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I tifosi della nazionale
L’Italia è tornata a casa dai mondiali in Brasile dopo meno di due settimane, eliminata al primo turno. La squadra ha volato accompagnata da una formazione di sponsor, che garantiscono alla FIGC entrate per quasi 40 milioni di euro. Li abbiamo analizzati, da TIM a IP, da Nutella a Dolce&Gabbana —
“Gioco, passione, italianità”. Con questo slogan la nazionale italiana di calcio ha marcato la propria (sfortunata) presenza al campionato del mondo in Brasile, iniziato il 12 giugno in Brasile. Una spedizione coordinata dalla Federazione italiana giuoco calcio (il suo presidente è Giancarlo Abete), che è tecnicamente una “associazione riconosciuta con personalità giuridica di diritto privato federata al Comitato olimpico nazionale italiano”. Chi ne fa parte sono quelle società (private) “che perseguono il fine di praticare il giuoco del calcio in Italia”.
Ma il “tifo” è prima di tutto una questione di sponsor. E quest’anno la Nazionale italiana si presenta con 21 partner commerciali, tra sponsor tecnico, top sponsor, sponsor ufficiali, partner ufficiali, partner media, fornitori tecnici e chi mette a disposizione il mezzo per gli spostamenti. La carrellata inizia con chi fornisce il supporto nella gestione delle attività commerciali e di “sponsorship” in qualità di advisor, che è RCS Sport (società del gruppo Rizzoli Corriere della Sera).
Pubblicità e marketing costituiscono un “bagaglio” fondamentale per la FIGC guidata da Abete, visto che dei 181,2 milioni di euro di fatturato del 2012, 38,8 milioni erano frutto dei “ricavi da pubblicità e sponsorizzazioni”. Una “passione” in netta crescita, di oltre 29 punti percentuali, rispetto al 2011, e che ha abbondantemente superato la “voce” rappresentata dalle “quote degli associati” (24 milioni di euro nel 2012). Pur se in netto calo (-18% tra 2011 e 2012), il “capitano” dei ricavi della Figc rimane il contributo che annualmente le riconosce il Comitato olimpico nazionale (CONI), pari -nel 2012- a 68,3 milioni di euro.
Lo sponsor tecnico per gli Azzurri è Puma. L’ultima nota di cronaca che ha toccato il gruppo tedesco -che nel 2011 ha fatturato qualcosa come 3 miliardi di euro e che produce maglie, scarpe e guanti per i mondiali 2014 in Ucraina e Cina- è stata la rivolta dei dipendenti del più grande produttore di scarpe al mondo, scatenatasi a Dongguan, una cittadina del Sud della Cina. Nella fabbrica del gruppo Yue Yuen, fornitore anche di Nike, Adidas, Reebok, Asics, Timberland, “lavorano” 70mila persone (delle 420mila totali che occupa). A Puma, Adidas e Nike è stato inoltre indirizzato nel maggio di quest’anno il report “Cartellino rosso per i marchi sportivi” curato dai tecnici e analisti di Greenpeace. Nelle 32 pagine della ricerca sono stati pubblicati i risultati sulla tossicità di scarpe, maglie e guanti. Anche i prodotti Puma (un paio di guanti nello specifico) conterrebbeo ftalati, prodotti chimici che vengono aggiunti alle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la modellabilità ma che sono anche sostanze tossiche per la riproduzione, soggette a restrizione.
Dopo Puma per l’Italia c’è il Gruppo Telecom Italia (Tim è “top sponsor”) che tra le sue “partecipazioni rilevanti” conta -con il 4,81%- il fondo d’investimenti americano BlackRock (vedi Ae 156), l’unico oltre il 2% insieme a Telco Spa, Findim Group SA e Norges Bank.
La filiale italiana di BlackRock non rende pubblico alcun dato attendibile circa la raccolta dei risparmi, e non deposita nessun bilancio, delegando il tutto alla controllante londinese (BlackRock investment management limited) e alla casa madre con la testa nello Stato Usa a fiscalità agevolata del Delaware. Recentemente, BlackRock è stata messa sotto inchiesta dalla Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob) per un presunto duplice abuso di informazioni privilegiate (insider trading) avvenuto nel biennio 2012-2013.
Il Gruppo Telecom, invece, è stato interessato da un’inchiesta del Procura di Torino per usura e esercizio abusivo dell’attività bancaria.
Secondo il quotidiano La Stampa, sarebbe emerso un sistema criminale che irrorava di risorse aziende in difficoltà a fronte di finti acquisti di materiale informatico o tecnologico effettuato tramite la stessa Telecom. A concedere il leasing era Teleleasing, società partecipata all’80% da Mediobanca e al 20% da Telecom Italia.
