Ambiente / Approfondimento
Gli impatti del fotovoltaico a terra e la pianificazione che manca
Crescono in Italia gli investimenti sulle grandi centrali realizzate in terreni liberi. Gli argini sono scarsi mentre gli impatti sull’agricoltura e sul consumo di suolo non sono irrilevanti. Il nostro viaggio dalla Puglia al Lazio
Duecento campi da calcio: è l’estensione di un nuovo impianto fotovoltaico a terra, uno dei più grandi in Italia, realizzato a Troia, in provincia di Foggia. Esteso per 1.500.000 metri quadrati, ha una potenza di 103 MW. Entrato in funzione lo scorso giugno, è stato realizzato dalla società danese European Energy che si è detta pronta a investire 800 milioni di euro nei prossimi anni in progetti simili nel Paese. Non è la sola. A maggio Intesa Sanpaolo ha comunicato di avere siglato con la canadese Canadian Solar, società operante nel settore, un finanziamento da 55 milioni di euro per realizzare 12 grandi impianti in Sicilia, Puglia e Lazio per la produzione di energia solare. Le due società sono un esempio di chi investe nel fotovoltaico, ampio settore delle energie rinnovabili in cui si osservano dalle forme di autoconsumo, come i pannelli installati sui tetti delle abitazioni, ai grandi impianti industriali con pannelli collocati a terra. Questi ultimi -secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, (Ispra, isprambiente.gov.it), che riporta i dati nel rapporto sul consumo di suolo in Italia nel 2019- tra maggio 2018 e maggio 2019 sono stati 43. Nell’elenco c’è anche il caso foggiano.
Per comprendere le dimensioni del comparto è utile riferirsi ai dati elaborati dal Gestore dei servizi energetici (Gse, gse.it), società controllata dal ministero dell’Economia che eroga gli incentivi che riguardano le energie rinnovabili. Il rapporto statistico “Solare fotovoltaico” relativo al 2019 mostra la crescita del numero e della potenza installata degli impianti fotovoltaici negli ultimi dodici anni. Si è passati da 34.805 impianti nel 2008, con una potenza installata pari a 483 MW, a 880.090 impianti nel 2019, con una potenza pari a 20.865 MW. Lo scorso anno gli impianti entrati in esercizio hanno avuto una potenza media installata di 12,9 kW. La cifra sembra minima solo in apparenza: risultato di una media tra tutti gli impianti in Italia, è il dato più alto osservato dal 2013 ed è legato principalmente all’installazione di centrali fotovoltaiche di dimensioni rilevanti.
“Nel Paese la situazione è ben rappresentata dal confronto tra Lombardia e Puglia. Secondo il Gse, a fine dicembre 2019 in Lombardia si contano 135mila impianti fotovoltaici e in Puglia ce ne sono 51mila. Ma nelle due Regioni la potenza installata è quasi la stessa”, spiega Alessandro Bonifazi, co-fondatore di Itera-Centro di ricerca per la sostenibilità e l’innovazione territoriale e assegnista di ricerca presso il Politecnico di Bari. Oltre all’attività accademica, Bonifazi ha lavorato come consulente strategico per il ministero dell’Ambiente in materia di valutazione ambientale e pianificazione territoriale. Si è occupato della crescita del fotovoltaico a terra in Puglia dove, secondo Ispra, gli impianti hanno portato a una diminuzione dei terreni agricoli, sostituiti da distese di pannelli blu.
“C’è un atteggiamento ambivalente nei confronti dei grandi impianti fotovoltaici a terra. Prevalgono posizioni timide sugli eventuali limiti” – Alessandro Bonifazi
“La principale crescita del fotovoltaico a terra si è verificata tra il 2008 e il 2012 quando erano attivi gli incentivi statali”, prosegue. Erano previsti dal “Conto energia” che nel 2005 ha introdotto un sistema di finanziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili. Sono rimasti fino al 2013, quando sono finiti i 6,7 miliardi di euro messi a disposizione. “Il crollo nei costi della realizzazione dei pannelli e delle strutture, avvenuto negli anni successivi, ha determinato condizioni favorevoli tali che oggi per un’azienda è conveniente investire nel fotovoltaico di grande taglia anche senza incentivi”, prosegue. Un esempio: ad aprile 2019 in Europa un pannello di minima qualità costava in media 20 centesimi di euro per Watt. Uno di alta qualità, invece, circa 35 centesimi. “Il punto centrale è che manca una pianificazione d’insieme che consideri gli impatti che questo nuovo trend sta avendo sull’agricoltura”, aggiunge Bonifazi. Il problema non è, quindi, il fotovoltaico in sé, ma l’assenza di argini che regolamentino l’espansione di grandi strutture in una condizione del mercato in cui, potenzialmente, potrebbero aumentare.
