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Biciclette vietate sui treni in Lombardia: così Trenord discrimina i più deboli

L’azienda che gestisce la mobilità ferroviaria in Lombardia ha disposto il divieto di portare bici in carrozza. “Il fenomeno dei rider metropolitani -si legge in una nota- ha raggiunto livelli numerici insostenibili”, con presunti “assalti ai treni”. Una decisione insostenibile e discriminatoria secondo il prof. Paolo Pileri, contraria allo stesso codice etico della società

Trenord, l’azienda della Regione Lombardia che gestisce la mobilità ferroviaria, ha improvvisamente vietato il trasporto delle biciclette sui treni (tranne le pieghevoli). Stiamo impazzendo per favorire le bici nel post-Covid e l’impresa ferroviaria regionale più importante d’Italia va nella direzione opposta. Il motivo dell’insostenibile decisione sarebbe Covid-19: per non so quale alchimia, le bici non garantirebbero il distanziamento.

Ma quali bici? Non tutte le bici sono uguali in Lombardia. Mi è venuto infatti da pensare che dietro l’assurda decisione ci fosse la zampata della discriminazione visto che le bici in questione sono, come confermato da un secondo comunicato, quelle dei rider. Ma non di rider a caso, ma di quelli più poveracci che coincidono, sarà un caso intendiamoci, con cittadini africani, sud americani, indiani e fasce deboli della popolazione. Sappiamo tutti che per loro è impossibile vivere nella costosa città di Milano e così si sobbarcano il viaggio bici più treno dalle periferie, rincasando spesso a tarda sera. Vietargli di portare la bici in treno significa generare dei disoccupati e creare un enorme problema sociale. Si vede che di questo non importa granché o molto meno del fastidio di averli in treno. Una regolina che sembra fatta ad personam e che discriminerà una particolare categoria, guarda caso gli extracomunitari. Ci piace che ci portino la pizza al lavoro in pausa pranzo, ma non ci va di trovarceli in treno.

Non posso pensare che chi ci governa esca da Covid-19 peggiore di come era prima. Che non riesca a pensare qualcosa di meglio che dire “giù dal treno e stop”. Pensavo che manager pubblici e politici si arrovellassero ben di più che a dire “no”. Come vedete Covid-19 non migliora proprio un fico secco. Non basta il virus per imparare una qualche lezione ed essersi scrollati di dosso il rischio di fare le peggio cose. Anzi, con Covid magari si è diventati più egoisti e discriminatori.

Ma sono convinto che non è il caso di Trenord perché loro hanno un codice etico (consultabile online) che al punto 2.7 recita “Trenord tutela e promuove il rispetto della dignità umana, che non deve essere discriminata in base ad età, sesso, orientamento sessuale, condizioni personali e sociali, razza, lingua, nazionalità, opinioni politiche e sindacali e credenze religiose. Non sono, di conseguenza, tollerati comportamenti discriminatori”. Ripetiamo: non sono tollerati comportamenti discriminatori. “Tollerati” è una parola forte. E non penso sia rivolta ai soli passeggeri, o ai soli lavoratori di Trenord, ma anche nella relazione tra Trenord e i suoi “clienti”.

E siccome quel che è accaduto a George Floyd, vergognosamente ammazzato da un ignobile poliziotto solo perché era nero, ci dimostra che il virus della discriminazione è maledetto, subdolo, più forte e radicato di Covid-19 ed è capace di presentarsi a noi con mille facce diverse e di prendere qualunque spunto per far del male, dobbiamo avere rassicurazioni che non si nasconda dietro la mascherina di una regoletta ferroviaria chirurgica, scritta per tutelare da Covid ma che rischia di discriminare nei fatti alcuni (i soliti) e far vergognare molti (spero che la gente si indigni).

Allora, per sgombrare il campo da inutili sospetti, lancio a Trenord una proposta in tre punti. Uno, ritiri subito quel divieto perché congegnato così non funziona e penalizza drasticamente una particolare categoria che, di fatto, coincide con gli extracomunitari e i più deboli e questo non onora affatto il suo codice etico e il nostro di cittadini della Costituzione italiana soprattutto. Due, se il punto uno non viene accolto, ci si ingegni in qualcosina di più per evitare quell’esclusione. Ad esempio si consenta ai rider di viaggiare fuori dalle fasce di punta mattutina e serale. Tre (da fare comunque), si attrezzino degli ampi spazi di ricovero custodito delle bici dei rider. Ma questo va fatto prima del divieto (4 giugno) che, ripeto, trovo discriminatorio e quindi in contrasto con i principi della nostra Costituzione. I punti due e tre sono un indegno salva-impresa, ma ci aiuterebbe a pensare che Trenord e chi la governa abbiano un po’ (anche se poco, altrimenti l’avrebbero pensato subito) a cuore i rider più deboli e non vogliano farsi portatori di un’ulteriore disuguaglianza.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

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