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Fact checking su Sergio Bramini, “l’imprenditore fallito per colpa dello Stato”
Attivo nel settore dei rifiuti e nella costruzione di discariche, il titolare della ICOM è diventato un caso nazionale grazie alle Iene ed è stato appena nominato “consulente” dal governo. Ma la sua vicenda imprenditoriale è più complessa. Ecco perché
Sergio Bramini è “l’imprenditore fallito nonostante 4 milioni di euro mai pagati dallo Stato e sgomberato da casa”. La definizione è quella di chi per primo ne ha raccontato la storia, “Le Iene”, nel servizio “Quando lo Stato non paga i suoi debiti” andato in onda su Italia 1 il 17 ottobre 2017. Una vicenda nazionale che ha visto schierarsi a favore di Bramini anche l’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, parlamentari del M5s e della Lega. Nemmeno un anno dopo la prima puntata, l’imprenditore brianzolo attivo nel settore dei rifiuti e nella costruzione di discariche è stato nominato “consulente” dal neo ministro al Lavoro e allo Sviluppo Economico, Luigi Di Maio. La proposta è arrivata dal giornalista e neo-senatore 5stelle, Gianluigi Paragone, per poter “raccogliere le storie come la sua e affrontarle col nuovo esecutivo”.
Ma qual è la storia di Sergio Bramini e della sua I.CO.M. Milano Srl fondata nel 1980, un'”azienda solida” secondo Le Iene, che sarebbe fallita per colpa di uno “Stato” che “se ne infischia e non paga” (Paragone) e che poi “ti porta via tutto” (Le Iene)?
A raccontarla è sempre lui, l’imprenditore di Monza. Con una differenza sostanziale rispetto al quadro tracciato dalle Iene o dai partiti che sostengono il governo: il Bramini che racconta è quello che ha firmato tutti i bilanci della I.CO.M. Milano depositati in Camera di Commercio. Capitoli ufficiali di una storia che non c’entra nulla con l’esecuzione immobiliare sulla sua abitazione e che pare molto diversa da quella andata in onda in tv e sui social network.
Occorre una premessa: come più volte ribadito anche dal tribunale di Monza, Sergio Bramini non è “fallito” personalmente, e in Camera di Commercio non risultano peraltro “protesti” a suo carico. Il fallimento in questione che pende a Milano è quello della sua società. Che non è l’unica della “galassia Bramini”. All’inizio di giugno 2018, infatti, l’imprenditore-consulente risulta ancora amministratore della Techtrade-ICOM GEIE (rifiuti), amministratore unico e socio della Waste & Energy Srl (bilancio mancante in Camera di Commercio), consigliere del Consorzio Prom. Eco. e presidente del consiglio direttivo di Biopetrol (queste ultime due sono inattive). Non solo. È anche socio con il 30% delle quote di T.D. Plast Srl (ultimo bilancio depositato è quello del 2007) e della Omnia Service (5%).
Veniamo ora all’azienda “solida” affossata dallo Stato, la ICOM Milano. “Lavoravo per il 99% per gli enti pubblici. In Sicilia per quasi 19 anni, ho lavorato anche in Campania per l’emergenza rifiuti”, ha spiegato Bramini a Le Iene. “Fatturavo circa 350mila euro al mese, 26 operai, 9 impiegati”. Poi, però, succede qualcosa. “Sergio lavora bene -ricorda il servizio televisivo-, mai un incidente, mai una contestazione, fino a quando nel 2005…”.
“Gli enti pubblici han cominciato a non pagare, o meglio mi pagavano con il contagocce, facevano piani di rientro che non rispettavano”, ricostruisce l’imprenditore. “I comuni dicevano: ‘I cittadini non pagano la tassa rifiuti, non incassiamo e quindi non riusciamo a far fronte’; eh nel frattempo io però continuavo a lavorare. I soldi non arrivavano. Io per diversi anni ho continuato a pagare l’Iva di fatture che non incassavo. Ma per cinque o sei anni, non per un giorno”. Con conseguenze drammatiche: “Non ce la facevo più -ricorda Bramini-. Ho dovuto accendere due mutui: un mutuo per 500mila euro sulla casa e un altro per 500mila sugli uffici, dovevo mandare avanti la società, pagare i dipendenti, il gasolio dei macchinari”.
