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Ambiente / Attualità

I consumi insostenibili dei ricchi compromettono la disponibilità di acqua in città

Città del Capo, South Africa © Frederik Schweiger - Unsplash

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature sustainability mostra come le disuguaglianze sociali possono aggravare la carenza idrica e, se non contrastate, portare a maggior vulnerabilità sociale nel lungo periodo. Con riflessi pari a quelli causati dalla crescita della popolazione e dalla crisi climatica. Il caso di Città del Capo

Le disuguaglianze sociali possono aggravare la carenza d’acqua e, se non contrastate, portare a maggiore vulnerabilità sociale nel lungo periodo. Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature sustainability, il consumo non sostenibile delle risorse idriche da parte dei gruppi più ricchi della società compromette la disponibilità e l’accesso a fonti d’acqua, con conseguenze uguali a quelle causate dalla crescita della popolazione e dai cambiamenti climatici.

I ricercatori si sono soffermati sulle crisi idriche nelle aree urbane, dove già oggi vive la maggior parte della popolazione mondiale. Le Nazioni Unite avvertono che in futuro l’aumento della domanda di acqua dovuto a una maggiore urbanizzazione si scontrerà con una contemporanea riduzione della risorsa. Alcune proiezioni indicano che la popolazione urbana che dovrà far fronte alla scarsità di acqua passerà dai 933 milioni del 2016 a una cifra compresa tra 1,7 e 2,4 miliardi di persone nel 2050, quasi la metà della popolazione mondiale che vivrà in città.

“La siccità non è semplicemente un fenomeno climatico, dipende sia da fattori ambientali sia dai consumi”, spiega Elisa Savelli, ricercatrice dell’Università di Uppsala e prima autrice della ricerca. Per comprendere quali sono gli impatti e le cause della carenza di acqua -chiarisce la ricercatrice- non è sufficiente prendere in considerazione parametri come l’espansione delle aree urbane, le condizioni meteorologiche e demografiche, ma è necessario interpretare il fenomeno determinato da cause sociali e ambientali. “Se c’è poca pioggia, il suolo si secca, meno acqua va a finire nelle falde acquifere e nei bacini idrici di superficie, di conseguenza diminuisce l’acqua disponibile. In questo processo le attività umane contano perché il modo in cui noi cambiamo l’uso del suolo o andiamo a sfruttare la terra modifica l’impatto della siccità sul terreno. E la maniera in cui noi utilizziamo le risorse idriche riduce la quantità di acqua disponibile, nel terreno e nelle fonti. Ogni attività umana influenza questo processo, che a sua volta influenza le attività umane. Per questo motivo definisco la siccità un fenomeno socio-ambientale”.

Per analizzare quali dinamiche sociali sono alla base della scarsità di acqua in città e in che modo questa produca impatti sulla popolazione, i ricercatori hanno creato un modello che simula i livelli di consumo nei diversi gruppi sociali. L’obiettivo è capire qual è il peso delle diverse fasce della popolazione sulla disponibilità di acqua della città -il bilancio idrico urbano- e al tempo stesso valutare come i diversi gruppi sono in grado di reagire in situazione di crisi.

L’area metropolitana di Città del Capo, in Sudafrica, è stata utilizzata come caso di studio per applicare il modello, per due ragioni: la città è caratterizzata da forti disuguaglianze socio-economiche e, tra il 2015 e il 2017, ha attraversato una grave siccità che si è trasformata in una crisi idrica senza precedenti. I risultati mostrano come le fasce di reddito alta e medio-alta insieme utilizzino più della metà (51%) dell’acqua consumata dall’intera città. Gli abitanti degli insediamenti informali nelle periferie e le famiglie a basso reddito -il 61,5% della popolazione- consumano invece appena il 27,3% dell’acqua.

Sono il livello di reddito, il tipo e le dimensioni dell’abitazione e i comfort presenti a spiegare i consumi tra le classi privilegiate. All’interno di queste, la maggior parte dell’acqua è utilizzata per bisogni non fondamentali come l’irrigazione di giardini, il rifornimento di piscine e per altri impianti idrici. Al contrario, negli altri altri gruppi la gran parte dell’acqua consumata è impiegata per soddisfare i bisogni di base, come cucinare, dissetarsi e per le pratiche di igiene personale.

