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Diritti / Opinioni

Da Genova alla rotta balcanica: quando lo Stato di diritto sparisce

I due fatti storici sono accomunati dalla sospensione della democrazia. E le persone diventano oggetti senza tutela. L’analisi di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 239 — Luglio/Agosto 2021
Un ragazzo pakistano durante le proteste al campo di Lipa, sorvegliate dalla polizia bosniaca © Michele Lapini e Valerio Muscella

Ciò che è impossibile dimenticare di quei giorni a Genova non è solo la violenza inaudita che colpiva persone inermi nelle strade, ma l’angosciante certezza di essere nelle mani di un potere cieco che rispondeva solo alle proprie logiche, sciolto dal rispetto delle regole e privo di un reale controllo terzo. Genova 2001 e rotta balcanica 2021: due fatti storici diversi, accomunati però dall’uguale sospensione dello Stato di diritto.

Durissima -ma parziale e breve- a Genova. Strisciante, di lunga durata e avvolta nel più completo silenzio nei Balcani e fino ai confini italiani. La strategia con la quale i migranti vengono spogliati di ogni diritto consiste, molto prima dell’uso della violenza fisica, nel sospendere l’esercizio di quelle libertà fondamentali che non sono ad appannaggio del cittadino, ma della persona in quanto tale, a prescindere da cittadinanza e status giuridico. 

La Corte costituzionale (sent. 18 luglio 1986, n. 199) ha più volte ricordato come il principio di eguaglianza tra i cittadini previsto dall’articolo 3 della Costituzione deve essere interpretato in connessione con gli articoli 2 e 10 della Carta così che il riconoscimento e la tutela dei “diritti inviolabili dell’uomo” non prevede alcuna distinzione tra cittadini e stranieri. L’accompagnamento coattivo alla frontiera (anche se di altro Paese dell’Ue) di uno straniero al quale viene impedito di esercitare il diritto di chiedere asilo in Italia è una misura che incide in modo così evidente su diritti fondamentali che tale misura dovrebbe essere sottoposta a controllo da parte dell’autorità giudiziaria. 

Anche a volere ritenere (diversamente da chi scrive) che ciò possa non essere necessario, è impensabile che neppure si preveda l’adozione di un provvedimento motivato in fatto e in diritto notificato alla persona. Provvedimento che, per quanto immediatamente esecutivo, può essere impugnato in seguito di fronte all’autorità giudiziaria. Senza quel provvedimento viene meno, infatti, anche un altro diritto fondamentale, quello alla difesa tutelato dall’articolo 24 della Costituzione. Questo scenario, incompatibile con lo Stato di diritto, non solo è accaduto nel 2020 ma, anche a riammissioni bloccate, è stato persino rivendicato. Come hanno fatto il prefetto Bontempi, direttore generale della polizia di frontiera, che ha difeso le riammissioni e ne auspica una ripresa “in futuro”, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

24 è l’articolo della Costituzione che tutela il diritto alla difesa anche per le persone migranti e che viene violato lungo la rotta balcanica dalla prassi delle riammmissioni informali

Va riconosciuto alle riammissioni informali una loro perversa genialità perché hanno consentito di ottenere tre risultati in un colpo solo: la dissoluzione di ogni procedura, lasciando il campo all’arbitrio più assoluto; l’eliminazione del diritto al ricorso, non essendoci alcun provvedimento da impugnare; l’impossibilità di attuare una ricostruzione oggettiva dei fatti occorsi alle singole vittime. Così le persone, ridotte a oggetti, vengono immesse in una catena di deportazioni da uno Stato all’altro fino a sparire oltre il confine esterno dell’Ue. In vari punti di queste deportazioni irrompe la violenza fisica sulle persone-oggetto. Ma non si tratta di una degenerazione della cui responsabilità ci possiamo liberare attribuendola ad altre polizie. Bensì è la logica conseguenza di quell’annullamento delle più basilari garanzie giuridiche attuato ovunque, a partire dall’Italia. Lo Stato di diritto, anche in Europa, rimane una costruzione sempre fragile che può essere demolita nel silenzio e il trattamento riservato agli stranieri rimane il principale strumento per verificarne lo stato di salute.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché componente del direttivo dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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