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Gli inamovibili dell’Expo

Perché alle inchieste sulla corruzione nell’Esposizione non ha fatto seguito l’allontanamento delle imprese coinvolte? I limiti del “Protocollo di legalità” descritti da Altreconomia 166 anticipano le richieste delle Corte dei Conti, che il 15 dicembre ha chiesto ad Expo spa di gestire "in modo incisivo e trasparente i problemi ancora presenti, tra i quali quelli conseguenti ai procedimenti giudiziari in corso, assicurando la legalità delle procedure di affidamento delle opere e dei servizi"

Tratto da Altreconomia 166 — Dicembre 2014

Le insegne del Gruppo Maltauro sono ancora lì, sul sito destinato ad ospitare l’Expo e nel cantiere della “Via  d’acqua Sud”, una delle opere collegate all’Esposizione universale. Nessuno ha potuto allontanare l’azienda vicentina, presente anche nel Consorzio -si chiama CEPAV 2- che dovrebbe realizzare l’Alta velocità tra Brescia e Verona (vedi Ae 165), nonostante le due inchieste relative agli appalti Expo che l’hanno coinvolta, e che hanno portato  all’arresto di due dirigenti della società Expo 2015 spa, prima Angelo Paris e poi Antonio Acerbo. Quanto è successo sancisce il fallimento sostanziale del “Protocollo di legalità”, sottoscritto nel febbraio del 2012 dalla società che realizza l’Expo, partecipata da Governo ed enti locali, e dalla Prefettura di Milano. “Prevede misure atte a rendere più stringenti le verifiche antimafia, anche mediante forme di monitoraggio durante l’esecuzione dei lavori” spiega il sito expo2015.org. Non permette, però, di allontanare le imprese coinvolte in casi di corruzione: “Nel caso di Maltauro, l’Avvocatura di Expo spa ha ritenuto inapplicabile il ‘Protocollo’. Eppure l’inchiesta ha provato un’azione illegale da parte di dirigenti di Expo spa, ma nonostante un’ammissione di colpevolezza da parte dell’amministratore delegato del Gruppo Maltauro, l’azienda resta sui cantieri” spiega David Gentili, presidente della Commissione antimafia del consiglio comunale di Milano. Il problema c’era. E si è cercato di porre rimedio. Ma la firma di un “Atto aggiuntivo in materia di anticorruzione” al Protocollo, siglato il 3 ottobre scorso, è passata in sordina sui media. L’ha voluto l’Autorità anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone, che dall’agosto scorso si occupa di alta sorveglianza e di garantire “correttezza e trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere del grande evento Expo Milano 2015”. E suona come un’ammissione di inadeguatezza: in particolare, l’atto aggiuntivo prevede che quando un imprenditore che ha vinto una gara per Expo fosse raggiunto da una “misura cautelare” (come la custodia cautelare in carcere), la società dovrà esercitare la “clausola risolutiva espressa”, cioè allontanare quel soggetto dai cantieri. Prima non era così.
L’atto aggiuntivo, però, non è retroattivo, come ci conferma il portavoce di Raffaele Cantone, e quindi inapplicabile per tutti quelle gare assegnate prima del 3 ottobre -è successo a novembre, in relazione all’appalto “Via d’acqua Sud”-.

Se Maltauro è ancora sui cantieri di Expo è perché l’unica possibilità era quella di “commissariare” la società vicentina relativamente agli appalti vinti, quello per le architetture di servizio del sito di Expo 2015 (è successo nel luglio 2014), e quello per la “Via d’acqua Sud” -a novembre-.
Secondo David Gentili, però, l’azienda avrebbe dovuto essere allontanata comunque, e -qualora avesse fatto un ricorso amministrativo- Expo spa (e i suoi soci) avrebbero dovuto affrontarlo: “Secondo me, al TAR a volte vale la pena perdere, quando c’è da affermare un principio -spiega Gentili, che aggiunge-: adesso Raffaele Cantone ha chiarito meglio quell’elemento, e per quanto riguarda eventuali futuri episodi di concussione o corruzione, relativi a nuovi contratti siglati nei prossimi mesi, la mancata denuncia di una richiesta di pagamento di tangenti diventa un elemento dirimente”. Purtroppo, quando mancano cinque mesi all’avvio di Expo sono poche le gare ancora da assegnare, per un importo complessivo di “circa 50 milioni di euro” come ci conferma l’ufficio stampa di Expo spa.
Circa 16 milioni valgono quelle relative all’allestimento del Padiglione “Zero” e del Padiglione Italia. Quelle già assegnate, invece, sono 35, “censite” nel database http://dati.openexpo2015.it, per un importo complessivo di oltre 570 milioni di euro. 

