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Diritti / Opinioni

Il Ddl concorrenza e la sorte dei servizi pubblici locali. Due visioni del mondo si scontrano

© Anderson Rian Klwak, unsplash

Il disegno di legge in discussione al Senato rappresenta una rottura rispetto al quadro tracciato dalla Costituzione: il pubblico viene configurato come recessivo e per esistere deve persino giustificarsi. La norma è il mercato, la concorrenza. L’intervento di Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino

Attraverso l’articolo 6 del Disegno di legge sulla concorrenza (A.S. 2469, Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) passa uno scontro tra due visioni del mondo: da un lato, la cultura egemonica che mira alla massimizzazione del profitto e che assume a proprio fondamento la competitività, ovvero, l’immagine dell’uomo imprenditore di se stesso, l’orizzonte autoreferenziale del neoliberismo che cerca sempre nuovi spazi da mercificare. Dall’altro, l’orizzonte che invece pone al centro la persona inserita in una rete di relazioni, la dignità, i diritti, la partecipazione. Un orizzonte, quest’ultimo, che ha la sua trascrizione giuridica nella Costituzione.

Come scriveva il sociologo Luciano Gallino, tra le due prospettive c’è una “lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere”, un conflitto oggi negato dalle pretese di una delle due parti di ritenerlo vinto. L’articolo 6 del disegno di legge sulla concorrenza esprime l’arroganza di chi nega anche solo la presenza di un conflitto e pretende di “stracciare” l’esito del referendum del giugno 2011, e insieme ad esso la carta costituzionale. L’articolo 6 interviene “come se la Costituzione non esistesse” ed assume invece come paradigma la nota lettera della Banca centrale europea -a firma dell’allora presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, e dell’allora governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi- inviata al “Primo ministro” il 5 agosto del 2011 in cui si afferma testualmente: “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali”. Con iniziative come quelle del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e del Comitato acqua pubblica di Torino si chiede ai Comuni di intervenire e di far sentire la loro voce, difendendo le loro prerogative, il ruolo che è stato assegnato loro dalla Costituzione, e anche, in senso ampio, una visione del mondo.

Vorrei allora muovere proprio dal ruolo dei Comuni, dall’articolo 5 della Costituzione: “La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali […]”.

L’autonomia locale è inserita tra i principi fondamentali della Costituzione: a sottolineare la volontà di valorizzare l’autonomia in sé, al di là dei modelli organizzativi di cui al Titolo V. E l’inserimento tra i principi fondamentali dell’autonomia induce a insistere sulla connessione che esiste tra l’autonomia locale e principi quali democrazia, sovranità popolare, uguaglianza, solidarietà, sul rapporto con i diritti, con il progetto di emancipazione. L’autonomia è intrecciata agli altri principi, estrinseca la sovranità popolare, la partecipazione, ed è fondamentale nel garantire i diritti e la loro effettiva concretizzazione. L’autonomia, inoltre, è un concetto che si può estendere alla sfera delle persone e implica la creazione delle condizioni che rendono libera la loro autodeterminazione, e qui si inserisce il ruolo attivo delle istituzioni nel garantire il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione.

L’autonomia, ancora, si configura come autodeterminazione di un soggetto collettivo legato a un luogo, a un territorio, ovvero rispetto a una comunità connotata dal risiedere in un determinato spazio. Non si ragiona solo di una questione organizzativa rispetto all’esercizio di determinate funzioni, ma del riconoscimento di uno specifico spazio politico, di autogoverno, ossia esercizio di sovranità popolare (art. 1, Cost.). Attraverso l’autonomia passano il riconoscimento del pluralismo e il concetto di sovranità come appartenente al popolo e intrinsecamente plurale.

L’articolo 5 della Costituzione trova quindi sviluppo nel Testo unico delle leggi sugli ordinamenti locali (D. lgs. n. 267 del 2000), laddove all’articolo 1 si afferma che: “Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo” (c. 1); i Comuni hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa, amministrativa e impositiva finanziaria nei limiti di statuti, regolamenti e leggi (c. 4); hanno funzioni proprie e funzioni conferite con legge dello Stato e della Regione secondo il principio di sussidiarietà (c. 5). In specie, “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale”, in particolare nei “servizi alla persona e alla comunità”, nell’”assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico” (art. 13 TU).

I Comuni -sottolineo- esercitano le funzioni anche attraverso l’autonoma iniziativa dei cittadini e delle formazioni sociali (art. 3, c. 5, TU); un riferimento, quello alla partecipazione, poi ripreso nell’art. 8 del testo unico, dove si prevede che “i Comuni […] valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale”. La partecipazione, strumento e insieme obiettivo del progetto di emancipazione di cui all’art 3, c. 2, Cost., come essenza della democrazia, non può che esprimersi in maniera forte al livello più vicino ai cittadini, dove si lega ad un concetto di territorio come luogo vissuto, luogo di riconoscimento della pari dignità sociale, di esercizio dei diritti, di soddisfazione dei bisogni.