Accanto al gruppo Telecom c’è poi la multinazionale Fiat, che dal gennaio 2014, su proposta del presidente del gruppo Exor John Elkann, ha mutato natura e denominazione trasformandosi in Fiat Chrysler Automobiles NV spostando la sede legale in Olanda, ad Amsterdam, e il domicilio fiscale privilegiato a Londra. È l’ultimo di una serie di tasselli di un’eufemistica disaffezione italiana del gruppo automobilistico, che ha avuto come simbolo la sorte dello stabilimento siciliano di Termini Imerese. Dopo promesse di rilancio occupazionale, Fiat si è spinta a prorogare la cassa integrazione ordinaria per 1.200 operai.
Terzo componente del gruppo di marchi “top” è Compass, il braccio finanziario di Mediobanca che fa credito al consumo. Tra i principali azionisti del patto di sindacato del gruppo che ha sede a piazzetta Cuccia a Milano sono Unicredit, il Gruppo Mediolanum, Pirelli & C. Spa, Fininvest e Ferrero.
Chi apre il capitolo degli “sponsor ufficiali” è Uliveto, marchio di proprietà di CoGeDi International Spa, che nel dicembre 2013 è stata sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) per il messaggio promozionale “acque della salute” ritenuto ingannevole e non suffragato da alcun riscontro oggettivo.
L’etichetta dell’acqua in bottiglia -la società ha fatto ricorso lo scorso febbraio contro il parere dell’Antitrust- sostiene ancora orgogliosamente che “per i suoi preziosi minerali e la microeffervescenza” Uliveto “aiuta a digerire bene e contribuisce a mantenere in forma la squadra”.
Chi ha preferito evitare un procedimento di infrazione da parte dell’Antitrust per messaggi pubblicitari evidentemente fuorvianti è stata invece la società L’Oreal Italia SpaAus, posseduta integralmente dalla francese L’Oreal Societè Anonime. Quest’ultima, che è la proprietaria del marchio Garnier, sponsor quanto “Uliveto” della Nazionale italiana, si è impegnata nell’ottobre 2013 a ritirare gli spot che enfatizzavano un inesistente rafforzamento e miglioramento della qualità della pelle.
Singolare è poi la posizione in cui si ritrova il marchio Dolce&Gabbana, altro sponsor della Nazionale. I fondatori del marchio, infatti, sono stati condannati a un anno e otto mesi per evasione fiscale dalla seconda Corte d’Appello di Milano lo scorso 30 aprile. L’accusa che grava sulle spalle di uno dei principali sponsor della delegazione italiana ai mondiali brasiliani è quella di aver raggirato il fisco italiano -tifosi compresi- circa un’imponibile di almeno 200 milioni di euro, attraverso una “esterovestizione” societaria. Nonostante il pubblico ministero milanese avesse chiesto l’assoluzione, i giudici hanno ritenuto responsabili i sostenitori della nazionale, condannandoli.
Anche il gruppo assicurativo Generali tifa e sostiene la Figc -e quindi la Nazionale di calcio-, e forse lo fa per non pensare a quell’inchiesta giudiziaria coordinata dalla Procura di Trieste che vede indagati gli ex vertici del Gruppo (tra i quali l’ex ad Giovanni Perissinotto, che ha ricevuto un avviso di garanzia a febbraio 2014) per il reato ipotizzato di ostacolo all’attività di Consob e dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass).
Per “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici “sono invece stati raggiunti da 25 avvisi di garanzia nel maggio del 2013 altrettanti amministratori e dirigenti del Gruppo Api, che detiene il brand di Ip, anch’esso sponsor della Nazionale.
Anche la Nutella accompagnerà in Brasile la squadra allenata dal commissario tecnico Cesare Prandelli. Italiana l’equipe, lussemburghese la sede legale della controllante dell’impero dolciario (e non), denominata Ferrero International SA -detiene il marchio Nutella-, che il 6 marzo scorso ha approvato il bilancio consolidato della galassia: 8,1 miliardi di euro di fatturato, 73 società consolidate, 795 milioni di euro di utile e 30.105 collaboratori (tra dipendenti ed esterni).
Ma il “partner ufficiale” più interessante è “Bassetti Home Innovation”, marchio posseduto al 100% dal gruppo tessile Vincenzo Zucchi spa. Dal 14 gennaio 2014 la società capofila ha visto entrare in vigore il patto di sindacato sul 57% circa delle azioni tra Matteo Zucchi, Gianluigi Buffon e la GB Holding Srl, vettore del quale il portiere titolare della Nazionale, nonché capitano, è socio unico.
