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Ambiente / Opinioni

Da Carpiano al Milan a San Donato: la politica non può ridursi ad amministrativismo

© Julian Ebert - Unsplash

Per resistere al collaudato sistema “mangia suolo”, molto potente in Lombardia ma non solo, e dar corpo finalmente a un’alternativa credibile è necessario ricostruire una solida e preparata sensibilità ecologica e politica. Senza rintanarsi nella burocrazia o nella delega a terzi. Due “aggressivi” casi milanesi insegnano, osserva Paolo Pileri

L’intervista rilasciata al direttore di Altreconomia dal sindaco e dall’assessore al Bilancio di Carpiano mi spingono a fare alcune considerazioni. In prima battuta mi par di intravedere una politica che sventola bandiera bianca, afflitta da una specie di sortilegio che la rende incapace di cogliere in quella irricevibile proposta di immenso sviluppo logistico l’opportunità per aprire un caso politico e una riflessione sul “metodo lombardo” che sta alla base del consumo di suolo e della banalizzazione della pianificazione territoriale in Lombardia.

“Facciamoci sentire” dice Bruno Latour nel suo ultimo libro. “Fate chiasso” ripeteva papa Francesco mesi fa sulla questione ambientale. Ogni lasciata è persa, potremmo semplicemente dire, visto che il successo di ogni battaglia ecologica e politica dipende in tutto e per tutto dalla nostra capacità di cogliere le occasioni fortuite (Latour, 2022).

La vicenda di Carpiano supera Carpiano stessa ed è la messa in scena di un vero e proprio “sistema” collaudato: proponente nerboruto, consulente blasonato, succulenta promessa di denari, Comune prima della variante urbanistica. Risultato: fammi trasformare i suoli. Un metodo che non si sconfigge solo se Carpiano dice “no”. Né delegando associazioni o giornalisti a occuparsene. Lo si sconfigge se lo si fa diventare un caso e una discussione politica. Personalmente non riesco ad accettare la ragione burocratico-amministrativa secondo la quale, siccome la richiesta di consumo di suolo da parte di un grosso operatore logistico non era formalmente una istanza urbanistica ma solo una “informativa”, mancavano gli elementi per aprire un dibattito politico e fare di Carpiano un caso. Lo era eccome.

Lo era per l’enormità delle aree in gioco (64,5 ettari) e per il fatto che erano nel Parco. Lo era perché avrebbe svelato il meccanismo oliatissimo che viene da anni usato da chi, in barba alle previsioni urbanistiche e forte della sua influenza e di una legge che lo favorisce, continua a “provarci” e a convincere sindaci e assessori a fare varianti per accogliere le loro “informative” di consumo di suolo (e questo starà capitando anche per i parchi solari ed eolici, sia chiaro). Se va dato merito a Carpiano di aver detto “no”, va anche detto che siccome nessuno si salva da solo, decidere di rinunciare a socializzare ciò che era loro accaduto significa implicitamente rinunciare a fare politica e finire per lasciare liberi altri (o gli stessi) cacciatori di aree ad andare a caccia indisturbati e forti di se stessi. Significa non costruire esperienza politica trasferibile ad altri. Qui la politica non ha fatto da argine al declino, ha preferito rintanarsi nel ruolo amministrativo.

Chissà quanti altri casi sono andati a segno a favore dello sviluppatore di turno. Uno clamoroso di questi giorni è quello dello stadio a San Donato Milanese, dove il Milan ha messo gli occhi su un’area verde in zona San Francesco. In quella zona il piano non prevede alcuna edificabilità di simil tipo ma chissà che il Milan, come Akno a Carpiano, non abbia messo in atto lo stesso metodo. Prima una informativa con una promessa di danari e vantaggi, magari accompagnato da qualche archistar o da qualche influencer, poi un incontro di abboccamento, poi poi poi. Con la differenza che il Comune di San Donato Milanese sta capitolando. Ma Carpiano e San Donato, con le note differenze già citate, sono in qualche misura la stessa cosa. Akno e Milan idem. Logistica e stadio anche.

Capite allora che se nel passato le decine di Carpiano vittime di quelle informative si fossero mosse sul piano politico, oggi forse avremmo uno scenario di consapevolezza e contrasto diverso. Invece il silenzio non ha aiutato nessuno. Ogni volta siamo punto daccapo. Idem il silenzio della politica dei piani alti.

Tornando al caso Carpiano, correttamente l’assessore Mantoan dice di aver informato l’allora vicesindaca metropolitana (Michela Palestra) nonché presidente del Parco agricolo Sud Milano, dicendole di aver ricevuto una informativa pesante (l’aggettivo lo aggiungo io). Ma anche in questo caso (e non sappiamo perché) non vi è stata reazione politica dai piani alti. Eppure, sarebbe stato un caso facilmente veicolabile nei media, dato il ruolo e la visibilità dei soggetti in gioco: la vicesindaca metropolitana avrebbe potuto coinvolgere il sindaco metropolitano (Giuseppe Sala) che è persona in vista a livello nazionale. L’ha fatto? L’ha fatto e hanno deciso di non procedere politicamente? Non l’ha fatto e la cosa si è fermata? Non lo sappiamo. Purtroppo, tutto questo non aiuta le persone a credere nella politica e ad andare a votare. Aiuta semmai lo sconforto delle persone e il loro allontanamento da una politica che non riesce a rappresentare le questioni ambientali così urgenti, che poi sono le questioni sociali.

