Diritti / Opinioni
Decolonizzare la salute globale: se non ora, quando?
Genere e appartenenza razziale contano nel racconto sulla salute, e così le asimmetrie di potere. Covid-19 offre un’opportunità per cambiare. La rubrica di Nicoletta Dentico
La discussione di queste settimane sulla sicurezza ed efficacia del vaccino anti-Covid-19, nella competizione delle percentuali che virano sopra il 90%, e la fideistica attesa del vaccino come unica soluzione in grado di debellare la malattia, rivelano l’assoluto dominio dell’Occidente nella narrazione medica e la riduzione della scienza in ambito sanitario a tecnologia farmaceutica sempre più avanzata, ma sempre più inarrivabile per i più. Se si vuole comprendere e affrontare Covid-19, però, questo approccio non basta. Serve un bagaglio di discipline e di geografie molto più ampio. Serve una lettura più antropologica di questa pandemia, e dunque della salute globale tout court. Serve rimuovere le incrostazioni del “paradigma quantitativo” che sempre di più avvolge la scienza e la politica in ambito sanitario, per ritrovare appunto la persona, accanto alle radici profonde di questo male globale che toglie il respiro, metonimia della vita. Covid-19 è una palestra ineguagliabile, una opportunità di ripensare la salute globale senza pari. Per decolonizzarla.
Se non ora, quando? Una delle scaturigini più utili di questa pandemia, e delle sue pedagogie, riguarda l’apparente paradosso di un Nord globale avanzato e tecnologico in sofferenza, più esposto alla morbilità e mortalità del nuovo coronavirus. A dispetto delle peggiori proiezioni epidemiologiche, invece, il Sud del mondo più povero di mezzi sembra in grado di rispondere con maggiore addestramento immunitario al contagio del virus, costretto semmai ad affrontare l’incubo logistico e la violenza di lockdown annunciati con poche ore di anticipo (come in India), o la atroce morsa della fame per tutti coloro -e sono tanti- che vivono di quanto racimolano ogni giorno. C’è uno sfondo antropologico dietro la storia di ogni individuo. Lo sfondo antropologico occidentale, Covid-19 racconta, sembra mostrare la corda.
85%: l’85% delle 200 organizzazioni internazionali che si occupano di salute e politiche sanitarie, e lavorano nei Paesi a basso e medio reddito, hanno le loro sedi principali in Europa e Nord America, e due terzi degli uffici sono collocati in soli tre Paesi: Svizzera,Gran Bretagna e Stati Uniti (Fonte: Global Health 5050, 2020)
Da questa consapevolezza è scaturita nel 2020 una ricca produzione di letteratura accademica che, nella disamina retrospettiva di narrazioni retoriche fatte da occidentali sulla diffusione del virus HIV/Aids o sulla prevenzione e il controllo dell’Ebola in Africa occidentale, ha indotto alcune istituzioni universitarie -penso alla Duke University negli Stati Uniti e alla Università di Bristol in Gran Bretagna- a promuovere uno sguardo più antropologico ed etnografico sulla pandemia. Uno sguardo lungimirante quanto basta, insomma, per spacchettare le disuguaglianze razziali che alignano non solo all’interno dei sistemi sanitari nazionali, come abbiamo visto in un precedente racconto di questa rubrica, ma anche nell’impianto costitutivo e culturale di gran parte delle istituzioni multilaterali. Basta dotarsi degli strumenti per riconoscerle.
Covid-19 ha convinto anche The Lancet a ospitare una rubrica speciale dedicata alla necessità di traghettare l’universalismo occidentale dominante, oggi considerato la norma ma tutt’altro che neutrale, verso i lidi di una pluridiversità globale che rinunci del tutto a categorizzare l’altro. Parole come “salute globale” o “salute pubblica” sembrano connotare una universalità di umanità e interessi, ma è sufficiente una rapida ricerca su Google a proposito di Ebola, per toccare con mano una forma vistosa di immaginario eurocentrico alle prese con la gerarchizzazione dell’umanità, eredità di una storia nella quale siamo ancora intrappolati. Genere e appartenenza razziale contano nel racconto sulla salute, le asimmetrie di potere continuano a piagare l’architettura sanitaria globale, e non c’è vaccino che tenga.
Nicoletta Dentico è giornalista ed esperta di diritto alla salute. Già direttrice di Medici Senza Frontiere, dirige il programma di salute globale di Society for International Development
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