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Ambiente / Approfondimento

Troppe emissioni al fresco: l’impatto dei condizionatori e i ritardi dei colossi industriali

L’aumento delle temperature, la crescita demografica e l’urbanizzazione porteranno nel prossimo decennio a un aumento del 40% dell’utilizzo di aria condizionata e apparecchi per la conservazione di cibo e medicinali. Le strategie di efficienza energetica delle aziende, determinanti per limitare le emissioni di gas serra, sono insufficienti. Il report del Carbon disclosure project su un mercato che vale 300 miliardi di dollari

© Michu Đăng Quang - Unsplash

L’aumento delle temperature, la crescita demografica e la rapida urbanizzazione porteranno a un aumento del 40% dell’utilizzo di aria condizionata e apparecchi per la conservazione di cibo e medicinali nel prossimo decennio. Una tendenza che condurrà a un maggiore consumo di elettricità e a un aumento di emissioni di gas serra. Per questo le aziende che operano nel settore devono attuare un cambiamento radicale negli standard di efficienza dei prodotti e investire molto di più in innovazione, ricerca e sviluppo per tagliare le emissioni e rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi: mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali e possibilmente limitare l’aumento a 1,5 gradi centigradi. Sono queste le conclusioni del report pubblicato all’inizio di giugno dal Carbon disclosure project (CDP), un’organizzazione internazionale non profit che promuove maggiore trasparenza sull’impatto ambientale delle attività industriali ed economiche e guida aziende e governi verso la riduzione di emissioni di gas climalteranti.

L’analisi riguarda 18 aziende che producono condizionatori e apparecchi per la conservazione e la refrigerazione di alimenti e medicinali, che insieme rappresentano circa il 60% dei ricavi globali del settore. Gli esperti del CDP hanno valutato l’efficienza energetica dei prodotti e la trasparenza dei dati sull’impatto ambientale, l’innovazione tecnologica verso soluzioni a basse emissioni e la presenza di programmi a favore del clima all’interno delle strategie di gestione delle aziende. Trane Technologies (USA), Mitsubishi Electric (Giappone) e LG Electronics (Corea del Sud) hanno ottenuto i risultati migliori, mentre le aziende cinesi e indiane sono in fondo alla classifica.

 

Qualsiasi bene prodotto genera emissioni dirette, causate dal processo di produzione, e emissioni indirette che invece derivano da altre attività legate a quel bene, come il trasporto, lo smaltimento o l’utilizzo del prodotto. Le emissioni dei condizionatori sono per il 95% indirette e vengono proprio dall’utilizzo degli apparecchi. Il 20% di queste deriva direttamente dalle perdite di agenti refrigeranti, come gli idrofluorocarburi che hanno un alto impatto sul riscaldamento globale, e l’80% viene indirettamente dall’uso di energia per far funzionare gli apparecchi. Secondo CDP le aziende non distribuiscono ancora sul mercato i loro prodotti migliori, con un divario superiore al 50% in termini di efficienza tra le migliori tecnologie disponibili e gli standard minimi stabiliti dalla legge. 

Il mercato mondiale del settore vale oggi 300 miliardi di dollari e, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), ha già visto triplicare le emissioni di anidride carbonica (CO₂) dal 1990. L’aria condizionata è destinata a diventare il più forte stimolo alla domanda di energia elettrica degli edifici nei prossimi 30 anni. Senza importanti miglioramenti nell’efficienza dei condizionatori e dei sistemi di raffreddamento, la domanda di elettricità aumenterà fino al 60% a livello globale entro il 2030.

Il report CDP denuncia poi che le aziende non puntano abbastanza sull’innovazione e destinano una quota troppo bassa (solo il 2,2%) del fatturato netto alla ricerca e allo sviluppo. Il 35% delle innovazioni previste riguarda l’adozione di agenti refrigeranti a bassissimo impatto. Ma i sistemi di aria condizionata continuano ancora a basarsi su una tecnologia vecchia di ormai 100 anni: la refrigerazione a compressione di vapore, la stessa dei frigoriferi. Solo il 5% delle innovazioni invece sono considerate davvero trasformative e prevedono l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e sistemi di gestione intelligente dell’energia, come le smart grid che permettono di modulare la potenza e regolare la domanda di elettricità. 

Delle 18 aziende analizzate solo sei hanno fissato obiettivi di riduzione delle emissioni indirette legate all’efficienza dei condizionatori e dei refrigeratori, che derivano in particolare dal loro utilizzo. Il 22% (quattro su 18) intende invece ridurre le emissioni lungo tutta la catena di produzione entro il 2050: Hitachi e Mitsubishi Electric hanno stabilito una riduzione dell’80%, mentre Daikin Industries ed Electrolux puntano a raggiungere zero emissioni nette. Sono dodici le imprese che hanno una qualche forma di programma legato al clima; un numero alto ma che comprende per la maggior parte strategie a breve termine, meno utili a migliorare le prestazioni e a ridurre le emissioni di carbonio.

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo dopo il 2016 a livello globale. Dal 2001 si sono succeduti diciannove dei venti anni più caldi e secondo l’agenzia federale statunitense che si occupa dello studio del clima (NOAA), il 2020 si candida a finire tra i primi cinque più caldi. L’aria condizionata sarà sempre più utilizzata, soprattutto in quelle zone dove si verificherà un aumento maggiore delle temperature. La Cina ha oggi la quota maggiore di mercato con circa due terzi delle vendite per gli impianti di aria condizionata e quasi la metà per quelli di refrigerazione. Ma in India il mercato è in crescita. Nel 2018, nella penisola asiatica sono stati venduti quasi il 15% degli apparecchi per la refrigerazione e circa il 5% di impianti per l’aria condizionata a livello mondiale. Per CDP i produttori dovrebbero accelerare il passo verso una transizione a basse emissioni di gas climalteranti per farsi trovare pronti di fronte agli sforzi più intensi che i governi potrebbero adottare -per esempio regolamenti più stringenti per il settore- per rispettare appunto la “parola” di Parigi.

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