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Diritti / Varie

Gli ergastolani senza scampo

Un libro riapre il dibattito sull’ergastolo "ostativo", quella pena senza fine e senza possibilità di benefici o misure alternative che al 2015 riguardava ancora 1.174 condannati al carcere a vita. Dal rapporto con la Costituzione alle finalità rieducative della pena, fino alla tutela dei diritti umani.
Intervista ad Andrea Pugiotto, 
professore di Diritto costituzionale dell’Università di Ferrara e co-autore del volume "Ergastolani senza scampo", edito da Editoriale Scientifica Napoli

In Italia, 1.174 persone sono condannate al carcere a vita senz’alcuna possibilità di scampo, benefici o misure alternative. La loro pena non è l’ergastolo "comune" ma l’ergastolo "ostativo". Su dieci ergastolani, sette sono "ostativi".
Carmelo Musumeci è uno di questi. 
Sul certificato di detenzione è riportato il suo "fine pena", uno dei timbri degli oltre mille e cento “uomini ombra” -come li definisce lui stesso, detenuto a Padova-: 31/12/9999; gli ergastolani “senza scampo”, a differenza degli oltre 52mila detenuti nelle carceri italiane, sono chiamati a scontare una pena perpetua perché condannati per gravi reati (previsti dall’art. 4-bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario, legge 354/75). A differenza dei “comuni” ergastolani, gli “ostativi” possono ottenere benefici penitenziari o misure alternative solo se “collaborano”. Una condizione imposta dallo Stato intorno alla quale si è riaperto il dibattito pubblico (non solo giuridico) sulle sue criticità costituzionali. Un dibattito che si interroga volutamente sul sistema in sé, sollevando lo sguardo da giudizi specifici sulle “colpe” dei “senza scampo”.

 

È uno dei meriti del lavoro di Musumeci e di Andrea Pugiotto, professore di Diritto costituzionale dell’Università di Ferrara, che sono autori del libro “Ergastolani senza scampo” (Editoriale Scientifica Napoli). Alla prefazione del presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri seguono due parti: gli scritti, intensi, di Musumeci sulle giornate “con la fronte incollata alle sbarre”, dall’alba alla notte, e l’analisi giuridica puntuale e propositiva di Pugiotto (più un’appendice empirica). “In tempi di terrorismo internazionale e di perdurante aggressività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso -scrive proprio Silvestri-, affermare con la giusta decisione princìpi fondamentali in tema di umanità della pena può suscitare reazioni sfavorevoli, ma è più che mai necessario, sul piano etico e giuridico, per tener fede ai valori posti a base della nostra civiltà”.

 

Professor Pugiotto, chi sono gli ergastolani ostativi? 

 

Nel suo ultimo libro (Reagì Mauro Rostagno sorridendo, Sellerio, 2014) Adriano Sofri, a ragione, li chiama “gli ergastolani senza scampo”. Rispetto a quella dell’ergastolano comune, infatti, la condizione del condannato all’ergastolo ostativo si rivela -se possibile- ancora peggiore. Il primo almeno conserva il diritto a che il protrarsi della pretesa punitiva dello Stato venga periodicamente riesaminata, ai fini dell’accesso possibile ai benefici penitenziari (permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale). Il secondo, invece, non ha neppure tale diritto: se non collabora utilmente con la giustizia, qualunque misura alternativa alla pena gli è preclusa, indipendentemente dal tempo trascorso e dal percorso rieducativo compiuto. Per lui e solo per lui, la detenzione è sempre e soltanto intramuraria e l’ergastolo è, davvero, una pena senza fine. Per lui, e solo per lui, ogni giorno trascorso è un giorno in più (e non in meno) di galera. 

 

Come si concilia tutto questo, se si concilia, con la finalità rieducativa della pena scolpita all’articolo 27 della nostra Costituzione?

 

Nella formulazione della sua domanda c’è già la risposta: come accade agli opposti, una cosa non si concilia con l’altra. Né può essere diversamente: con l’ergastolo ostativo, infatti, la pena esce dal suo orizzonte costituzionale per retrocedere all’interno dell’ingranaggio investigativo, di cui rappresenta un prolungamento successivo alla condanna. Il suo scopo, infatti, non è il reinserimento del reo, quanto piuttosto ottenere da lui informazioni utili alle indagini.

 

Cosa significherebbe abolire l’ergastolo ostativo?

 

Superare l’attuale regime significherebbe riconoscere agli ergastolani (non più) ostativi la possibilità di usufruire del beneficio della liberazione condizionale. La sua concessione rimarrebbe subordinata a una duplice condizione, accertabile caso per caso dal Tribunale di sorveglianza. La prima è che non sussistano collegamenti tra il reo e la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. La seconda è che l’ergastolano, scontati almeno ventisei anni, abbia tenuto durante la detenzione un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. Nessun automatismo di sorta, dunque. Semmai la restituzione di un po’ di ragionevolezza in situazioni, oggi, senza alcuna speranza. 

 

Qual è l’orientamento della Corte costituzionale nei confronti dell’ergastolo ostativo?

