “punire per educare” è “un’idea antipedagogica della rieducazione forzata del minore dentro le mura e non va bene”. E soprattutto non funziona.

“L’anno scorso sono stati decine i ragazzi evasi dagli Ipm, ma attenzione, quelli che sono evasi dovevano scontare pochissimo, sei mesi, un anno. L’ultimo è evaso da Airola e stava lì per una condanna di un mese: è evaso dopo 18 giorni e aveva 25 anni”. Il che significa che era andato in carcere per un reato che aveva commesso da minorenne, almeno sette anni prima, una delle altre tante storture del sistema. Ciambriello ha avuto comunità per minori dal 1989 al 2004. “Io ero convinto allora e lo sono anche oggi che se una società prende un ragazzo di 14, 15, 16 anni e, dopo averlo preso, lo giudica e, dopo aver giudicato, lo mette in carcere è una società malata. Che sta giudicando se stessa e la propria malattia”.

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