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Ghouta orientale: il racconto fantastico sotto le bombe reali

La guerra in Siria compie sette anni. I civili sono “target” bombardati dai caccia e gli ospedali non sono più un luogo sicuro. Nei giorni decisivi per la martoriata Ghouta, pubblichiamo la rubrica di aprile di Luigi Montagnini, medico anestesista-rianimatore che da anni collabora con Medici Senza Frontiere

Tratto da Altreconomia 203 — Aprile 2018
La città di Douma, nella Ghouta orientale, Damasco, Siria, 25 febbraio 2018 - © REUTERS/Bassam Khabieh

“E lui chi è?”, chiese preoccupato l’infermiere mentre scarabocchiava sul modulo di accettazione. “È il nostro primo figlio, Najem”. “Non avevate nessuno cui lasciarlo? Questo non è un posto sicuro”. “No -rispose il padre, mentre guardava il bimbetto che dormiva sulla panchina all’ingresso, rannicchiato nella coperta rossa di Rasha- siamo fuggiti due giorni fa perché hanno distrutto la nostra casa. I miei suoceri, che Dio ne abbia pietà, vivevano sotto di noi. Sono morti nel crollo”. Lui, Najem e la moglie Aseel, prossima al parto, avevano trovato riparo nella casa del cugino Tarek, in attesa di capire dove si sarebbero spostati i combattimenti. Alle prime contrazioni di Aseel, avevano deciso che avrebbero portato in ospedale anche Najem. Rasha, la moglie di Tarek, si era offerta di tenere il bimbo con loro, fino a quando Aseel non fosse stata dimessa, ma lui non avrebbe saputo perdonarsi se fosse successo qualcosa a Najem mentre si trovavano divisi. “Prendete almeno questa coperta -aveva detto Rasha seguendoli alla porta- dicono che in ospedale non ci sia più gasolio per il riscaldamento, farà freddo”. Erano le tre, le strade buie, i lampioni spenti da diversi giorni. L’ospedale non era lontano, ma ci vollero comunque diversi minuti per raggiungerlo. Tarek era abituato a destreggiarsi nelle strette vie del circondario. Da quando era rimasto senza lavoro, si era proposto come autista di ambulanze. Proprio quella mattina, mentre tornava a casa dopo il colloquio col direttore locale della Red Crescent, un’ambulanza era stata colpita da una bomba. Il paziente, due soccorritori e l’autista erano morti carbonizzati.

15, le strutture mediche supportate da MSF in East Ghouta (in Siria) danneggiate o distrutte nella seconda metà dello scorso mese di febbraio

L’infermiere rialzò la testa dai moduli e continuò il discorso: “No, neppure gli ospedali sono più sicuri. Ieri pomeriggio abbiamo ricoverato un gruppo di pazienti provenienti da una clinica della periferia, completamente rasa al suolo. Mentre i soccorritori cercavano di recuperare altri feriti dalle macerie, sono passati una seconda volta per il colpo di grazia. Sono dei macellai. Abbiamo lavorato tutta notte. Abbiamo finito le scorte di bende e non abbiamo più neanche maschere per l’ossigeno”. Ripiegò il capo sui fogli, prima che ci si potesse accorgere che i suoi occhi erano bagnati. Non aggiunse che conosceva i colleghi rimasti uccisi dal raid sulla clinica. Il papà di Najem era però angosciato da altri pensieri. Cinque anni prima, Aseel aveva avuto un travaglio difficile e Najem era nato con un taglio cesareo. Aseel era rimasta incinta una seconda volta, ma si era già nel pieno della guerra e aveva avuto un aborto spontaneo dopo poche settimane. Finalmente era arrivata anche questa terza gravidanza. Sarebbe stato più prudente sottoporre nuovamente Aseel a un taglio cesareo, per il bene della mamma e della bimba (nessuno in realtà sapeva il sesso del nascituro, ma Najem aveva deciso che sarebbe stata una sorellina, bella come sua zia Hiba) ma lo aveva ripetuto a voce sommessa anche l’ostetrica, prima di portare Aseel in sala parto. “Non abbiamo più chirurghi, non c’è nessuno che possa farla partorire con un cesareo. Sua moglie dovrà farcela da sola. Dobbiamo sperare che tutto vada bene, perché non abbiamo più neanche un’incubatrice che funzioni. Siamo nelle mani di Dio”. “Lo siamo tutti, sia fatta la sua volontà”.
Il primo raggio di sole del giorno attraversò la finestra dell’atrio e illuminò il viso di Najem, ancora avvolto nella coperta rossa. “Najem -lo svegliò con dolcezza il padre- vieni, ti porto a conoscere la tua sorellina”. Questo racconto è di fantasia. Le bombe sugli ospedali in East Ghouta sono reali.

Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese, Londra e Genova, oggi vive e lavora ad Alessandria, presso l’ospedale pediatrico “Cesare Arrigo”. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.

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