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Spesso, in questi anni, abbiamo guardato alle istituzioni europee come una garanzia rispetto agli eccessi in cui è spesso incorsa la politica italiana in materia di diritti umani. Perciò oggi può sorprendere che la Commissione europea dia il via libera – giudicandole non discriminatorie – alle misure intraprese dal governo Berlusconi in materia di immigrazione e della cosiddetta “emergenza rom” (che io preferisco chiamare “emergenza ebrei”, per richiamare un periodo storico che suscita in tutti orrore e affinché non sfugga l’aberrazione di un simile concetto).
In realtà la decisione della Commissione non deve sorprendere. Per due ragioni. La prima è che l’Europa ha smesso di essere un presidio stabile e sicuro, specie nelle sue espressioni governative (come è il caso della Commissione): Bruxelles è cioè sottoposta agli stessi gelidi venti che soffiano a Roma, Parigi e altre capitali. Da quando – fine giugno – il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta direttiva rimpatri è necessario aprire gli occhi sul ruolo degli organismi comunitari, che non riescono più a sfuggire al clima autoritario e xenofobo finora limitato ad alcuni sfortunati paesi (il nostro in testa).

Nel caso specifico – il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi – è più importante però l’altro elemento, e cioè il fatto che i provvedimenti italiani sono stati corretti in corso d’opera, dopo le prime polemiche, riguardanti in particolare i ghetti ebraici (campi rom) e il prelievo indiscriminato delle impronte digitali. Sono state ad esempio rapidamente eliminate le schede che includevano fra le voci l’indicazione della razza e della religione. Una recente sentenza mostra il peso che hanno avuto queste correzioni sul piano strettamente giuridico.

Con tutte le correzioni, e anche dopo l’avallo della Commissione, le misure del governo italiano restano tuttavia quello che sono: un passo avanti verso l’erosione del principio d’uguaglianza. Anche i censimenti dei ghetti (campi) restano quello che sono: uno strumento che sarà usato – come ha dichiarato ripetutamente il ministro Maroni – per cacciare dall’Italia “chi non ha diritto di restare” (parole sue). L’obiettivo vero è criminalizzare gli ebrei (rom e sinti), allontanare dall’Italia gli ebrei (rom) rumeni arrivati negli ultimi mesi, “ripulire” le città dalla loro sgradita presenza.

L’altra motivazione, e cioè combattere l’evasione scolastica “mandando i bambini ebrei (rom) a scuola”, è del tutto irrisoria. Se questo fosse il motivo di tanto attivismo, non si capisce perché il governo si disinteressi dei tantissimi bambini italiani – molti ma molti di più dei bambini ebrei (rom) – che non frequentano le scuole dell’obbligo.
Il censimento die ghetti ebrai (campi rom) è insomma una misura che fa parte della strategia leghista, che fomenta l’idea che esista un’emergenza criminalità e che sono gli ebrei (i rom) – da secoli tradizionale capro espiatorio in Europa, fino al tentativo di sterminio attuato dalla Germania nazista col beneplacito dell’Italia fascista – la causa principale di questa emergenza.

Allora diciamo le cose come stanno: siamo  di fronte a discriminazioni evidenti, però “legittime” e “democratiche”. Dovremmo chiederci di che cosa parliamo quando usiamo – oggi – la parola democrazia.

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