Risultato? “Pur avendo più di 4 milioni di euro di crediti dallo Stato -spiegano Le Iene- è stato costretto a fallire”. Nel 2011 porta i libri in tribunale. “Colpa dell’Ato Ambiente Ragusa che gli deve 2,2 milioni di euro –ha dichiarato il 3 giugno il ministro Di Maio-. Un credito enorme che non l’ha aiutato a salvare la sua azienda”.
Stando al racconto di Bramini -ripreso dalle Iene e fatto proprio dalla maggioranza degli esponenti politici intervenuti-, l’anno decisivo per le sorti di ICOM sarebbe stato il 2005, quando cioè gli enti pubblici smettono di pagarlo mentre lui è costretto a lavorare e ad accumulare di anno in anno crediti fino a 4 milioni di euro, perdendo infine la casa. Il Tribunale di Monza ha già smentito questa ricostruzione: il pignoramento della casa deriva da un’ipoteca messa a garanzia di un mutuo a favore di ICOM datato 2001, quattro anni prima, e mai più restituito.
Il fatto è che nel 2005 è successa un’altra cosa, messa nero su bianco dallo stesso Bramini. Il fatturato aziendale è diminuito sensibilmente (da 3,6 milioni dell’anno prima a 2,7 milioni di euro) perché “verso la fine del 2004 -come si legge nel bilancio- è giunta a termine la costruzione di una discarica controllata per la Provincia di Ragusa”. Cioè il lavoro è finito. “Nello stesso periodo è avvenuta la chiusura di un impianto di trattamento rifiuti realizzato dalla società per conto del Consorzio Intercomunale CE4 e a cui il Commissariato rifiuti della Regione Campania ne ha revocato l’autorizzazione”. Motivo? “Irregolare gestione effettuata dal Consorzio della discarica collegata all’impianto”. È un problema perché in quell’impianto in Campania “revocato” per irregolarità, ICOM avrebbe dovuto fornire un composto chimico brevettato per il trattamento del rifiuto organico che avrebbe “determinato introiti pari a circa 700mila euro all’anno”. I crediti sono comunque alti: 3,4 milioni di euro soltanto verso i clienti “Italia Sud”, e cioè enti pubblici siciliani e campani. Erano 4,2 milioni di euro nel 2002. Ma la situazione, scrive Bramini nel 2005, “è tenuta costantemente sotto osservazione e nei casi di sofferenza le pratiche di recupero vengono affidate a legali”. La società chiude con una perdita di 195mila euro e il nulla osta del collegio sindacale. Che non riscontra “operazioni atipiche e/o inusuali” quando la società “Daliam Snc di Bramini Sergio & C.” rileva il 71% del capitale di ICOM. È la proprietaria dell’immobile in cui hanno sede gli uffici della società, che paga un affitto a valori di mercato.
Già allora la ICOM è indebitata però per 4,3 milioni di euro, un dettaglio che manca dalle ricostruzioni fatte in tv. Ma la prima voce non sono le banche (in particolare Banca Monte Paschi di Siena o l’Istituto San Paolo IMI) ma i fornitori. E in quello che dovrebbe essere stato l’anno della tempesta, la ICOM -che non ha 35 dipendenti ma in quel momento ne conta 13- riconosce un compenso da 161mila euro all’amministratore Sergio Bramini.
Passa un anno e le cose cambiano. Il giro di affari di ICOM parrebbe risalire grazie a una gara aggiudicata per la realizzazione di invasi di raccolta dei rifiuti a Jesolo. Le previsioni sono rosee anche per il 2007, visto l’esito positivo di una gara relativa a una discarica a Castel Volturno. I crediti restano alti a Sud (4.305.706 euro), tanto quanto i debiti verso i fornitori (2.512.568 euro) o le banche (per un totale di 5,5 milioni).
