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DA COSENZA UN ATTACC…

DA COSENZA UN ATTACCO AL DISSENSO L’inchiesta della procura di Cosenza sulla rete del Sud ribelle è una delle tappe più preoccupanti nel cammino repressivo intrapreso da una parte della magistratura italiana. Si è appena conclusa l’inchiesta, con l’improvvisa comparsa…

DA COSENZA UN ATTACCO AL DISSENSO

L’inchiesta della procura di Cosenza sulla rete del Sud ribelle è una delle tappe più preoccupanti nel cammino repressivo intrapreso da una parte della magistratura italiana. Si è appena conclusa l’inchiesta, con l’improvvisa comparsa fra gli indagati del solito Luca Casarini, e la sola lettura dei capi d’imputazione fa venire i brividi: “cospirazione politica mediante associazione, attentato agli organi costituzionali dello Stato e propaganda sovversiva”. Sappiamo come è stata condotta l’inchiesta: e-mail intercettate, documenti passati al vaglio per cogliervi intenti e progetti tesi a ‘sovvertire’ il Global Forum di Napoli, il G8 di Genova, addirittura “l’ordinamento economico costituito nello Stato”, come sostenuto dai magistrati cosentini. Il tutto senza contestare reati specifici. Il concetto di ‘sovversione’ – ammesso che abbia senso un reato di questo genere – è esteso a dismisura, e il solo fatto di avere organizzato pullman, mobilitazioni, iniziative varie in occasione del G8 diventa elemento d’accusa.

I capi d’imputazione sono gravissimi per le pene previste, quanto sfuggenti sul piano pratico. Ha ragione Tom Benetollo, presidente dell’Arci, a dirsi preoccupato. ”La gravità delle accuse lascia sbigottiti”, dice Benetollo, che cita il prossimo processo a 26 manifestanti per i fatti di Genova (comincerà il 2 marzo), come un altro momento critico per il tipo di reato contestato (devastazione e saccheggio, pena minima otto anni). ”L’uccisione di Carlo Giuliani, però – fa notare Benetollo  – è stata archiviata, la Commissione d’ inchiesta non è stata insediata, coloro che decretarono, ed eseguirono, la sospensione dello stato di diritto e delle garanzie democratiche in quei giorni del 2001 sono ancora impuniti.  In questi anni non abbiamo smesso di chiedere verità e giustizia, per i fatti di quei giorni, in modo da ricucire la ferita imposta alla nostra democrazia e da ricostruire un clima di fiducia nelle istituzioni. Assistiamo invece al diffondersi di misure repressive e autoritarie e di provvedimenti di polizia. Siamo preoccupati. La chiusura degli spazi di agibilità democratica e di espressione del dissenso riguarda tutti. Tutti sono chiamati alla
loro salvaguardia”.


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