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I Comuni davanti alla sfida delle comunità energetiche

© Insung Yoon, unsplash

Gli enti locali guardano con interesse alle possibilità offerte dalla produzione condivisa di energia sul territorio. Ma spesso non hanno le competenze tecniche per sviluppare e gestire i progetti. Il ruolo dei soggetti privati e le possibili alternative

Ogni giorno gli uffici della cooperativa energetica ènostra ricevono tre-quattro richieste di informazioni o consulenza da parte di sindaci, tecnici comunali o consulenti delle amministrazioni locali che sempre più spesso chiedono indicazioni su come attivare e gestire una comunità energetica rinnovabile (Cer). “Attualmente stiamo seguendo una ventina di progetti promossi in prevalenza da Comuni, ma anche da soggetti privati: nella maggior parte dei casi si tratta di amministratori particolarmente motivati, che spesso hanno avuto accesso dei finanziamenti per la realizzazione di impianti fotovoltaici ma non hanno le competenze tecniche necessarie all’attivazione e alla strutturazione della comunità energetica”, spiega Sara Capuzzo, presidente di ènostra. La cooperativa affianca gli enti locali nelle diverse fasi del percorso oltre a garantire un accompagnamento per tutto il primo anno successivo all’attivazione della Cer: “Il nostro obiettivo è dare supporto, sviluppare un processo partecipato e condiviso e fare in modo che le competenze restino sul territorio e che il soggetto gestore della comunità energetica possa operare in autonomia già nel breve periodo”, sottolinea Capuzzo.

Il recepimento dell’Italia della direttiva europea “Red II” (avvenuto con il decreto legislativo 199 entrato in vigore il 15 dicembre 2021) apre la strada alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in maniera diffusa sul territorio con iniziative dal basso e ha acceso forte interesse anche da parte dei sindaci. Un interesse che però spesso si scontra con le difficoltà degli amministratori locali a gestire una partita complessa e che richiede competenze specifiche. “C’è un bisogno trasversale di rafforzare le capacità di governance dei Comuni di piccole e medie dimensioni su un tema così ‘verticale’ come quello dell’energia, che non si incardina nella strutturazione attuale degli uffici. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza mette a disposizione 2,2 miliardi di euro per i Comuni con meno di 5mila abitanti ma non contempla l’assistenza tecnica e questo è un problema, non avendo predisposto prima centralmente o uniformemente sul piano regionale misure di rafforzamento dei Comuni o di supporto -spiega Giada Maio, responsabile ufficio Energia, mobilità e trasporto pubblico locale di Anci-. Proprio perché i Comuni non hanno competenza diretta in materia di produzione dell’energia, ma hanno il compito di governare il territorio e un ruolo decisionale insostituibile, che oggi spesso esercitato in condizioni di asimmetria informativa verso gli operatori del settore energetico”.

La situazione sul territorio nazionale, spiega ancora la rappresentante dell’Anci, è a macchia di leopardo: ci sono enti che sono stati in grado di organizzarsi in autonomia per rispondere a questa nuova sfida, altri che hanno abbandonato la partita delle comunità energetiche prima di iniziare, altri ancora che hanno potuto contare sul supporto regionale come successo in varie Regioni, dalla Lombardia all’Emilia-Romagna, dove sono state istituite strutture ad hoc con questo obiettivo.

Ad aggiungere ulteriore incertezza c’è poi il fatto che a nove mesi dall’entrata in vigore della direttiva “Red II” mancano ancora i decreti attuativi dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) che devono stabilire le condizioni di interconnessione delle Cer nella rete elettrica e il decreto del ministero della Transizione ecologica che fissa entità e modalità di accesso agli incentivi.

