Economia / Opinioni
I bonus edilizi e quegli annunciati effetti negativi della cessione dei crediti
Il sistema di cartolarizzazione dei crediti fiscali collegato alla misura del “Superbonus” ha prodotto due conseguenze problematiche: un mercato parallelo e sganciato dall’effettivo andamento dei lavori e un minor gettito per l’Erario. Le ricadute per la finanza dello Stato rischiano di essere molto rilevanti. L’analisi di Alessandro Volpi
Con estrema insistenza il Governo Meloni sta individuando negli effetti dei due principali bonus edilizi, il “Superbonus” e il “Bonus facciate”, i principali responsabili della grave difficoltà dei conti pubblici del nostro Paese. Le valutazioni in merito alla reale ricaduta di queste misure sia in termini di miglioramento delle abitazioni italiane sia in quelli relativi alla capacità di favorire la ripresa di alcuni settori non sono troppo confortanti.
Secondo gli ultimi dati della Direzione generale del Tesoro, i benefici in termini di Prodotto interno lordo (Pil) del Superbonus e del bonus facciate sono stati pari a 62 miliardi di euro in due anni, a cui si aggiungono 29 miliardi di euro di maggiori entrate fiscali, per un totale di 91 miliardi. Il costo per le finanze pubbliche è stato però più alto: il Superbonus è costato, in quel lasso tempo, 76,1 miliardi di euro, ben più dei 35 stimati, e il bonus facciate è costato 19 miliardi anziché i 5,9 preventivati. In totale, dunque, 95 miliardi di euro. In altre parole, un euro investito nei due bonus ha partorito meno di un euro di beneficio.
C’è soprattutto un dato molto evidente destinato a creare infiniti problemi alla finanza pubblica. Si tratta della possibilità di cedere più volte il credito maturato in fattura con la realizzazione dei lavori edilizi; in pratica un sistema di cartolarizzazione dei crediti fiscali che è stato ritenuto necessario dagli estensori del provvedimento in materia di bonus per favorire il felice esito dell’iniziativa.
In realtà la possibilità di cartolarizzare, scritta nella norma in origine senza in pratica alcuna vera limitazione, ha prodotto un duplice effetto assai negativo. Da un lato ha creato una sorta di mercato parallelo e sganciato dall’effettivo andamento dei lavori della “carta” generata in previsione dei bonus; una simile liberalizzazione ha certamente facilitato non solo il moltiplicarsi di truffe ma anche la determinazione di continui “sconti” e oscillazioni di prezzo dei crediti medesimi, legati in primis alle notizie sul mantenimento o meno dei bonus da parte del governo.
Sta avvenendo così che un volume complessivo di crediti, assai probabilmente vicino ai 130 miliardi di euro, circoli nella pancia delle imprese e delle famiglie italiane con un valore reale di incerta definizione e con conseguenti, altrettanto marcate, incertezze sulle sorti finanziarie delle stesse imprese e delle famiglie. Un dato questo aggravato dal fatto che a oggi circa il 60% dei lavori consentiti dal Superbonus sono ancora da realizzare e le scadenze sono ormai, di fatto, quasi esaurite.
Questo significa che l’eventuale blocco totale dei bonus genererebbe dure perdite per i detentori di crediti, con un effetto paragonabile a quello degli “assegnati” durante la Rivoluzione francese, mentre una sua eventuale proroga, sia pur limitata a fasce di reddito, imporrebbe costi assai importanti per i conti dello Stato, ipotecando una parte rilevante della futura Legge di Bilancio.
Dall’altro lato, la cessione dei crediti si deve tradurre in termini fiscali, consentendo al titolare di sfruttarli per coprire il proprio debito nei confronti dello Stato. Ciò ha comportato una quantificazione di minor gettito per l’Erario che è stato determinato però fin dall’avvio del provvedimento in misura molto limitata. Una quantificazione che per effetto dell’esplosione della cartolarizzazione è risultata sempre più inadeguata, costringendo peraltro ad ampliare i margini di spazio fiscale a cominciare dalle banche.
Dunque, mano a mano che emerge il gigantesco peso dei crediti ceduti si fa strada l’esigenza di reperire risorse per compensare il minor gettito, aprendo un buco dai confini incerti, perché l’eventuale mancata prosecuzione del provvedimento potrebbe determinare fallimenti di impresa e difficoltà economiche diffuse. In sintesi, e in maniera paradossale, la cartolarizzazione ha provocato la parziale perdita di valore dei lavori effettuati, una crescita esponenziale dei crediti fiscali e di conseguenza enormi criticità per la finanza dello Stato.
Alla luce di ciò si può sostenere che l’esperienza non ha insegnato quasi nulla: le cartolarizzazioni sono una creazione ipotetica di un valore fittizio che funge da volàno iniziale, genera speculazioni e lascia enormi buchi, come hanno dimostrato, in passato, le cartolarizzazioni con cui i Governi Berlusconi hanno avviato la dismissione del patrimonio pubblico, finendo per svenderlo allo scopo di coprire almeno una parte dei crediti in circolazione. Ora la situazione è resa più grave dalla natura fiscale del credito che può davvero scatenare una ricaduta micidiale.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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