Quando mancano 5 mesi a maggio 2015, però, c’è chi misura il rischio oltre la durata della manifestazione. Per David Gentili, l’orizzonte della preoccupazione è già oggi la capacità di verificare le aziende che saranno impegnate, dopo il prossimo 31 ottobre, nella demolizione della Piastra espositiva, del Padiglione Italia e degli altri padiglioni, compresi quelli dei Paesi ospiti. “Alla fine di Expo, che controlli ci saranno?”, si chiede, ed è una domanda retorica. Ci si chiede che cosa potrà fare Expo spa per allontanare eventuali imprese colluse con la criminalità organizzata dai Padiglioni dei Paesi ospiti, dato che -spiega Gentili- “neanche sarebbe possibile lasciarle fuori dal cantiere nel caso in cui la Prefettura valutasse necessario emettere interdittiva antimafia”. Tutto ruota sempre intorno al Protocollo di legalità, la cui applicazione -come spiegammo su Ae 160- è solo facoltativa per i Paesi esteri.
A metà ottobre, Gentili ha avanzato una proposta concreta per ovviare al problema, nel corso di una riunione con alcuni dirigenti di Expo spa, tra cui il Direttore per gli Affari legali: la società -spiega- potrebbe “negare il pass di accesso al cantiere alle aziende per le quali la Prefettura ravvisi gli estremi per l’emissione dell’interdittiva antimafia”, quando queste non vengono escluse dall’appalto dalla stazione appaltante straniera.
Solo cinque, infatti, sono i Paesi “ospiti” ad aver firmato il “Protocollo di legalità”.
“Anche questo principio è discutibile, perché significa che deleghiamo al Kazakistan o alla Svizzera l’applicazione di norme che riguardano il contrasto alle mafie sul nostro territorio, ed è illogico -spiega Gentili-. A mio avviso, però, si potevano ‘dribblare’ eventuali norme internazionali che potrebbero negare l’applicazione del Protocollo, in modo semplice: un elenco delle aziende ‘ammissibili’ esiste, è la White List provinciale presso la Prefettura di Milano, ed Expo spa si sarrebbe potuto impegnare a non rilasciare alcun badge per l’ingresso ai cantieri alle imprese che non ne fanno parte. Così, volenti o nolenti, anche i Paesi stranieri avrebbero dovuto affidare ad altri l’esecuzione dei lavori”.
La proposta è stata giudicata irricevibile, ma -spiega Gentili- “non ho ricevuto delle risposte giuridicamente provate. Io e Gian Antonio Girelli (presidente della Commissione antimafia di Regione Lombardia, ndr) abbiamo inviato ora una lettera a Prefetto, ministro dell’Interno ed Expo spa: solleciteremo una risposta intellegibile”.

Secondo Gentili, le istituzioni non si sono dimostrate pronte ad affrontare il tema della corruzione, “che avrebbe dovuto essere contrastata al pari della criminalità organizzata. Non c’è ragione -spiega il presidente della Commissione antimafia del consiglio comunale di Milano- per un trattamento diverso: perché le imprese ritenute ‘colluse’ devono essere immediatamente allontanate, se solo alcuni soggetti risultano indagati per presunti rapporti rapporti con la criminalità organizzata, mentre un soggetto come Mantovani spa può continuare a gestire il proprio appalto Expo nonostante l’amministratore delegato Piergiorgio Baita sia stato arrestato due volte nell’ambito di inchiesta per corruzione?”.