Chi sta lavorando per dare risposte alle richieste degli enti locali è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) che ha messo a punto due strumenti ad hoc. Il primo è Recon (Renewable energy community ecONomic simulator) un applicativo web finalizzato a supportare valutazioni preliminari di tipo energetico, economico e finanziario per la nascita di una comunità energetica. Inserendo nel sistema una serie di dati (informazioni sull’edificio-impianto, consumi elettrici ricavabili dalle bollette, caratteristiche dell’impianto e alcuni parametri economico-finanziari) l’utente può ottenere diverse informazioni sulla resa energetica dell’impianti fotovoltaico, l’autoconsumo e la condivisione energetica, l’impatto ambientale in termini di riduzione delle emissioni di CO2, i risparmi e i ricavi (da vendita e valorizzazione dell’energia prodotta) e i costi. Il secondo è Dhomus (acronimo che sta per i Data homes and user), una piattaforma dedicata agli utenti residenziali che svolge le funzioni di raccolta, aggregazione e analisi dei dati provenienti dagli utenti residenziali per fornire feedback educativi all’utente e rendere consapevoli i cittadini dei loro dati energetici per aiutarli a comprendere quanta energia consumano e per quali usi, così da guidarli a contenere sia consumi sia i costi “trasformando l’utente residenziale in soggetto attivo che contribuisce alla stabilità della rete elettrica nazionale”, si legge sul sito della piattaforma.

“Questi strumenti hanno come obiettivo quello di aiutare la gestione delle Cer anche da parte delle amministrazioni locali. Sono rivolti a chi ha già delle competenze di base in tema di energia oppure può beneficiare di un accompagnamento e vuole fare una serie di valutazioni preliminari all’attivazione di una comunità energetica rinnovabile -spiega Paolo Zangheri, ricercatore Enea specializzato sui temi dell’energia-. Siamo però consapevoli del fatto che difficilmente il tecnico di un piccolo Comune, magari oberato di lavoro, si metterà a utilizzarli in autonomia: queste iniziative hanno maggiori probabilità di successo se c’è un accompagnamento o se gli enti locali si mettono in rete per condividere competenze e risorse”.

È quello che sta facendo, ad esempio, la multiutility Garda uno (realtà 100% pubblica, partecipata da 56 Comuni tra le province di Brescia e Verona) che sta utilizzando “Dhomus” e “Recon” per costruire una “rete” composta da diverse Cer per rispondere alle sfide della transizione energetica e ai bisogni del territorio. “Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto a settembre 2021, mettendo a disposizione dei Comuni le nostre competenze tecniche -spiega ad Altreconomia Massimiliano Faini, direttore del settore Attività produttive di Garda uno-. I nostri paesi sono sottoposti a vincoli architettonici e paesaggistici che rendono difficile l’installazione di impianti fotovoltaici nei centri storici, ma al tempo stesso noi riceviamo molte richieste da parte dei Comuni per dare una risposta a questa domanda di autoproduzione di energia. Da qui la nostra iniziativa: non andare alla ricerca di soluzioni difficili per attivare impianti da pochi kilowatt in quartieri sottoposti a tutela ma facciamo in modo che gli impianti costruiti in altre zone del territorio possano andare anche a beneficio delle utenze e delle attività commerciali che non possono auto-prodursi l’energia”.

Per raggiungere questo obiettivo i tecnici di Garda uno hanno svolto un’analisi territoriale, individuando tutte le superfici adatte all’installazione di un impianto fotovoltaico e libere da vincoli paesaggistici: tetti di piscine, palestre comunali, sale multifunzione, tettoie dei campi da calcio. “Ci permetterebbero di installare 160 nuovi impianti fotovoltaici per un totale di circa 14 MW distribuiti tra tutti i Comuni, pari al fabbisogno di 7.300 appartamenti -sottolinea Faini-. Gli strumenti messi a disposizione da Enea per noi sono fondamentali perché ci permetteranno di monitorare puntualmente produzione e consumo, oltre che ottimizzarne la coincidenza”, spiega ancora Faini.

