Economia / Opinioni
Debito, banche, privati. L’illusione di Draghi e Macron nella lettera al Financial Times
A fine 2021 i due leader hanno firmato un elogio dell’Europa di fronte alla crisi e sostenuto una generica revisione delle regole di bilancio. Resistono però il pregiudizio rispetto al legame tra debito e spesa corrente e la convinzione (sbagliata) che la spesa corrente fatta dai privati sia più efficiente di quella pubblica. Il commento di Alessandro Volpi
La lettera scritta da Emmanuel Macron e Mario Draghi, e inviata in maniera eloquente al Financial Times il 23 dicembre 2021, è un testo talmente cauto nei suoi toni e nei suoi contenuti da risultare incomprensibile. Dopo aver elogiato il comportamento dell’Europa di fronte alla crisi pandemica, dopo aver ricordato i 1.800 miliardi di euro erogati per famiglie e imprese e dopo aver celebrato i 750 miliardi del Nex Generation Eu, i due leader hanno sostenuto che servirebbe una revisione delle regole di bilancio. Fin qui tutto bene; il problema è costituito dal fatto che non si capisce che cosa ciò dovrebbe significare.
Secondo Draghi e Macron, infatti, “non c’è dubbio” che si debbano ridurre i livelli di indebitamento, ma non “possiamo aspettarci di farlo” con un aumento delle tasse, con tagli alla spesa sociale e neppure “attraverso aggiustamenti di bilancio impraticabili”. Ma allora qual è la strada da percorrere? La coppia non si esprime in merito, non chiarisce in alcun modo cosa voglia dire “politica di bilancio rafforzata” e riprende la litania, purtroppo in contraddizione con le premesse ricordate, che bisogna aumentare il debito per gli investimenti “buoni”, mantenendo sotto controllo la spesa corrente. In estrema sintesi, l’impressione che si ricava dalla lettera è quella di un flebilissimo segnale indirizzato alla comunità dei mercati finanziari e soprattutto alla Banca centrale europea per chiedere il proseguimento di una linea monetaria espansiva, continuando a fare debito e, al contempo, a condannarlo e a ritenere la spesa corrente un male assoluto mentre si mettono in campo centinaia di miliardi di spesa sociale. Sembra anche che ci sia una chiara preoccupazione per la scelta di Christine Lagarde, presidente della Bce, di ridurre l’erogazione di credito al sistema bancario.
A fine novembre 2021 i prestiti a lunga scadenza concessi dall’istituto di Francoforte e sottoscritti dalle banche dell’Eurozona rappresentavano ben oltre il 40% della crescita degli attivi dell’Euro-sistema dall’inizio della pandemia. L’ultima delle aste di tali prestiti è avvenuta a dicembre e ha spinto l’ammontare complessivo in essere a 2.339 miliardi di euro: una cifra enorme, decisamente superiore al piano di acquisti operati sempre dalla Bce, pari a 1.585 miliardi di euro, secondo il dato aggiornato al 24 dicembre scorso. La Bce ha però fatto capire che non ci saranno ulteriori prestiti nel 2022 e dunque verrà meno il tasso favorevolissimo per le banche del -1%. Il messaggio di Macron e Draghi dunque potrebbe essere stato motivato dall’esigenza di convincere Lagarde della indispensabilità di una proroga di simili prestiti per non mettere in crisi un sistema bancario su cui pesano, in termini di rendimenti, i tassi bassi e che rappresenta la linfa per la corsa dei listini di Borsa. Purtroppo ciò che manca del tutto è una visione politica che provi a dire con chiarezza quale dovrebbe essere l’Europa presente e futura; una visione che abbandoni veramente i vincoli di un passato definitivamente sepolto dalla pandemia e che sappia utilizzare strumenti nuovi, a cominciare proprio dal legame tra debito e spesa corrente, indissolubilmente connessi. Non si possono avviare investimenti, infatti, senza accompagnarli con la spesa necessaria a farli funzionare. Il rischio reale, della separazione delle due voci, è quello di favorire una gestione privata, e privatistica, delle strutture che sono state prodotte dagli investimenti, alimentando la fallace illusione che la spesa corrente fatta dai soggetti privati sia più efficiente di quella pubblica quando, in realtà, la soluzione garantita dalla spesa privata è quella di abbattere arbitrariamente i costi e la qualità dei servizi. Forse, i contenuti della lettera non sono poi così incomprensibili.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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