Si parla invece di mafia nell’ultima, nuova inchiesta che ha “scosso” Milano a fine ottobre, toccando i cantieri di una delle grandi opere collegate ad Expo spa, la Tangenziale Est esterna di Milano, inserita nel dossier di candidatura presentato a suo tempo dal Comune e dal governo italiano al BIE (Bureau international des expositions). L’operazione è definita “Quadrifoglio”, e tra gli arrestati ci sono esponenti di clan che avrebbero ottenuto dei subappalti nella realizzazione dell’autostrada di circa trenta chilometri che dovrà collegare l’A1 all’A4. “I protocolli di legalità avrebbero potuto forzare le regole della libera concorrenza: un’azienda per il ‘trasporto terra’ che voglia partecipare ad appalti per opere collegate ad Expo, si segnali in Prefettura. Questo avrebbe senz’altro aiutato, anche se nemmeno l’accesso alla White List assicura ‘per il futuro’. Ma l’accesso ai dati, e la messa in rete, delle singole Prefetture, è un elemento sempre più imprescindibile, anche se ciò che noto è una scarsa elasticità sulle interdittive antimafia” spiega Gentili.
Al primo posto nell’elenco delle persone fermate su disposizione della Procura della Repubblica-Direzione distrettuale antimafia di Milano, come spiega un comunicato diffuso dal ROS dei Carabinieri, c’è Luigi Calogero Addisi, “55 anni, originario di San Calogero (VV), residente a Rho (MI), già consigliere comunale di Rho, imparentato con alcuni esponenti di vertice della cosca Mancuso di Limbadi (VV)”.
Addisi -eletto nel Partito democratico- era anche un quadro di Milano-Serravalle spa, società oggi controllata da Regione Lombardia (e da Provincia di Milano nel periodo in cui le indagini erano in corso), di cui è azionista anche il Comune di Milano. Lavorava alla Direzione acquisti e sviluppo commerciale, e Milano-Serravalle spa è azionista della società che sta realizzando la Tangenziale Est esterna di Milano.

L’etica nella politica è al centro dell’attività di Gentili, che è coordinatore per la Lombardia di “Avviso pubblico”, la rete degli enti locali per la formazione civile contro le mafie (www.avvisopubblico.it). L’associazione ha da poco stilato la “Carta di Avviso pubblico”, un codice etico (volontario) per la buona politica, che prende il posto della “Carta di Pisa” (vedi articolo di Pierpaolo Romani, a fianco). “Un tema dirimente, per chi si propone di amministrare la cosa pubblica, è dichiarare all’inizio del mandato tutti i possibili conflitti d’interesse. Nel caso di Addisi, entrando nel merito, egli sarebbe legato attraverso la moglie a un potentissimo boss della ‘ndrangheta”. Se avesse sottoscritto la Carta di Avviso pubblico, nel momento in cui si è candidato, avrebbe dovuto rendere pubblica quest’informazione. E forse non lo avrebbero eletto. —

Cosa resterà dell’Expo
L’ultima tegola è calata sull’Esposizione universale a metà novembre: è andata deserta la gara per il “dopo-Expo” bandita da Arexpo, la società proprietaria del sito espostivo -i cui azionisti sono Regione Lombardia e Comune di Milano, che detengono il 34,67% del capitale, Fondazione Fiera di Milano (27,66%), Provincia di Milano (2,00%) e Comune di Rho (1,00%). Non è arrivata nessuna offerta per l’acquisto dell’area di un milione di metri quadrati, che i soci pubblici di Expo spa (c’è anche il Governo) avevano scelto di acquistare dopo lunghe trattative andate avanti dal 2006 al 2011 (vedi Ae 162). Nessuna delle 15 “manifestazioni d’interesse”(si è parlato anche della possibilità di costruite il nuovo stadio del Milan) si è concretizzata. Spaventa forse il costo -la base d’asta è di 315.426.000 euro-, oppure l’esigenza di sviluppare un progetto “nel rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti sull’area stessa“, che prevedono che più della metà dell’area -che fino al 2004 ospitava un’azienda agricola- sia destinata a parco. A questo punto è vicina la soluzione che prevede uno “spezzatino”.

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