Ma forse non tutto è sempre e totalmente perso. Il fatto che le cose siano emerse offre ancora l’opportunità, seppur in zona Cesarini, di allestire una contromossa, sempre se la politica lo voglia (al momento c’è un silenzio tombale). Ad esempio, sarebbe assai utile fare di conto su quanti abboccamenti del genere (anche accompagnati da blasoni universitari che a me personalmente imbarazzano e trovo sconvenienti) avvengono e per quali trasformazioni e da parte di chi e per quanti ettari. E quanti di quelli passati sono andati disastrosamente a compimento consumando suolo e quanti invece sono stati respinti. Se una analisi accurata del genere non viene fatta e non viene pubblicata e se questo “andazzo” non emerge come scandaloso sotto il profilo politico e morale, non lamentiamoci poi del consumo di suolo e della disaffezione diffusa dalla politica. Perché questa nasce proprio da comportamenti del genere dove i politici si levano la giacca da politici e si mettono quella da burocrati.

Vi è poi il nodo delle aree e della loro proprietà, questione sulla quale le risposte dei due intervistati sono state poco precise. Personalmente reputo “strano” che un operatore così vigoroso si faccia vivo e metta sul tavolo alcuni milioni di euro senza avere la disponibilità delle aree. In ogni caso, pur nel rispetto della proprietà privata, è evidente che qui occorre mettere in moto una miglior vigilanza dei passaggi di mano delle proprietà, diversamente dovremo accettare che gli operatori privati possano avere mani libere sull’accaparramento di tutte le aree che vogliono e per di più con una politica che se ne sta alla finestra a guardare senza farsi domande. Qui in realtà c’è un grosso lavoro da fare a tutela della piccola proprietà terriera, la quale non deve trovarsi nell’antipatica situazione di soccombere alle pressioni di qualsiasi piccolo o grosso operatore per qualsiasi finalità (energie rinnovabili comprese: altra pagina dolorosa sulla quale la politica è silente). Da questo punto di vista ricordo che c’è una questione morale all’orizzonte di cui la politica potrebbe occuparsi se volesse. Fingere di non vedere i pesci grandi che si mangiano i pesciolini significa accettare che i grandi operatori facciano il buono e il cattivo tempo da un lato e che dall’altro il ruolo di regia pubblica si riduca ai minimi termini. Significa, di nuovo, relegare la politica al mero ruolo gestionale.

In ultimo c’è la questione della formazione della politica alle questioni ecologiche, che poi era ciò che provavo a dire tirando in ballo il ruolo di chi siede nel comitato scientifico di Forestami. Abbiamo capito ampiamente che non basta far parte di un comitato scientifico di un progetto green o di un parco per avere una innata sensibilità ecologica e politica. Noi tutti lo speriamo ma spesso non è così o non è sufficiente (peraltro personalmente penso che sia inopportuna la presenza della politica nei comitati scientifici). Occorrono percorsi di formazione ecologica ad hoc per chi ha un ruolo in politica. Serve studiare che cos’è la natura nel suo complesso e nel suo essere ecosistema di ecosistemi. Serve ripercorrere le vite di chi le dedicate a far crescere la coscienza e la consapevolezza collettiva proprio nell’incrocio tra ecologia, ambiente e urbanistica. Antonio Cederna, Laura Conti, Alex Langer, Rachel Carson, Wendell Berry, Arne Naess, Andrè Gorz, Leonardo Borgese, Salvatore Settis, etc.. Significa divenire a propria volta oratori convinti e convincenti, subito attenti e pronti alla denuncia politica. Altrimenti, come abbiamo visto, si rischia di fare passi da gambero imbrigliando la politica in quel che ha fatto per trent’anni. Che è esattamente quel che non ci serve nel futuro. E neppure nel presente.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)


Riceviamo e pubblichiamo la rettifica del sindaco di San Donato Milanese, Francesco Squeri, del 26 luglio 2023

“In merito alle affermazioni del dott. Pileri sull’area San Francesco di San Donato, si specifica che l’area in questione dal punto di vista urbanistico non è un’area verde, ma risulta già approvato dalla passata amministrazione con Delibera di Giunta n. 81/2021 un Progetto Urbanistico e relativa convenzione per realizzare un mix funzionale a vocazione sportiva che prevede un’arena sportiva da circa 20.000 posti oltre ad altre funzioni per complessivi 108.000 metri quadrati di Superficie Lorda di Pavimento. La società A.C. Milan ha chiesto all’Amministrazione di San Donato di aprire un’interlocuzione per realizzare nella stessa area un progetto a vocazione sportiva con le stesse quantità urbanistiche già approvate, ma diversamente articolate prevedendo un’arena sportiva da circa 65.000 posti oltre altre funzioni. Quindi il Piano sul San Francesco prevede eccome una definita edificabilità e la prevede proprio del simil tipo già approvato.
Certamente uno stadio da 65.000 posti, rispetto ad una arena da 20.000 avrà un impatto viabilistico, ambientale e di sostenibilità differente e proprio per questo attendiamo di valutare i contenuti progettuali e le compensazioni ambientali e infrastrutturali per definire se tale progetto potrà essere o meno sostenibile”.

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