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Economia / Attualità

Francesco Rutelli e il progetto miliardario di trasformare Riyad in un “museo a cielo aperto”

Una veduta di Riyad © Wikicommons

Un miliardo di dollari di investimenti per trasformare la capitale dell’Arabia Saudita nel più grande “museo a cielo aperto” del mondo, con oltre mille opere d’arte contemporanea. L’annuncio dell’italiana Proger e il ruolo dell’ex ministro dei Beni culturali. Tra porte girevoli, diritti umani e “strategie reputazionali” del regime di bin Salman

Un miliardo di dollari di investimenti per trasformare Riyad, la capitale dell’Arabia Saudita, nel più grande “museo a cielo aperto” del mondo, che ospiterà oltre mille opere d’arte contemporanea dei nomi più noti del panorama artistico mondiale.

Sono le ambizioni diffuse a marzo 2025 da Proger, gruppo italiano di ingegneria e management, a cui è stato affidato il progetto denominato “Riyad art“. Per seguirlo, l’azienda ha aperto una nuova articolazione dedicata ad arte e cultura (art & culture) la cui direzione è stata affidata a Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma, candidato a Palazzo Chigi nel 2001 per il centrosinistra e poi ministro per i Beni culturali durante il secondo Governo Prodi, di cui fu anche vice-presidente del Consiglio.

“L’Italia rinnova i valori di un patrimonio culturale meraviglioso e unico con le vibranti capacità creative e produttive contemporanee -ha dichiarato Rutelli-. Sviluppando soluzioni innovative possiamo creare modelli di riferimento globali. E costruendo un dialogo concreto con le istituzioni dei Paesi che sono e saranno nuovi protagonisti sulla scena mondiale -e che vedono nella cultura una forte risposta alle sfide che ci angustiano- possiamo contribuire alla crescita culturale, allo sviluppo sostenibile, all’inclusione sociale”.

Un progetto che si presta a diverse critiche a iniziare dalle accuse nei confronti del governo saudita e del principe ereditario e primo ministro Mohammad bin Salman Al Sa’ud di perpetrare violazioni dei diritti umani. E di utilizzare i fondi a propria disposizione in investimenti in eventi sportivi e culturali per costruire un’immagine positiva del Paese. Una strategia analoga al cosiddetto sportwashing e adottata dagli Stati del Golfo come il Qatar che ha organizzato i Mondiali di calcio nel 2022 e dalla stessa Arabia Saudita che li ospiterà nel 2034. 

Proger, come detto, offre servizi ingegneristici in diversi settori tra cui l’energia, sia nelle rinnovabili sia nei combustibili fossili, nell’edilizia, nelle infrastrutture e trasporti (ad esempio è coinvolta nel progetto dell’Autostrada Pedemontana lombarda) e nella sicurezza.

Il progetto “Riyad Art” non è il primo che vede impegnata Proger in Arabia Saudita, dove è attiva attraverso una succursale dal 2012. “Nel corso degli anni l’azienda ha lavorato al fianco delle più importanti istituzioni del Regno in progetti straordinari su tutto il territorio saudita: tra questi, la costruzione di strutture di pubblica sicurezza, centri sanitari all’avanguardia, moderni uffici e complessi residenziali, per un valore complessivo di oltre 14 miliardi di dollari”, si legge sul sito dell’azienda.

Le opere che verranno esposte nella capitale saudita, a detta di Proger, “sono esclusive e saranno patrimonio del Regno dell’Arabia Saudita”. “I lavori sono già iniziati -ha comunicato Proger ad Altreconomia-. Cinquecento opere sono state realizzate, con contributi di artisti tra i più quotati del Pianeta, come Alexander Calder o Robert Indiana”.

“Riyad art” comprende dieci progetti, tra cui la creazione del più grande parco cittadino al mondo con una superficie di 16 chilometri quadrati (pari a cinque volte il Central Park di New York) con 11 milioni di alberi e un’area “circondata da opere d’arte e giochi d’acqua”. Per la selezione delle opere l’azienda dichiara di collaborare con Civita mostre e musei (Luigi Abete è al vertice) e con “numerosi esperti d’arte d’altissima levatura”.

