Terra e cibo / Opinioni
I dinosauri dell’agricoltura

Il mondo dell’agroindustria non menziona ancora la crisi climatica e i sistemi produttivi alternativi. La transizione non basta. Serve una rivoluzione. La rubrica di Riccardo Bocci
Il 19 febbraio 2025 il commissario europeo all’Agricoltura Christophe Hansen ha reso noto il documento “Una visione per l’agricoltura e l’alimentazione”. Non voglio commentarlo ma analizzare come è stato accolto dal mondo agroindustriale attraverso le parole di uno dei suoi portavoce più illustri: quelle di Paolo De Castro, l’ex europarlamentare Pd e già ministro dell’Agricoltura. L’intervista rilasciata al quotidiano ItaliaOggi, il giorno prima della conferenza del commissario, è un ottimo esempio per capire quanto ancora la politica agricola sia narrata con un linguaggio vecchio e ormai vuoto.
Dalle argomentazioni esposte sembra che De Castro sia rimasto al secolo scorso, completamente immerso nella retorica della modernità. Il problema agricolo è ancora vissuto come un negoziato sindacale per le risorse e non come la tragedia di un settore economico che è causa e, allo stesso tempo, vittima dei cambiamenti climatici. L’urgenza di attuare una rivoluzione per ripensare e ristrutturare il fare agricoltura oggi è completamente assente. Uso consapevolmente il termine “rivoluzione” e non “transizione” per evidenziare che il passaggio non è indolore o neutro, ma frutto di un conflitto tra diverse visioni di società. De Castro plaude al ritorno della competitività come tema chiave.
Ma quale senso ha oggi usare questa parola? Con chi deve competere l’agricoltore italiano? E su quale mercato? Il modello è il Parmigiano Reggiano o il prosciutto di Parma da esportare in Cina o il prosecco in America? Cioè pochi prodotti di nicchia, basati su sistemi produttivi che stanno desertificando le zone su cui insistono? Nel 2025 dovrebbe essere evidente, ormai, che alcuni di questi sono diventati distruttivi e dobbiamo sostenere solo quelli che sono anche riproduttivi delle condizioni di vita.
Purtroppo però De Castro afferma compiaciuto che finalmente la Commissione europea a Bruxelles ha capito che “la dimensione economica e sociale diventa prioritaria rispetto a quella ambientale”. Il richiamo alla modernità novecentesca si ritrova in altri passaggi dell’intervista. La debolezza strutturale dell’agricoltore nel sistema agroalimentare si risolve tramite il rafforzamento delle filiere, non come suggeriva anni fa il sociologo Johannes van Der Ploeg, scollegandosi dai mercati dei fattori produttivi e dei prodotti. La sua proposta della “ricontadinizzazione” non era un ritorno al passato ma il tentativo di traghettare nel futuro il ruolo dell’agricoltore, privato di senso dall’essere diventato un imprenditore agricolo.
Il valore delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani nel 2024 è stato di 69,1 miliardi di euro, che fanno segnare un nuovo record e un aumento del 7,5%. Tra i principali Paesi di destinazione ci sono la Germania, gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna (fonte: Coldiretti su rielaborazione dati Istat).
E qui De Castro si dimostra un dinosauro prima dell’estinzione, affermando che “l’agricoltore cerca di fare profitto e ridurre i costi”. Quanto di più lontano dalla molteplicità di forme in cui oggi nelle campagne si sta cercando di ridare un senso a questa professione. In questo modello del secolo scorso compare anche il consumatore, come naufrago in un mare di etichette, il cui senso non è più chiaro neanche ai produttori che le usano. De Castro si felicita di avere l’origine della materia prima in etichetta, dimentico del gioco delle tre carte su cui si basa il “Made in Italy”, in cui solo il processo di lavorazione resta nel Paese.
E in ultimo non poteva mancare il tema della scienza. Fare a meno della chimica pericolosa, i pesticidi che il Green Deal ha tentato di ridurre, è possibile solo se agli agricoltori si dà un’alternativa costituita dalle Nuove tecniche genomiche (Ngt). Insomma si continua nel modello agroindustriale sostituendo la chimica con la biologia, senza modificare il paradigma alla base. Sistemi produttivi alternativi, come il biologico, non trovano spazio in questa narrazione riduzionista e modernizzatrice.
Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola
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