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Diritti / Attualità

I numeri dell’asilo in Europa. Nessun passo indietro dell’Ue sul patto con la Turchia

Nella sua ultima relazione annuale, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo enfatizza il ruolo di Ankara nella diminuzione degli “arrivi illegali” dal 2016. Rimuovendo però le violazioni a danno dei richiedenti asilo e rifugiati. Per la prima volta dal 2015 l’Italia non è tra i cinque Stati europei con più domande. La retorica dell’invasione è smontata un’altra volta dai dati

© Flavio Gasperini - Sos Mediterranee

L’Unione europea non rinnega la “gestione” dei flussi migratori degli ultimi anni. E nella recente Relazione annuale sulla situazione dell’asilo nell’Unione europea 2020 pubblicata dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) enfatizza l’impropriamente detto “accordo” con la Turchia del 2016 che avrebbe “comportato fino ad oggi una diminuzione del 94% degli arrivi illegali”. Un risultato presentato come concreto e positivo, nonostante le note conseguenze sui diritti dei rifugiati e richiedenti asilo, poste in evidenza da svariati rapporti. Allo stesso tempo i dati contenuti nel documento confermano nuovamente l’assoluto scollamento tra la narrazione politica italiana dell'”emergenza rifugiati” e la realtà: se nell’Unione europea tornano ad aumentare le richieste di protezione internazionale (non succedeva dal 2015), nel nostro Paese sono in netta diminuzione. Inoltre, viene confermato, numeri alla mano, come il contesto italiano sia principalmente quello di transito.

Con riferimento all’esternalizzazione delle frontiere, la relazione riporta che nel 2019 la Turchia ha ospitato, in termini assoluti, il numero di gran lunga maggiore di rifugiati (3,6 milioni). Il dato turco rappresenta la chiave di lettura più significativa nella gestione dei flussi migratori dell’Unione europea. Easo sottolinea infatti la correttezza del partenariato tra Ue e Turchia, raggiunto con la dichiarazione del 2016, che ha ridotto del 94% rispetto al periodo precedente gli arrivi irregolari. I sei miliardi di euro stanziati per il periodo 2016/2025 avrebbero avuto secondo l’Ufficio l’obiettivo di “aiutare i rifugiati” e le comunità ospitanti in Turchia. Non è stato così.

Le persone continuano a rimanere bloccate (solo 27mila siriani sono stati ricollocati nel 2019) e gli arrivi definiti “illegali” sulla rotta orientale e balcanica crescono, con le violenze ai confini che si fanno sempre più brutali mettendo a rischio la vita di chi tenta di raggiungere l’Unione europea. Nella rotta orientale, sono stati 83mila gli arrivi nel 2019 contro i 56.600 dell’anno precedente. Questo comporta ancora maggiore pressione sui sistemi di accoglienza greco e cipriota. Soprattutto in Grecia, nonostante il trasferimento di 20mila richiedenti nel 2019, gli hotspot rimangono sovraffollati con 31mila persone ospitate in strutture dalla capienza totale di 8mila.

Aumentano anche gli arrivi “irregolari” sulla rotta balcanica, più che raddoppiati rispetto al 2018. Si passa da circa 6mila a 15mila. Easo sottolinea, anche in questo caso, il sostegno dell’Ue che comprende lo spiegamento di “guardie di frontiera” in Macedonia settentrionale e in Serbia e la negoziazione di accordi inerenti al riconoscimento dello status in cinque Paesi (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia settentrionale e Serbia) con personale dotato di poteri esecutivi sui territori. Le conseguenze, per coloro che tentano di raggiungere l’Unione europea, sono di fatto ostacoli al diritto d’asilo. Così come quelle connesse alla gestione dei flussi nel Mediterraneo centrale. Gli arrivi irregolari diminuiscono (sono circa 14mila nel 2019, contro più di 23mila del 2018) ma aumenta il tasso di mortalità nell’attraversare il Mediterraneo e il numero di respingimenti in Libia.

L’Italia, sotto questo punto di vista, gioca un ruolo di primo piano. La presunta invasione, alibi per le politiche di chiusura, continua a essere sconfessata dai numeri. Per la prima volta dalla crisi migratoria del 2015 nei Paesi “Ue+” (sigla che indica i Paesi membri dell’Unione europea con Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) sono aumentate le richieste di protezione internazionale. Sono state presentate circa 740mila domande con una crescita del 11% rispetto al 2018. Di queste, ben 166mila in Germania che è lo Stato con il più alto numero di richieste. Seguono Francia e Spagna, dove in relazione all’aumento delle richieste di cittadini venezuelani, che rappresentano la terza nazionalità con più richieste in assoluto, il dato è quasi raddoppiato rispetto al 2018 (circa 118mila). L’Italia invece vede il numero di richieste in decrescita. Sono state appena 44mila nel 2019, il 27% in meno del 2018 con la maggioranza dei richiedenti di nazionalità pakistana (20%): per la prima volta dal 2015, l’Italia non è tra i cinque Stati europei con più domande.

Un record triste, soprattutto se contestualizzato rispetto alle modalità con cui è stato raggiunto: dalla politica dei presunti “porti chiusi” alle procedure accelerate di richieste d’asilo, fino all’accoglienza ridotta o negata. A denunciare la fragilità del diritto d’asilo in Italia è anche l’ultimo rapporto Asylum Information Database curato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Nel capitolo dedicato al “Regolamento di Dublino”, è segnalato come l’Italia continui a essere sotto osservazione da parte degli altri Stati europei che non lo ritengono sufficientemente adeguato a garantire il rispetto dei diritti dei cosiddetti “dublinanti di ritorno”. Nello specifico, viene citata una sentenza della Corte costituzionale federale tedesca che rileva come l’Italia non garantisca condizioni adeguate di accoglienza a una famiglia con bambini, dopo le recenti modifiche legislative in tema di immigrazione.

Altri due dati interessanti vengono forniti in riferimento all’Italia. Nel 2019 il numero di domande ritirate è cresciuto del 85% superando le 14mila unità. Le domande di ritiro implicito (si stima che siano state i tre quarti dei ritiri totali delle domande di primo grado nel 2019) sono un indicatore indiretto dei casi di fuga e di movimenti secondari verso altri Paesi. Infatti il numero di ritiri di Grecia e Italia aggregati corrispondo ai due quinti del totale europeo. Questo conferma come l’Italia sia un Paese principalmente di transito.

Un altro dato in controtendenza riguarda il numero di domande pendenti. Nel 2019 i Paesi Ue+ hanno decretato all’incirca 585mila decisioni di primo grado, con circa 912mila domande di protezione internazionale che sono ancora in attesa di decisione. In Italia invece, il numero di domande pendenti sono diminuite di più del 50% (47mila contro le 102mila del 2018), con un aumento dei rigetti delle istanze di primo grado di protezione (circa 75mila, con il 18% di rifiuti destinati a cittadini/e nigeriani).

Easo conclude sottolineando che l’imprevista diffusione globale del virus Covid-19 avrà un ruolo decisivo nella definizione degli sviluppi relativi all’asilo poiché metterà in evidenza la necessità di approcci innovativi. Nella speranza che nell’individuarli non si seguano le orme del passato.

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