Diritti / Intervista
“Genocidio come cancellazione coloniale”. Il nuovo rapporto della Relatrice Albanese
Intervista alla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, che a fine ottobre ha presentato all’Assemblea generale il suo ultimo lavoro. Riguarda la distruzione della popolazione civile in atto nella Striscia di Gaza ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme. “C’è un genocidio in corso, preparato dall’impunità che è stata garantita a Israele”
Continua a ripetere che non è lei la notizia e non si lascia intimorire dagli attacchi. “Sono più gli attestati di stima”, assicura Francesca Albanese, la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, che a fine ottobre ha presentato all’Assemblea generale dell’Onu il suo ultimo rapporto intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale”. L’abbiamo intervistata.
Albanese, nel precedente rapporto affermava che vi erano elementi per parlare di atti genocidiari a Gaza. Questo rapporto ne è l’evoluzione?
FA In qualche modo è l’evoluzione del precedente, anche se non avrei mai immaginato di dover scrivere anche questo. Credevo che tutto questo si sarebbe fermato, vista anche la crescente pressione internazionale dopo l’accusa del Sudafrica a Israele di aver violato la Convenzione sul genocidio. E, invece, non solo la violenza non si è fermata, ma si è andata intensificando e allora ho continuato a documentare. Ho visto che certi atti potenzialmente criminosi venivano commessi anche se con intensità differente, in Cisgiordania e a Gerusalemme, e allora ho cominciato a unire i puntini soprattutto alla luce della giurisprudenza sul genocidio. Non mi spiego tuttavia come tutto che quello che abbiamo e sappiamo sul genocidio, non ci aiuti a prevenirlo.
A quali conclusioni è arrivata?
FA Che c’è un genocidio in corso, preparato dall’impunità che è stata garantita a Israele. E non solo a Gaza, ma in tutto il territorio palestinese occupato: in un anno, solo in Cisgiordania, sono stati uccisi un quinto di tutti i bambini palestinesi che Israele ha ucciso in 24 anni in questa parte del territorio palestinese; qui sono state uccise oltre 700 persone, una cifra dieci volte più elevata rispetto alla già alta media annuale degli ultimi anni. Israele ha violato per decenni il diritto internazionale e varie convenzioni, come quella sull’apartheid. Ha violato risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale Onu: quest’anno ha commesso crimini nei confronti delle Nazioni Unite, colpendo il 70% delle strutture dell’Unrwa (l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) a Gaza, e uccidendo oltre 200 dipendenti Onu. Come se non bastasse, ha lanciato una campagna diffamatoria nei confronti dell’Unrwa, fino a renderla illegale; ha dichiarato persone non gradite relatori indipendenti come me e persino il Segretario generale Onu António Guterres. Ha condotto vere e proprie campagne intimidatorie nei confronti dei funzionari delle Nazioni Unite ed è ormai noto che i servizi segreti israeliani abbiano minacciato alti funzionari della Corte penale internazionale. Che cos’altro si deve aspettare per considerare Israele uno Stato che non ha il diritto di voto all’interno dell’Assemblea generale, finché non cambi condotta? E soprattutto, perché Israele è al di sopra della legge?
Quando inizia il genocidio? È precedente o è una risposta al 7 ottobre?
FA Alcuni storici parlano di vari stadi del genocidio: ci sono dei precursori e l’eliminazione della presenza e dell’identità palestinese in quello che resta della Palestina storica è uno, oltre che un elemento fondamentale per la realizzazione di Israele come “Stato unico degli ebrei” dalla riva al mare (tale è il progetto del “Grande Israele”). L’odio ideologico contro i palestinesi è da tempo diventato dottrina politica. Quando si disumanizza l’altro e non lo si vede più come un essere umano, ma come una massa informe -in cui le persone non sono più adulti o bambini, musicisti, giuristi o panettieri, dottori o muratori- questa massa può essere trattata semplicemente come dei numeri, che non fanno più breccia nel cuore delle persone. Ma la disumanizzazione dell’altro non è soltanto opera di Israele: il razzismo aleggia nelle nostre società occidentali ed è evidente nei confronti dei palestinesi, sterminati a dozzine ogni giorno da 14 mesi senza che si riesca a empatizzare con loro. Questo ci dice che non abbiamo capito nulla né del passato, né del terribile presente che ci troviamo ad affrontare.
