Diritti / Opinioni
Decoro, degrado e Firenze
Nel capoluogo toscano, che affitta Ponte Vecchio e considera i monumenti merce, continua l’offensiva securitaria, avviata nel 2007 con l’ordinanza contro i lavavetri. Siamo arrivati a “vietare” i piccioni _ _ _
Nel dizionario dei vocaboli politicamente tossici, cioè delle parole chiave utilizzate per giustificare scelte illiberali, a volte addirittura xenofobe e razziste, ci sono senz’altro le parole “decoro” e “degrado”. Sindaci e assessori le hanno utilizzate in questi anni per promuovere ordinanze di divieto mirate a colpire comportamenti e soprattutto specifici individui e gruppi umani giudicati fastidiosi, incompatibili con un’idea di città a misura di cittadino benestante e benpensante. Le nozioni di decoro e degrado sono servite a distinguere la “città dei ricchi” dalla “città dei poveri”.
Parliamo di un caso concreto, cioè di quanto avvenuto nella città di Firenze. È una storia di rom, di poveri, di grandi imprenditori e di piccioni. Tutto cominciò sei-sette anni fa, nel pieno della cosiddetta emergenza sicurezza, una teoria secondo la quale città e paesi d’Italia erano in preda a un’insopportabile esplosione della microcriminalità, causata da un eccessivo afflusso di cittadini stranieri. Questa teoria, col tempo, è stata smontata pezzo per pezzo, ma nel 2007 il Comune di Firenze pensò bene di emettere un’ordinanza per vietare l’attività di pulizia dei parabrezza di auto e moto ferme ai semafori. L’ordinanza contro i lavavetri colpiva nella realtà circa 30-40 persone, quasi tutte di origine rom. Ma fu un’ordinanza simbolo: per la prima volta un Comune amministrato da forze politiche di centrosinistra faceva propria la logica autoritaria da sindaco-sceriffo promossa fin lì da sindaci e partiti della destra. Tutte le critiche e le opposizioni non furono ascoltate e l’ordinanza Cioni-Domenici (assessore alla Sicurezza e sindaco del tempo) fece rapidamente scuola. A Firenze, cambiato il sindaco, l’ordinanza è stata confermata ed estesa a nuove categorie, cioè a chi si macchia di mendicità “molesta e invasiva”, praticata con fisarmoniche, mandolini e chitarre infastidendo avventori di bar e ristoranti. Punita anche la mendicità non molesta e non invasiva, se praticata nei pressi degli ospedali e agli incroci stradali. E poi è vietato “bivaccare” e mangiare al sacco vicino ai monumenti.
Già così emerge un’idea di città ben precisa: i cittadini perbene, quelli che viaggiano in auto e non gradiscono imbattersi agli incroci in lavavetri e mendicanti, e i preziosi turisti, molestati da musicisti di strada e altri irregolari, vanno protetti con la minaccia di multe e l’impegno della forza pubblica. La città non è più un luogo per tutti, ma uno spazio riservato al cittadino mediamente benestante e alle attività commerciali, da tutelare in ogni modo, allontanando tutto ciò che porta “degrado” e intacca il “decoro” borghese -schizzinoso, insapore, incolore ma capace di spesa-.
Anche i piccioni, introdotti nelle nostre città verso fine ‘800 per abbellirle, sono diventati un bersaglio. Si dice che sono troppi, che sporcano e disturbano, e vengono spesso decimati con la violenza, pur essendo una specie selvatica protetta dalla Direttiva uccelli dell’Unione europea. A Firenze nel 2008 fu proibito nutrire i piccioni in strade e piazze. E il 4 agosto 2013 ecco l’accelerata: proibito dare semi e molliche ai piccioni anche a casa propria, cioè in cortili interni e su terrazzi e davanzali. La pena è una multa fino a 500 euro. Il Comune ha anche invitato i cittadini alla delazione: chi veda un condòmino o un vicino che nutre un piccione, lo segnali alle autorità.
Chi scrive nel 2007 si oppose all’ordinanza sui lavavetri partecipando a un presidio quotidiano sotto palazzo Vecchio e a uno sciopero della fame a staffetta durati molte settimane; stavolta, senza saperlo, mi sono autodenunciato, avendo salvato a metà luglio un piccione caduto troppo presto dal nido. Paolino -questo il suo nome- una volta cresciuto e riprese le forze, all’inizio di agosto è volato via. Ora torna tutti i giorni, sicuro di trovare nella “sua” stanza una ciotola di semi. Abbiamo raccontato la storia di Paolino durante una puntata del programma radiofonico “Restiamo animali” (in onda in Toscana su Controradio), del quale sono co-autore. Ora aspetto la visita dei vigili urbani, magari imbeccati da qualche vicino di casa o ascoltatore zelante.
Resta da dire dei grandi imprenditori danarosi, quelli che in estate hanno avuto in affitto dal Comune Piazza Ognissanti (un tycoon indiano per la festa di nozze della figlia) e il Ponte Vecchio (il signor Montezemolo per una serata di gala della società Ferrari). Nella città dei ricchi gli spazi pubblici si possono affittare ai privati, perché tutto è merce, tutto è mercato.
La dignità di chi non ha niente, l’esistenza di animali selvatici urbani, la solidarietà fra specie, l’idea che lo spazio urbano debba considerare le piante e gli animali invece non valgono niente. —