La perdita economica sfiora ancora i 200mila euro. Bramini però è ottimista. “Il passaggio dei rapporti riguardanti l’attività di gestione dai Comuni alle ATO, dovrebbe garantire una costante e regolare puntualità dei pagamenti delle tariffe di smaltimento”. I sindaci della società la pensano diversamente. Mettono a verbale una “persistente situazione di tensione finanziaria causata prevalentemente dalle difficoltà di incasso di alcuni significativi crediti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni”. E aggiungono: “Abbiamo verbalizzato più volte […] come tale situazione, di fatto, incida pesantemente sullo sviluppo delle potenzialità aziendali drenando risorse sia finanziarie sia organizzative, altrimenti riutilizzabili ed ingenerando una situazione generale di incertezza aggravata dai contenziosi in essere”. Ma se è vero che la Pubblica amministrazione dovrebbe essere sempre solvibile, questo “non deve comunque spingere ad ignorare che la società necessità di un apporto finanziario adeguato per fronteggiare l’ormai cronico e preoccupante sfasamento temporale tra incassi e pagamenti connaturato alla tipologia della propria clientela”, concludono i sindaci. È la loro ultima relazione reperibile.
In quel momento delicato spunta anche un contratto derivato “Interest rate swap” con Intesa Sanpaolo dalla durata di tre anni e valore nozionale di 700mila euro. E anche in quel caso, con l’azienda in perdita ed esposta a “generale incertezza”, all’amministratore Bramini è riconosciuto un compenso da 177mila euro.
Il 2007 è un altro anno difficile, l’utile riprende ma è ridotto ai minimi termini (9mila euro). I ricavi calano per “aspetti aleatori legati all’aggiudicazione delle gare d’appalto”. Termina il lavoro di Jesolo, prende le mosse quello di una discarica comunale di Regalbuto (Enna). La “regolare puntualità dei pagamenti a lungo auspicata” non è stata garantita dal passaggio agli ATO, scrive Bramini, che conta 4,2 milioni di euro di crediti con enti pubblici di Sicilia e Campania e debiti per 4,5 milioni.
Stando ai bilanci della società, però, l’azienda di Bramini non starebbe lavorando in perdita poiché “la raccolta rifiuti è un servizio pubblico che non si può interrompere”, come sostenuto dalle Iene. E non starebbe “pagando l’Iva di fatture che non incassavo”: dal 2005 al 2010, bilanci alla mano, l’Iva è “in sospensione”, voce “debiti”. Inoltre nel 2007 la gestione delle discariche prosegue “grazie anche al rinnovo della gestione concessa dall’ATO Ragusa ambiente Spa”. Sono le parole di Bramini.
E così ancora nel 2008 (10mila euro di utile, 15 dipendenti). “La società ha proseguito l’attività di gestione delle discariche di Vittoria e Scicli nella provincia di Ragusa grazie ai rinnovi dei servizi di conduzione e manutenzione degli impianti concessi dall’ATO Ragusa ambiente”. Non parrebbe esserci alcuna forzatura.
Fino ad arrivare al 2010, l’ultimo anno prima dei “libri in tribunale” (liquidazione volontaria e fallimento). ICOM ha “terminato l’attività” nella provincia di Ragusa perché il rinnovo dei servizi non è stato confermato. Tra ricavi e costi si registra una perdita da 1,2 milioni di euro. I dipendenti sono 12. Bramini mette a verbale che le informazioni sulla esigibilità dei crediti ricevute in passato da “precedenti legali” sarebbero “inadeguate”. Procede alla svalutazione. Si tratta in quel momento di 3,6 milioni di euro.
E se è il conto economico dell’azienda a non reggere, il compenso per l’amministratore resta comunque fissato a 159mila euro. “Sergio lavora bene, mai un incidente, mai una contestazione”, ripetono Le Iene. Sicuramente. Sta di fatto che anche nell’ultimo bilancio pubblico sono riportate due contestazioni a carico di ICOM per mancato versamento IRPEF, IVA e IRAP (oltre 200mila euro). Non è una novità visto che già in passato la società aveva già pagato a rate sanzioni risalenti addirittura al 1998.
Ma la vicenda Bramini è diventata una bandiera indiscutibile. L’imprenditore, intervistato dal Corriere della Sera il 2 giugno, sarebbe già a Roma al lavoro su “un pacchetto di norme che mi hanno detto che si chiamerà legge Bramini”. Il punto è: quale Bramini?
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