Proprio il raggiungimento di un ottimale equilibrio tra l’energia prodotta e quella utilizzata all’interno della singola comunità energetica rappresenta la condizione per ottenere gli incentivi previsti dal Gestore servizi energetici (Gse). “Questo è un elemento che non va mai perso di vista e su questo tema insisto molto durante gli incontri con i tecnici comunali -sottolinea Faini-. I benefici delle comunità energetiche non sono semplicemente l’autoconsumo o il risparmio in bolletta: le ricadute sul territorio saranno prevalentemente di tipo sociale. L’incentivo del Gse può essere utilizzato dai Comuni per finanziare servizi che oggi faticano a essere sostenuti, penso ad esempio all’assistenza agli anziani o al trasporto scolastico, oppure come bonus per le ricariche delle auto elettriche”.

C’è poi un’ulteriore opzione per gli enti locali intenzionati ad avviare una comunità energetica: rivolgersi a un gestore privato. Lo ha fatto, ad esempio, il Comune di Blufi (PA) ha accolto la proposta di Enel X -società che si occupa di servizi e impianti legati a efficienza energetica, mobilità sostenibile ed energy management-di creare una comunità energetica coinvolgendo altre cinque municipalità nel territorio delle Madonie. Il progetto, denominato “Green blue energy”, prevede la realizzazione di tre impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici scolastici comunali per una potenza complessiva di 64 kWp che permetteranno di produrre circa 90mila kWh all’anno da condividere tra i 16 soci della Cer.

Sebbene non possano aderire alle comunità energetiche come soci, i grandi soggetti industriali della filiera energetica possono proporsi come soggetto gestore (remunerato) degli impianti e della rete. “Il nostro vuole essere un ruolo di supporto nella creazione della comunità energetica: dal contratto di servizio all’installazione dell’impianto se ci viene richiesto. Ma anche per quanto riguarda gli aspetti di gestione: dall’installazione dei misuratori alla gestione della piattaforma tecnica fino alla ricerca di ulteriori soci se necessari -spiega ad Altreconomia Simone Benassi, responsabile area comunità energetiche di Enel X-. Andiamo poi a stipulare un contratto di servizio e abbiamo pensato a una formula di abbonamento”.

“Questo tipo di proposta può essere utile per le amministrazioni comunali in questa fase di transizione, in particolare per le realtà più piccole che non hanno al loro interno risorse adeguate in termini di competenze e di personale. In questo momento potrebbe esserci spazio per tutti -riflette Paolo Zangheri di Enea-. Noi puntiamo a dialogare con le società energetiche affinché gli strumenti di monitoraggio siano interoperabili e avere così una situazione ‘armonizzata’ a livello nazionale che ci permetta di raccogliere dati confrontabili ed effettuare un monitoraggio efficace anche per dare un ritorno all’ambito normativo”.

Chi invece guarda anche con una certa preoccupazione all’attivismo degli operatori privati nei confronti delle amministrazioni locali è l’Anci. “Gli enti territoriali non hanno accesso ai dati sul consumo energetico del territorio: la prima cosa che il Comune dovrebbe avere per strutturare la propria azione sono le informazioni, che sono fondamentali per esercitare la propria capacità decisionale. Che non può essere ceduta a terzi -sottolinea Giada Maio-. Se questo nodo non viene risolto ci sarà sempre uno sbilanciamento di interessi a favore del privato a dispetto dell’interesse collettivo. Sono molteplici i soggetti che si affacciano costantemente alle porte dei municipi per offrire le proprie proposte, spesso troppo standardizzate, senza un’analisi preliminare dei bisogni dei territori; proposte che i Comuni devono avere know how per valutare e fare adattare ai propri bisogni. La collaborazione con il mondo privato è fondamentale, anche a vantaggio della qualità dei progetti dei Comuni, ma devono cambiare le condizioni in cui gli enti locali operano in un ambito vitale come la transizione energetica e la sostenibilità ”.

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