 

Il “fine pena mai” dell’ergastolo ostativo squarcia il velo dietro il quale -fino ad oggi- è stato ritenuto conforme a Costituzione la previsione normativa del carcere a vita. È noto l’argomento adoperato: l’ergastolo non sarebbe una pena davvero perpetua, potendosi riconoscere nella liberazione condizionale –dopo ventisei anni di detenzione– la porta che “consente l’effettivo reinserimento anche dell’ergastolano nel consorzio civile” (sent. n. 264/1974). Così una pena che l’art. 22 del codice penale definisce “perpetua”, non lo è più de facto. È un sofisma argomentativo. È come dire che l’ergastolo esiste perché tende a non esistere, quasi fosse una malattia autoimmune. È un sofisma che non può valere per la variante ostativa dell’ergastolo: (anche) la liberazione condizionale, infatti, è preclusa all’ergastolano ostativo non collaborante, condannato così a una pena perpetua, de jure e de facto. Dunque, incostituzionale perché contrario a quel reinserimento sociale cui tutte le pene “devono tendere” (art. 27, 3° comma, Cost.).

 

 

Perché, allora, l’ergastolo ostativo non è stato ancora dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale?

 

Perché resiste, a Palazzo della Consulta, un argomento psicologistico: la preclusione ai benefici penitenziari -a detta della Corte- dipende pur sempre da una scelta, rimessa al condannato, di collaborare o meno con la giustizia. Nessun automatismo, dunque, sarebbe imputabile all’art. 4-bis, tanto più che la collaborazione con la giustizia deve essere naturalisticamente e giuridicamente esigibile: quando è impossibile o irrilevante, il regime ostativo non scatta. Si tratta però di un argomento verosimile ma non vero.

 

Perché?

 

L’argomento poggia su un’ipotesi controvertibile. Infatti, non è sempre vero che la preclusione derivi dalla scelta del condannato di non collaborare, pur essendo nelle condizioni per farlo. Accade, ad esempio, nell’ipotesi -estrema ma non impossibile- di errore giudiziario, che trasforma kafkianamente in una colpa irredimibile l’innocenza e il non aver nomi o fatti da denunciare. O quando il giudice di sorveglianza riconosce esigibile una collaborazione che, invece, l’ergastolano ostativo sostiene essere impossibile o irrilevante.

Come si concilia l’ergastolo ostativo con l’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che sancisce il divieto di trattamenti detentivi inumani e degradanti?

 

Anche qui, non si concilia per nulla. In verità, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo non è di per sé contraria a una pena di durata indeterminata, purché l’indeterminatezza non si traduca in carattere assoluto di perpetuità. L’espressione adoperata dalla Corte EDU -“pena perpetua riducibile”- è un ossimoro.

Dal punto di vista giuridico, invece, è un argomento da mettere a valore. L’obbligo di riducibilità della pena perpetua, infatti, si declina secondo specifiche regole procedurali miranti a garantire al condannato la possibilità di un riesame della sua situazione detentiva, in nome -dice la Corte EDU- del suo “diritto alla speranza”. Ebbene, nessuna di queste condizioni procedurali è riscontrabile nel regime giuridico dell’ergastolo ostativo italiano. 

 

Nel libro ha fatto anche riferimento all’ergastolo nello statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale.

 

L’ho fatto per ristabilire le giuste proporzioni. In Italia l’ergastolo ostativo è previsto per reati associativi di stampo mafioso o di terrorismo, anche internazionale: la loro gravità porta molti a giustificarne il conseguente regime sanzionatorio. Eppure lo Statuto di Roma, istitutivo di un tribunale che giudica di reati per i crimini di guerra e contro l’umanità, esclude una pena perpetua non riducibile: ai sensi del suo art. 110, in caso d’inflizione della pena all’ergastolo, è previsto il dovere per la Corte Penale Internazionale di riesaminare la condanna, trascorsi venticinque anni di detenzione. L’esclusione di un ergastolo senza scampo dall’arsenale di cui dispongono i giudici de L’Aja non può che essere ricondotta al rifiuto di una pena contraria, in sé, al senso di umanità.

 

Quali sono i punti in comune tra l’ergastolo ostativo e la pena di morte?

 

Ambedue possono essere ricondotte alla categoria della morte come pena, in ragione della loro comune natura eliminativa: entrambe sono privazione di vita perché cancellazione di futuro, azzeramento di ogni speranza, amputazione dal consorzio umano. Attraverso l’ergastolo ostativo, infatti, lo Stato si prende la vita del condannato, murandola per sempre dentro un carcere, rivelandone così la sua autentica natura: quella di una "pena di morte nascosta", per citare la pertinente definizione di Papa Francesco. In quanto pena detentiva fino alla morte, l’ergastolo ostativo per il reo non collaborante vìola il divieto -assoluto e incondizionato- della pena di morte introdotto in Costituzione con un’apposita legge di revisione approvata nel 2007.

 

In prospettiva, si può pensare a un superamento dell’ergastolo ostativo? Esistono proposte parlamentari in tal senso?

 

Nell’attuale XVII Legislatura sono stati presentati in Parlamento tre disegni di legge modificativi del regime speciale dell’art. 4-bis. Si è andati anche oltre il mero impulso iniziale al procedimento legislativo, attraverso l’approvazione alla Camera di un disegno di legge delega di iniziativa governativa, contenente (tra le altre modifiche all’ordinamento penitenziario) anche la revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo. Ed è proprio lavorando attorno a tale delega che, nell’ambito dei recenti Stati generali per l’esecuzione penale, il Tavolo tematico n. 16 ha elaborato ragionevoli proposte di riforma del regime ostativo, ora nella prospettiva di un suo adattamento costituzionale, ora di un suo superamento.


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