“Bisogna riflettere sulla fragilità dell’agricoltura e su quanto sia davvero ricostruibile il tessuto economico e sociale di comunità rurali che perdono per almeno una generazione l’uso di distese di terreni così ampie”, continua Bonifazi. “C’è ancora un atteggiamento ambivalente nei confronti dei grandi impianti fotovoltaici a terra e prevalgono posizioni timide rispetto agli eventuali limiti”. Non li ha fissati nemmeno il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima che, per il raggiungimento degli obiettivi al 2030, contempla la diffusione di grandi impianti fotovoltaici a terra. Da preferire, sì, in zone artificiali ma senza pensare ad adottare misure chiare per arginare il consumo di suolo. Il ministero dell’Economia ha provato a intervenire sul tema con il “Decreto Fer”. Emanato nel 2019, ha reintrodotto per il fotovoltaico non a terra il sistema delle aste e dei registri con cui il Gse riconosce tariffe incentivanti per tutto il periodo di vita utile di un impianto. Tra i possibili destinatari ci sono i nuovi impianti fotovoltaici da costruire in discariche chiuse e in siti che abbiano ottenuto la certificazione di avvenuta bonifica oppure in sostituzione di coperture di edifici e fabbricati rurali su cui siano stati rimossi eternit e amianto. Nella prima tornata di aste, ad autunno 2019, secondo il Gse erano pervenute 644 richieste di partecipazione di cui una minima parte ha riguardato il fotovoltaico, in secondo piano rispetto all’eolico. “Le aste per il solare fotovoltaico da realizzare in aree bonificate non hanno visto molti progetti candidarsi. Questo dovrebbe spingere a riflettere sull’intero meccanismo”, spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente (legambiente.it). Nel rapporto “Comunità Rinnovabili”, pubblicato a giugno, l’organizzazione ha presentato una panoramica delle rinnovabili in Italia evidenziandone la crescita: nel 2019 fotovoltaico ed eolico hanno soddisfatto rispettivamente il 7,6% e il 6,2% dei consumi elettrici nazionali. Un buon risultato perché ad aumentare è stato l’autoconsumo. “Un’alternativa al fotovoltaico a terra è rappresentata dall’agrofotovoltaico, l’integrazione del fotovoltaico in agricoltura, che potrebbe essere sostenuto con incentivi agli agricoltori nell’ambito della Politica agricola comune (PAC) dell’Unione europea. Servono regole per indirizzare gli impianti nei luoghi più adatti e questo potrebbe limitare il consumo di suolo”.
Quello dovuto al fotovoltaico a terra, secondo Ispra, nel 2019 è stato pari a 195 ettari. A livello regionale, oltre la Puglia, si evidenzia la Sardegna, che ha occupato 90 ettari di suolo tra i comuni di Uta e Assemini, e la Sicilia con 24 ettari consumati, di cui 20 nel Comune di Partanna in provincia di Trapani. “In Italia il consumo di suolo nel 2019 è stato di due metri quadrati al secondo, in linea con l’anno precedente”, spiega Michele Munafò, responsabile dell’area “Monitoraggio e analisi integrata uso suolo, trasformazioni territoriali e processi desertificazione” di Ispra. “Non c’è stato alcun rallentamento quando invece bisogna tendere a zero entro il 2050, come invita a fare l’Europa. Sarebbe necessaria una legge nazionale che imponga precisi limiti ma per ora ci si ferma a vincoli disomogenei decisi dalle Regioni”.
Nel Lazio si è arrivati a un intervento del Consiglio dei ministri. La Regione aveva approvato l’installazione di una centrale fotovoltaica a Pian di Vico vicino Tuscania, in provincia di Viterbo. Il ministero dei Beni culturali aveva fatto ricorso al Tar chiedendo l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata a marzo ma il tribunale amministrativo aveva dichiarato inammissibile l’istanza del Mibact. È stato il Cdm ad accogliere il ricorso presentato dal ministero. Per Oreste Rutigliano, già presidente dell’associazione per la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico Italia Nostra (italianostra.org), è “una vittoria inaspettata ma fondamentale”. Secondo Ispra nel 2019 nel Lazio il consumo di suolo dovuto a impianti a terra è stato di 42 ettari: sono state rilevate cinque nuove installazioni nel comune di Viterbo e sei a Civita Castellana. Per Adrian Moss -presidente della sezione Tuscia Viterbese di Italia Nostra- la decisione del Cdm potrebbe costituire il “segno di una presa di coscienza che il consumo di suolo e di terre agricole, e la sostituzione dell’ambiente e di paesaggi storici con strutture industriali, non sia una strategia valida”.
© riproduzione riservata