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Economia / Opinioni

Euro e Yuan: monete forti espressione di valori diversi

© REUTERS / Jason Lee

Con la Cina in crescita e sempre più autonoma, il mondo diventerà il terreno di confronto e di scontro tra la valuta del gigante e quella europea, con il dollaro relegato in secondo piano. Allora non si potrà più prescindere dall’esistenza di un’idea e di una politica europea. L’analisi di Alessandro Volpi

Il panorama economico mondiale di questa torrida estate presenta alcuni dati decisamente rilevanti che sembrano destinati ad avere importanti riflessi nei prossimi mesi. Il primo. Pare ormai evidente che l’euro sia diventato la più forte e stabile moneta del Pianeta; un primato che si consolida nonostante la permanenza di un pesante indebitamento da parte di alcuni Paesi del Vecchio Continente, nonostante le tensioni politiche fra diversi Stati membri dell’eurozona e nonostante l’esplosione del fenomeno delle migrazioni attraverso il Mediterraneo, vissute da larghe porzioni dell’opinione pubblica come un elemento di profonda insicurezza. Pur in presenza di tutti questi fattori di criticità, il rapporto della moneta europea con il dollaro è volato dall’1,06 di maggio all’1,15 di metà luglio, seguendo una tendenza che non accenna ad avere flessioni tanto da fare ipotizzare prossimi approdi ad 1,20-25. Nessuna altra moneta ha conosciuto, di recente, un rafforzamento simile se è vero che l’apprezzamento medio delle altre valute nei confronti del dollaro è stato, nello stesso periodo, del 5%. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che assume contorni quasi storici dal momento che l’euro è nato come moneta “debole” rispetto al biglietto verde ed è stato concepito per limitare rischi inflazionistici alle fin troppo deboli divise dei vari Paesi europei. Oggi, l’euro, di fatto senza una politica comune, senza una reale idea di Europa e, per molti versi, senza una cittadinanza condivisa capace di alimentare il senso di appartenenza degli europei, costituisce il simbolo economico più potente nello scenario globale; sembrano lontanissime le minacce di dissoluzione della moneta unica materializzatesi nell’estate del 2011 e proprio il “fragile” euro ha assunto, in maniera quasi paradossale, i tratti “ideologici” dell’unico bene sicuro.

Il secondo. Questa forza dell’euro dipende in buona parte dalla sempre più tangibile inconsistenza della presidenza degli Stati Uniti affidata a Donald Trump. In un contesto in cui le monete esprimono -quasi loro malgrado- la rappresentazione della fiducia e degli equilibri presenti nel Pianeta, le debolezze, le stranezze, le contraddizioni e gli errori di Trump non possono non affossare le sorti del dollaro, percepito nei termini dello strumento in balia degli eventi. La bocciatura, ad opera degli stessi repubblicani, della proposta di abolizione della riforma sanitaria di Obama, il continuo riemergere del “Russiagate”, il colloquio “informale” con Putin in pieno G20 e le infinite stravaganze del magnate divenuto presidente stanno indebolendo la posizione internazionale degli Stati Uniti che, come ha scritto il politologo Ian Bremmer, disorientano e imbarazzano in primo luogo i loro partner. Con un prezzo del petrolio molto basso, con un crescente peso delle Borse asiatiche nel rilancio dei listini mondiali e con un andamento del Pil a stelle e strisce ancora titubante, queste sortite ipotecano il destino del dollaro che potrebbe divenire ancora più incerto se le principali banche centrali del mondo decidessero di abbandonare la linea della liquidità facile, rafforzando ulteriormente le proprie monete.

L’ultimo punto. A fronte delle fragilità statunitensi, sta profilandosi una nuova ripresa cinese come testimoniano i numeri che segnano una crescita del suo Pil pari al 6,9% nel secondo trimestre del 2017, trainata da un incremento della produzione industriale di poco superiore al 7,5% e dal forte rilancio delle vendite al dettaglio, salite dell’11% su base annua. Questa ripresa ha una marcata ricaduta internazionale perché sta alimentando la politica “espansionistica” cinese fondata, tra l’altro, sulla rapida acquisizione dei più nevralgici porti mondiali; gli scali su cui punta il governo dell’ex impero celeste sono 9, di cui 4 in Malesia, 1 in Indonesia e 4 tra l’Europa e la Russia. In tal modo la Cina vuole realizzare una nuova via della Seta con il chiaro obiettivo di porre la propria economia al centro del sistema globale degli scambi e di riuscire così a condizionare in maniera profonda tutti i principali attori mondiali. È evidente, in un simile scenario, che la moneta cinese, riflesso della forza del Paese, è destinata a diventare un pivot di primo piano e le scelte della Banca del popolo, la banca centrale cinese, del tutto dipendenti dalla politica governativa, risulteranno cruciali. Quale sarà dunque il destino monetario della Cina? Prenderà corpo lo sganciamento dello yuan dal dollaro con l’acquisizione di una piena sovranità? Certo qualora la strada fosse quella dell’autonomia, il mondo diverrebbe sempre più il terreno del confronto e dello scontro tra yuan ed euro, con il dollaro relegato in secondo piano; allora davvero non si potrebbe più prescindere dall’esistenza di un’idea e di una politica europea. Non si può avere infatti una grande moneta senza una reale dimensione politica che costituirebbe il principale presidio della democrazia su scala planetaria. Se in Cina il culto della persona è tale da imporre che venga censurato persino l’innocuo Winnie the Pooh, lo yuan ha bisogno di competere con una moneta “democratica” capace di esprimere i valori e i principi delle libertà.

Università di Pisa

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