Una scelta di campo quella di Buffon, divenuto il primo azionista del gruppo Zucchi-Bassetti, che l’interessato ha spiegato così: “Ho deciso di provare a cimentarmi in questa sfida importante e gravosa da un punto di vista economico. La mia sfida è di poter rilanciare un’industria italiana e di conseguenza l’economia italiana”. Sulla necessità di un rilancio di Vincenzo Zucchi spa non vi erano grandi dubbi: il bilancio datato 2012 aveva chiuso infatti con una perdita di 13,9 milioni di euro -su 128,5 milioni di ricavi-, e un’impietosa relazione della società di revisione in calce al consuntivo. “Non siamo in grado di esprimere un giudizio sul bilancio consolidato del Gruppo Zucchi”, scriveva Kmpg il 29 aprile 2013 alla luce delle forti “incertezze” registrate.
L’imprenditore Buffon ha portato liquidità e sollievo, ma tarda -ad oggi- a depositare i bilanci di esercizio della holding di partecipazioni societarie che ha fondato nel maggio 2011. Della GB Holding Srl, infatti, è noto soltanto il capitale sociale (10mila euro) e l’identità di chi ricopre la carica di amministratore: Buffon e sua madre Maria Stella Masocco, entrambi nominati con un atto recente, il 7 marzo 2014.
Né il codice etico del commissario tecnico Cesare Prandelli -stilato per regolare convocazioni e comportamenti dei calciatori- né lo Statuto della Federazione presieduta da Giancarlo Abete trattano o inibiscono il costituirsi di situazioni del genere, dove il più riconosciuto professionista facente parte della delegazione italiana ai mondiali ricopre contemporaneamente il ruolo di sponsorizzato e di sponsor, di investitore e di testimonial, seppur indiretto. Inoltre, data la riservatezza con la quale la Federazione italiana giuoco calcio tratta le clausole contrattuali degli accordi commerciali, non è possibile conoscere cifre, tempi e condizioni delle sponsorizzazioni elencate. E lo stesso vale per i contratti con Pai, Alitalia -con i suoi 3mila esuberi annunciati dall’acquirente Etihad-, Radio Italia, il caffè Segafredo-Zanetti, Kopron, Gillette, La Gazzetta dello Sport (partner media), Sixtus, Technogym e Iveco.
Chi potrebbe e dovrebbe fare chiarezza è il presidente della Federazione, Giancarlo Abete. Già parlamentare per la Democrazia cristiana per tre legislature (VIII, IX e X), Abete ha ereditato il testimone da Guido Rossi nell’aprile 2007. All’inizio del 2013 è stato riconfermato per un altro “quadriennio olimpico” dal 94,34% dei voti espressi dall’assemblea della Figc, composta dai presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche. E lo statuto della Federazione riconosce al proprio vertice un ruolo fondamentale. “Per la gestione del patrimonio immobiliare o per altre attività economiche -si legge all’articolo 12-, la Figc può avvalersi di società commerciali da essa controllate, i cui organi amministrativi e di controllo sono nominati su designazione del Presidente federale”. E questa società è la Federcalcio Srl -con un patrimonio netto di 32,6 milioni di euro-, controllata al 100% dalla Federazione, presieduta a sua volta da Abete e incaricata di “acquisire e gestire gli immobili destinati o da destinare alla pratica del gioco del calcio”.
Il presidente Abete risulta aver ricoperto la carica di amministratore delegato della società Azienda beneventana tipografica editoriale spa (A.Be.Te), che fa riferimento anche al fratello Luigi, già presidente di Confindustria e della Banca nazionale del lavoro, e oggi consigliere di Indesit Company Spa, Tod’s Spa (il proprietario Diego Della Valle è proprietario della Fiorentina e detiene l’8,9% delle azioni Rcs, che è advisor commerciale della Figc), Il Sole 24 Ore, nonché amministratore delegato dell’Agenzia stampa quotidiana nazionale (Asca) e presidente di Civita Servizi, che per oggetto sociale si occupa della “gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili” (vedi Ae 149). Una rete che ha un altro punto di contatto nella Gpmv Srl, costituita nel 2007 per la “promozione e la realizzazione di iniziative nel settore industriale, turistico, immobiliare, finanziario e commerciale”. Giancarlo e Luigi Abete detengono insieme il 99,18% delle quote sociali. —