In particolare, oltre a Francesco Rutelli, la nuova unità di Proger dedicata a cultura e arte potrà contare sulla partecipazione di “nuove figure di grande capacità e di riconosciuta esperienza internazionale nel mondo dell’arte (da Pierluigi Sacco a Gaia Fusai)”. 

Su queste prospettive di crescita economica e culturale incombono le ombre di un regime repressivo di cui lo stesso principe ereditario sarebbe il massimo esponente e artefice. “Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha consolidato il potere politico ed economico, anche come presidente del Fondo pubblico di investimento (Pubblic invesiment found, Pif) dell’Arabia Saudita, un fondo sovrano che ha favorito e beneficiato di abusi dei diritti -ha denunciato la Ong Human rights watch (Hrw) -. Gli investimenti del Pif in eventi sportivi e di intrattenimento di alto profilo, a livello nazionale e internazionale, vengono utilizzati per sminuire l’abissale situazione dei diritti umani del Paese. I lavoratori migranti, anche nei progetti finanziati dallo stesso fondo, subiscono abusi diffusi nell’ambito del sistema di contratti lavorativi. Le autorità saudite reprimono duramente qualsiasi dissenso, anche tramite lunghe condanne o la pena di morte dopo processi iniqui per accuse legate all’espressione pacifica online”.

Secondo Hrw, il Pif non solo avrebbe beneficiato delle violazioni dei diritti umani praticate nel Paese da bin Salman ma le avrebbe anche favorite tramite le aziende controllate o in cui ha una partecipazione. Il caso più eclatante denunciato dalla Ong è quello del giornalista Jamal Khashoggi, assassinato nell’ottobre 2018 dopo il suo ingresso nell’ambasciata saudita a Istanbul. I sicari avrebbero raggiunto la capitale turca utilizzando aerei di proprietà di Sky prime aviation, una delle società trasferite al Pif proprio durante l’ascesa al potere di bin Salman. La stessa Human rights watch aveva avvertito gli investitori di una due diligence fondata proprio sui diritti umani prima di intraprendere accordi commerciali con il Fondo, esortando ad astenersi da attività che avrebbero potuto rafforzare la reputazione di enti governativi o funzionari accusati in modo credibile di gravi abusi. 

Posizioni simili sono state espresse da Reporter senza frontiere (Rsf) che accusa il regime saudita di praticare una forte censura sulla stampa e sull’attività giornalistica. “I media indipendenti sono inesistenti in Arabia Saudita e i giornalisti sauditi vivono sotto una pesante sorveglianza, anche quando sono all’estero. Il numero di giornalisti e blogger imprigionati è triplicato dal 2017”, si legge nella scheda dedicata al Paese

Accuse che non scalfiscono l’ottimismo di Proger per il progresso del Paese. “Da quando l’azienda è arrivata in Arabia Saudita, 13 anni fa, quel mondo è cambiato -ha risposto l’azienda ad Altreconomia-. Certo, molta strada è ancora da fare. Ma noi preferiamo andare avanti e accompagnare l’evoluzione, più che puntare un indice accusatore, crediamo inadeguato alla fase politica che il mondo vive oggi. La verità è questa: l’Arabia avanza e noi regrediamo nello scrivere le pagine del grande libro del progresso”. E di cui “Riyad art” rappresenterebbe la massima espressione. “Si tratta davvero del mecenatismo del 21esimo secolo in un progetto che non è enfatico definire ‘Nuovo Rinascimento’”, è la conclusione.

Che l’Arabia Saudita possa utilizzare il “Riyad Art” per accrescere il proprio prestigio internazionale è un fatto noto alla stessa dirigenza di Proger, che è consapevole anche del fatto che altri Paesi potrebbero essere interessati a percorrere una strada simile. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il 18 marzo scorso, l’amministratore delegato Marco Lombardi ha affermato che “grazie a questa esperienza abbiamo capito il potenziale del settore, che prevediamo in espansione nei prossimi anni: oltre all’Arabia Saudita anche Paesi come Cina, India, Sudafrica e Azerbaijan investiranno molto sulla cultura per aumentare il proprio status e la propria influenza geopolitica”. Non è quindi un caso, come sottolinea lo stesso articolo, che Francesco Rutelli scelto da Proger per gestire il progetto “Riyad art” sia anche fondatore e presidente del Soft power club, un think tank dedicato proprio a espandere questo tipo di “potere dolce”. 

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