In Italia il dibattito è soprattutto sull’uso del termine genocidio.
FA C’è una cultura del diniego, una determinazione quasi ossessiva di non volere affiggere tale termine a quello che Israele sta facendo e, invece, è importante usarlo, non perché il genocidio sia più grave di altri crimini: è un crimine diverso ed è proprio la definizione che non può mancare qui, perché i palestinesi soffrono la commissione di crimini contro l’umanità e crimini di guerra da anni. Ma ora emerge chiaramente proprio l’intento di distruggerli e lo si vede attraverso la commissione di almeno tre dei cinque atti che l’articolo 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio indica appunto come costitutivi di genocidio: attraverso uccisioni, lesioni gravi dell’integrità fisica o mentale dei membri di un gruppo in quanto tale e il fatto di sottoporli deliberatamente a condizioni di vita intese a procurarne la distruzione. Quindi, basandomi sulla giurisprudenza esistente, ho proposto un approccio analitico che si impernia su una “tripla lente”: si deve guardare, cioè, alla totalità dei crimini e delle condotte commesse da Israele, contro la totalità dei palestinesi in quanto tali, nella totalità della Terra. I motivi di un attacco militare non vanno confusi con l’intento, che è la determinazione di commettere un genocidio, ormai evidente. Tanto più che l’obiettivo di una guerra è sconfiggere il nemico, non distruggere un gruppo in quanto tale: quello è appunto l’obiettivo di un genocidio. È chiaro che lo Stato e l’esercito d’Israele non stiano commettendo tanta violenza “solo” per liberare gli ostaggi, che altrimenti sarebbero stati liberati a questo punto, o per uccidere i membri di Hamas: ormai hanno eliminato tutta la leadership, perché continuare allora tanta violenza? Quando i ministri israeliani hanno cominciato a parlare di assedio assoluto, di sospensione dei viveri, del carburante e dei farmaci, si intuiva che cosa sarebbe successo e gli altri membri del governo non hanno fatto nulla per impedirlo, così come il Parlamento israeliano: c’è una palese responsabilità dello Stato.
La senatrice Liliana Segre ha ribadito che secondo lei non si tratta di genocidio, ma di crimini contro l’umanità e di guerra. Che cosa ne pensa?
FA Continuo a pensare che tanti in Italia abbiano una grandissima difficoltà a capire che cosa Israele stia facendo. Molti accettano persino l’accusa di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, accuse gravissime, ma non quella di genocidio. Come ripeto spesso, a costituire un genocidio non è l’esperienza personale, per quanto dolorosa, e nemmeno la nostra percezione di che cosa sia un genocidio, ma la legge. Quello che mi sento di dire è che questo momento è fondamentale per capire quello che molti si ostinano a non vedere. Mi preoccupa molto che si svilisca così agevolmente la forza preventiva del diritto rispetto a un crimine gravissimo del diritto penale internazionale.
Cioè?
FA I genocidi si possono prevenire quando vengono identificati sul nascere e qui, il genocidio, nonostante sia stato identificato -la Corte internazionale di giustizia ne ha riconosciuto la plausibilità nel gennaio 2024- è stato oscurato, incluso in Paesi come l’Italia. La storia dell’Olocausto avrebbe dovuto insegnarci che il genocidio comincia con la disumanizzazione dell’“altro”: è la storia di tutte e tutti noi, soprattutto di chi è erede di quei Paesi europei che hanno commesso il crimine di genocidio nei confronti degli ebrei e che si sentono responsabili di impedirne altri.
