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Cresce la trasparenza sui beni confiscati alle mafie. Il monitoraggio dal basso funziona

Sullo sfondo un bene confiscato sull'isola di Capo Rizzuto (KR) © Common

Nel 2023 è stato ribaltato il dato: ora il 65% degli enti locali pubblica le informazioni relative agli immobili sottratti alla criminalità organizzata. Cento volontari hanno partecipato alla consueta mappatura promossa dal Gruppo Abele e da Libera. “Società civile promossa, istituzioni ancora rimandate. Serve il 100%”, spiegano i curatori

“Anche la trasparenza è un bene comune” dice Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni confiscati di Libera, l’associazione nazionale contro le mafie, a margine della presentazione della terza edizione di “RimanDati”. Il report, pubblicato a metà aprile, fa il punto sulla conoscibilità delle informazioni relative agli immobili requisiti alle associazioni mafiose. Un esito chiaroscuro.

“In totale solo il 65% degli enti locali pubblicano l’elenco: ancora troppo pochi -spiega Leonardo Ferrante, uno dei curatori del rapporto-. Però a differenza del sistema, che è ancora rimandato, quest’anno la società civile è promossa a pieni voti. Abbiamo ribaltato il dato”.

Infatti, se nel 2022 il 63% dei Comuni (in totale 681) non pubblicavano l’elenco oggi è il contrario. Ben 724 hanno fornito le informazioni -il 65%- mentre scende a poco meno del 35% coloro che continuano a non farlo. Una vittoria, quindi, per le “comunità monitoranti”: l’analisi delle informazioni promossa dal Gruppo Abele in collaborazione con il dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino, ha infatti visto la collaborazione di un centinaio di volontari e volontarie che a “colpi” di accesso civico hanno obbligato gli enti locali a dare conto della mancanza di informazioni relative al loro territorio.

“Accanto ai percorsi mirati a garantire il riutilizzo sociale, anche la conoscibilità e la piena fruibilità delle informazioni sui patrimoni confiscati sono elementi di primaria importanza”, sottolinea Giannone. Tanto che, nell’ordinamento italiano, fin dal 2011, il legislatore ha previsto all’interno del Codice Antimafia proprio l’obbligo in capo a ogni ente istituzionale di pubblicare l’elenco completo.

Il primato negativo in termini di trasparenza spetta ai Comuni del Sud Italia: 248 non pubblicano l’elenco, a fronte degli 87 al Nord e dei 51 al Centro. Tra le Regioni più virtuose -sempre tenuto conto che sui diversi territori varia il numero totale di beni confiscati- si registrano la Liguria (88%), l’Emilia-Romagna (85%), la Puglia (79%) e il Piemonte (78%). Due Regioni (Calabria e Lazio) e tre province (Crotone, Matera e Messina) non pubblicano addirittura nessun dato. Le informazioni sono relative a coloro che hanno dato un riscontro totale alle richieste di accesso civico: in totale, il 37% dei Comuni non ha proprio risposto. “Non si esclude però -si legge nel report– che questo dato non coincida interamente con l’assenza di pubblicazione. A seguito della nostra richiesta è possibile che gli enti abbiano poi adempiuto alla pubblicazione”.

Gli enti che pubblicano informazioni relative ai beni confiscati (o non lo fanno) suddivisi per Regione

Rientrano in quel 65% che pubblicano i dati solo quei Comuni che pubblicano i dati in formato tabellare. Rispetto al 2022 nel 2023 aumenta il numero di coloro che pubblicano in formato aperto (da 82 ai 238) o in pdf ricercabile (da 260 a 321 nel 2023). Resta ancora alto il dato di coloro che pubblicano con documenti scansionati. Così come le informazioni scarne indicate: nel 30% dei casi mancano le informazioni sulla metratura o sugli ettari del bene confiscato mentre non è specificata l’ubicazione per il 6% delle strutture.

Informazioni sulle modalità di pubblicazione © RimanDati

C’è poi il problema dei mancati standard relativi alle informazioni pubblicate dei beni confiscati. “Gli elenchi dei Comuni continuano a non parlare la stessa lingua -aggiunge Ferrante che è coordinatore di Common, un progetto del Gruppo Abele e di Libera contro le mafie che si occupa di prevenzione alla corruzione-. Ci dovrebbe essere un modello di raccolta dati univoco e che si possa creare un applicativo nazionale che sia il contenitore di tutte le informazioni raccolte”. L’invito dei curatori del report è rivolto all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Nella speranza che, come per i dati di pubblicazione, anche su questo aspetto “RimanDati” favorisca un ulteriore scatto in avanti degli enti territoriali. “Si conferma il valore di questa ricerca come strumento di ‘pressione’ civica sulla pubblica amministrazione -scrive nel rapporto Riccardo Christian Falcone, del settore Beni confiscati di Libera- attuato attraverso un sempre più capillare lavoro territoriale delle comunità monitoranti”.

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