In sintesi, la prossimità, il livello locale, è centrale per: garantire, attraverso la vicinanza, l’effettività, il godimento dei diritti, in armonia e al servizio del progetto costituzionale di uguaglianza sostanziale; a questo sono finalizzati i servizi pubblici (locali) e a questo devono tendere, non al profitto. In secondo luogo il livello locale è centrale per concretizzare la partecipazione, sia “diretta” che di “controllo” (per inciso, anche per bilanciare un’autonomia politica segnata dal processo di verticalizzazione legato all’elezione diretta del Sindaco) e per esprimere esercizio di sovranità popolare nella sua accezione plurale (art. 1 Cost), nel senso di una valorizzazione della differenza, con il connesso riconoscimento di autodeterminazione (politica e non solo). Infine, per vivere il territorio, ricreando legame sociale, cittadinanza attiva, il senso del luogo, di una comunità, la solidarietà. L’autonomia, cioè, è impregnata di diritti, solidarietà, democrazia effettiva, eguaglianza sostanziale.

Si tratta di un quadro in linea anche con quanto si legge nella Carta europea dell’autonomia locale (Strasburgo, 15 ottobre 1985, ratificata ed eseguita con legge n. 439 del 1989): “Per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare […] a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici” (art. 3). “A favore delle popolazioni”, ovvero in stretta connessione con la centralità della persona, l’uguaglianza, la solidarietà, nella prospettiva dei diritti; e, per inciso, lontano da pulsioni territoriali egoistiche (il riferimento all’autonomia differenziata è voluto).

L’articolo 6 del Ddl concorrenza si inserisce in opposizione, in distonia, rispetto a questo quadro. In esso emerge come centrale, non l’idea di servizio a tutela dei diritti, per la realizzazione della dignità della persona, per il progetto di emancipazione, ma il rispetto della tutela della concorrenza. La concorrenza è presentata come elemento prioritario, come se solo da essa potessero derivare coesione sociale e territoriale. Dal complesso delle varie disposizioni dell’articolo 6 si evince molto chiaramente un processo di privatizzazione che ha la sua apoteosi nella lettera f) del comma 2, dove si prevede l’obbligo per l’ente locale di una “motivazione anticipata e qualificata per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione”. È palese come il pubblico venga configurato come recessivo, per esistere deve giustificarsi. La norma è il mercato, è la concorrenza, è il privato, non è il pubblico.

Anche la Corte costituzionale in una sentenza recente (n. 218 del 2021) ha affermato che la previsione dell’obbligo a carico dei titolari di concessioni affidate direttamente di esternalizzare tutta l’attività oggetto della concessione costituisce una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al legittimo fine della tutela della concorrenza. La Corte in questo caso interviene a tutela della libertà di impresa però sostiene chiaramente che non esiste un obbligo di affidare tutto al mercato, o una preferenza per questo modello.

Un inciso. La Corte scrive “legittimo fine della tutela della concorrenza”, io qui mi interrogherei su quanto sia legittimo e intoccabile il fine della tutela della concorrenza. È discutibile. La concorrenza è strutturalmente una modalità competitiva che crea disuguaglianza. Noi abbiamo una Costituzione invece che ha il cuore in un progetto di eguaglianza, di superamento delle diseguaglianze. La concorrenza strutturalmente è diseguale e, fra l’altro, tende a produrre concentrazione e a creare delle posizioni di monopolio. In proposito si può notare come nel disegno di legge si prevedano anche dei meccanismi di premialità a fronte dell’aggregazione dei servizi. Si può rilevare: in contrasto con l’asserita logica della concorrenza, ma in coerenza con i suoi esiti.

Concludo con una riflessione sul contesto in cui si inserisce il disegno di legge sulla concorrenza. Esso è tra le misure legislative connesse al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): tra le riforme “abilitanti” di questo Piano vi sono semplificazione e concorrenza. Entrambe sono oggetto del disegno di legge che prevede deleghe che rafforzano le semplificazioni per velocizzare l’attuazione del Piano e razionalizzare i controlli. Il termine razionalizzare può tradursi con “deregolamentare” e in proposito è sufficiente ricordare, come osservava Tocqueville, che la forma funge da barriera contro il forte a tutela del debole.

Appare chiara nel Piano, e nel disegno di legge concorrenza, la prospettiva ordoliberale: innanzitutto viene il privato, l’impresa, gli investimenti. L’unica prospettiva è l’economia di mercato; da essa possono discendere eventuali benefici sociali, ma il soggetto e l’oggetto è l’impresa. La parola “impresa” (declinata al plurale) ricorre 177 volte nel Piano nazionale di ripresa e resilienza; il termine Costituzione, invece, non c’è. Non c’è in senso formale ma non c’è nemmeno in senso sostanziale. Il Pnrr che si propone di configurare il futuro dei prossimi anni non tiene conto della Costituzione. È come se la Costituzione non esistesse. Per tornare all’inizio del discorso, vi sono due visioni del mondo differenti e contrapposte. L’articolo 6 depriva e insieme torce il senso dell’autonomia territoriale, lo svuota. E indebolisce, attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli. Il cuore del progetto costituzionale risulta svuotato, un progetto al quale il corpo elettorale ha rinnovato la sua fiducia, pronunciandosi contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali nel referendum del 2011.

Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Torino, studia da sempre i temi dei diritti fondamentali e delle forme di partecipazione politica e di democrazia diretta.

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