Nel suo rapporto parla anche del “Grande Israele”. Perché?
FA Perché è il contesto da cui non si può prescindere: da oltre 75 anni si rivendica un diritto esclusivo degli ebrei in Palestina, che vari governi israeliani hanno fatto di tutto per consolidare. E il genocidio è il culmine della violenza che un’opera di acquisizione della terra a danno dei suoi abitanti originari comporta, inclusa la discriminazione e la disumanizzazione dei palestinesi.
Qual è il suo bilancio di questi primi due anni e mezzo di mandato?
FA È un impegno gravoso, ma tra le poche cose che mi riconosco, c’è l’aver “liberato” certe parole e aver mostrato che il mondo non va in frantumi se si osa dire la verità, il che purtroppo pare un atto rivoluzionario. L’altra cosa che riconosco al mio mandato è la capacità di accendere la speranza nelle persone, la forza di sapere che dal proprio impegno dipende il cambiamento. La mia speranza è di contribuire a smuovere le coscienze di tanti e muoverli all’azione.
La Corte penale internazionale ha emesso i mandati di arresto per il leader di Hamas, Mohammed Deif, l’ex ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant e il primo ministro Benjamin Netanyahu. La Francia ha detto che non arresterà i leader israeliani, l’Italia è stata ambigua. Che cosa ne pensa?
FA Penso che la Francia abbia messo l’amicizia, la convenienza e l’interesse politico al di sopra del diritto internazionale: è gravissimo ed è un illecito ai sensi dello Statuto di Roma (il trattato internazionale istitutivo della Corte penale internazionale, ndr). L’Italia è stata ambigua e mi dispiace. Su queste cose bisogna essere interamente dalla parte della legalità, che impone l’obbligo di cooperare con la Corte penale internazionale e quindi la presenza di una persona inquisita dalla Corte richiede l’arresto in caso di presenza sul territorio della Repubblica. Questo impone il rispetto del diritto internazionale, che nell’ordinamento italiano è fonte di diritto, secondo la Costituzione italiana. Mi colpisce quanto in Italia si parli poco della Costituzione. Neanche i costituzionalisti sembrano ribellarsi alla distruzione costante che si fa dei principi costituzionali e questo mi fa grande tristezza.
Per parole come queste ha ricevuto minacce e l’accusa di antisemitismo. Non ha paura?
FA Per fortuna sono molti di più quelli che esprimono il loro apprezzamento e sostegno. Le organizzazioni ebraiche, che continuano a lanciare e sostenere il comunicato a mia difesa, sono ormai 50 in tutto il mondo. Io sostengo che lo Stato di Israele, in quanto membro delle Nazioni Unite, si debba conformare al diritto internazionale e che non lo possa violare impunemente. E nel momento in cui commette atti di genocidio, apartheid e continua a mantenere un’occupazione, che la Corte internazionale di giustizia ha definito illegale, deve affrontare le conseguenze. Anche in Italia ci sono ebrei che stanno facendo sentire la loro voce contro l’orrore che Israele va portando avanti nei confronti dei palestinesi, come il Laboratorio ebraico antirazzista (LƏA). Succede in tante parti del mondo e per questo ho molta fiducia e sono fiera dei rapporti forti che ho costruito con tanta società civile in vari paesi del mondo: ovunque, in prima linea, ci sono comunità ebraiche progressiste. Al tempo stesso provo grande tristezza e dolore nel vedere come reagisce larga parte di quelle italiane, la cui postura si scontra profondamente con quello che emerge dall’impegno che in questi due anni e mezzo di vicinanza a tanti ebrei, soprattutto accademici, ho compreso: che l’ebraismo è la religione dell’oppresso, naturalmente vicina alle vittime di ingiustizie, non all’oppressore. Il trauma collettivo di un popolo non può essere usato per tenere in ostaggio la giustizia.
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