Il modello ha anche simulato come le strategie di gestione dell’acqua possano colpire la popolazione e influenzare future crisi idriche. Sempre prendendo come riferimento Città del Capo, i risultati mostrano che le misure per affrontare le emergenze possono compromettere l’accesso all’acqua dei gruppi a più basso reddito. Dopo la siccità, le istituzioni della città sudafricana avevano imposto misure restrittive per evitare di prosciugare le fonti idriche pubbliche. Le restrizioni prevedevano il razionamento dell’acqua, l’aumento delle tariffe calcolato in base al consumo e multe per usi illeciti o in eccesso. Savelli spiega che “queste misure non differenziano i vari gruppi sociali, sono uguali per tutti”: tutti devono riuscire a ridurre i consumi e a pagare di più. “Questo vuol dire che in base alle risorse economiche, ogni gruppo sociale è in grado di rispondere diversamente”. E infatti i gruppi a più alto reddito sono stati in grado di sostenere l’aumento delle tariffe e di accedere a risorse alternative di acqua, come sistemi di raccolta dell’acqua piovana e pozzi privati all’interno delle abitazioni. “I gruppi privilegiati sono riusciti a ridurre il consumo dell’acqua pubblica potendo contare sull’accesso a risorse alternative. Le fasce a basso reddito, invece, non riuscivano a pagare per l’aumento delle tariffe né ad accedere a fonti alternative”.

Per verificare in che misura il consumo di acqua da parte dei gruppi a reddito più alto contribuisca a una gestione non sostenibile dell’acqua, i ricercatori hanno applicato il modello a diversi scenari: crescita della popolazione urbana del 2% all’anno; cambiamento climatico con un aumento della temperatura di 2 °C; aumento del consumo da parte dei gruppi privilegiati; uso più equo e sostenibile dell’acqua da parte di tutti. Confrontando gli scenari, gli autori hanno rilevato che l’aumento del consumo di acqua da parte di gruppi privilegiati può avere un effetto maggiore sulle risorse idriche rispetto alla crescita demografica o ai soli cambiamenti climatici.

Per i ricercatori le abitudini di consumo dei gruppi ad alto reddito sono insostenibili perché, nel breve periodo, utilizzano in modo sproporzionato l’acqua che dovrebbe essere a disposizione dell’intera popolazione; e a lungo termine, costituiscono una minaccia per il bilancio idrico delle fonti locali superficiali e sotterranee che diminuiscono in quantità, potenzialmente aumentando le disuguaglianze nell’accesso alla risorsa.

“Il caso di Cape Town -prosegue Savelli- dimostra che il benessere economico aumenta il consumo di acqua. Anche se nel caso della città sudafricana le differenze tra i gruppi sono estreme, in altre capitali, potrebbero ugualmente verificarsi condizioni di disparità. Questo ci interessa perché le disuguaglianze sociali ci sono anche in Europa”.

Nelle intenzioni della ricercatrice, la pubblicazione scientifica è un appello a tutti i decisori politici che si occupano di disegnare e implementare politiche di gestione dell’acqua: “Se vogliamo trovare le radici della scarsità d’acqua o le cause di un eccessivo consumo, dobbiamo vedere dove va l’acqua, chi ne usa troppa e chi meno. Quello che si fa di solito invece è prendere in considerazione i consumi medi della città e applicare misure e riduzioni sulla base di quelli. Ma quel dato non evidenzia le disparità che ci sono alla base”.

Questo “zoom” sulle disuguaglianze socio-economiche dovrebbe così servire a mettere a fuoco soluzioni diverse da quelle basate unicamente sulla costruzione di nuove infrastrutture o sullo sviluppo di nuove tecnologie. “Se pensiamo di affrontare le future crisi idriche solo con nuove dighe, nuovi bacini idrici, nuove infrastrutture, credo che rischiamo di protrarre il problema della siccità nel futuro. La costruzione di infrastrutture ci farà sentire sempre poco vulnerabili alla siccità, e chi consuma molto continuerà a consumare come fa. I livelli di insostenibilità non si abbasseranno”.

Per Savelli, le disuguaglianze di accesso all’acqua e le loro conseguenze sono determinate dalla politica, da dinamiche di potere e da un sistema economico che stimola il consumo, la produzione e la crescita. “Dal punto di vista politico sarà necessario sperimentare sistemi alternativi, capaci di esercitare meno pressione sulle risorse naturali e di garantire equo accesso a tutti. A questo scopo, in futuro, vorrei fare lo stesso tipo di studio in campo industriale e agricolo per vedere come queste diseguaglianze tra chi ha troppo e chi ha poco, tra le varie produzioni agricole, influenza la scarsità d’acqua”.

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