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Dopo Venezia. Quali prospettive per il movimento della decrescita

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La strada è ben segnata, scrive Paolo Cacciari, e porta verso un cambiamento che è intrinsecamente democratico. La sfida per il futuro è costruire alleanze con chi vuole una società nonviolenta, decolonizzata, smilitarizzata e decarbonizzata. “Non possiamo permetterci il pessimismo”

Duecentosessantacinque persone (il massimo consentito dalla capienza delle aule messe a disposizione dalla facoltà di Architettura dell’Università Iuav di Venezia), di tutte le età e le provenienze geografiche, impegnate per tre giorni in quattro plenarie, divise in quindici gruppi di discussione su tematiche specifiche (dall’agroecologia alle economie trasformative, dall’ecomarxismo alla democrazia della Terra, dalla cooperazione internazionale alla pace e  alla nonviolenza, dalla pedagogia alla spiritualità), ben preparati da documenti e bibliografie di base, segnalano l’esistenza di un interesse diffuso attorno al tema della decrescita.

E segnano il successo dell’incontro “Decrescita, se non ora quando?” che si è svolto a Venezia dal 7 al 9 settembre organizzato dalle due associazioni che si occupano di decrescita in Italia e dalla Rete dell’economia solidale con la locale associata Aeres. Un appuntamento cui hanno partecipato relatori Vandana Shiva, Amalia Perez Orozco, Viviana Asara, Deborah Lucchetti, Silvia Galassi, Alice dal Gobbo, Lorenzo Velotti, Carlo Modenesi,  Jean Louis Allion, Rocco Altieri, Luigi Pellizzoni, Emanuele Leonardi e, da remoto, Serge Latouche, Helena Norberg-Hodge, Timothée Parrique, Jason Hikel, Silvia Federici.

Ma per capire se l’incontro costituisca anche un passo avanti della capacità di analisi e di proposta del movimento per la decrescita, servirà ancora del tempo, necessario per far sedimentare nelle realtà associative presenti i discorsi che qui si sono sentiti.

Qualcosa però la si può già dire. Innanzitutto, la conferma che il pensiero della decrescita -quella scelta, desiderata e programmata- è scesa dal limbo delle (sole) idee (cosmovisioni) e si sta incarnando in pratiche e in politiche riconoscibili come dimostrano le riflessioni del gruppo The embodegrowth lab, tradotte in italiano dal Gruppo internazionale decrescita.

Ciò aiuta a far capire “Che cos’è la decrescita oggi”, come recita il titolo dell’ultimo libro di Kallis, Paulson, D’Alasia, Demaria (Edizioni Ambiente), presentato a Venezia. Alcuni approfondimenti, specie in materia di agroecologia, energia, salute, educazione e assetto del territorio ci dicono che la strada sarebbe già  ben segnata, solo a volerla percorrere. Ecco allora che emerge prepotentemente il nesso tra transizione ecologica e trasformazione delle relazioni sociali di potere.

La decrescita -all’opposto della recessione e dell’impoverimento- è intrinsecamente democratica (“Democrazia della Terra”), per la semplice ragione che è sinonimo di condivisione, di equo accesso ai beni comuni e di uso (responsabile e sostenibile) delle risorse naturali. Insomma, ancora una volta, è apparso evidente, che le dimensioni ecologica e sociale non sono separabili. Il capitalismo (nelle diverse forme storiche e locali) impone la sua etica totalizzante (competizione, sfruttamento, avidità e così via) e il suo “regime ecologico” (devastazione e artificializzazione dello spazio vitale tramite la bio-geoingegneria). Da qui la grande preoccupazione che la “svolta ecologica” più volte annunciata (da cinquant’anni, nei vertici Onu e nelle Conferenze sul clima) dalla Commissione europea e dai governi sia in realtà un semplice pretesto, un grimaldello, per innescare -per di più, con denaro pubblico- un nuovo ciclo di crescita dei profitti, dell’accumulazione, della produzione di beni di consumo. Oltre il semplice greenwashing, la mercificazione e la finanziarizzazione della natura.

L’incontro di Venezia ha colto anche una novità nel dibattito politico internazionale con l’emergere di un aggiornato ecosocialismo (da James O’Connor a Bellamy Foster a Jason Moore) che potrebbe facilitare l’auspicato processo di convergenza tra i movimenti sociali e quelli ambientalisti. I lavori di Jason Hickel (“Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia può salvare il Pineta”, Il Saggiatore) aprono la sfida della decrescita direttamente al cuore delle politiche economiche e monetarie.

La presenza all’incontro di Venezia di attivisti dei movimenti contadini, operai, dell’economia e del commercio solidale, assieme ai promotori della convergenza italiana della Società della cura, fanno ben sperare in possibili sviluppi. Certo, la parola decrescita suscita ancora riserve e incomprensioni in molti movimenti pure si battono per una “vita dignitosa” (buen vivir). Si tratta allora di intrecciare relazioni convergenti tra quanti sono impegnati nella costruzione di una società nonviolenta, decolonizzata, depatriarcalizzata, non specista, decarbonizzata e, prima di tutto, smilitarizzata. Il dramma della guerra, assiema quello dell’emigrazione, ha attraversato ogni tavolo di discussione. E qui, più evidenti, sono emersi i limiti e l’inadeguatezza delle risposte in atto. Ma tutte e tutti gli intervenuti sono stati concordi nel dire che non ci possiamo permettere il pessimismo.

Non sono mancate le idee su come proseguire l’incontro di Venezia, incominciando ad aprire a chiunque voglia partecipare e a rendere permanenti i quindici gruppi di discussione già avviati. Chi fosse interessato può reperire tutti i materiali, comprese le registrazioni video degli incontri, sul sito www.venezia2022.it.

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