Altre Economie / Opinioni
La coscienza del mondo
Nessuno può dire “prima noi”: tutti siamo tenuti a scoprire che cosa voglia dire affrontare i problemi insieme. La fraternità e la sororità etiche, dove ognuno riconosce che la sorte degli altri lo riguarda, sono lo statuto del nostro stare al mondo
La coscienza del mondo. Sta maturando con grande fatica, tra rigurgiti di nazionalismo, localismo, settarismo, neofascismo, populismo, razzismo e xenofobia. Ma essa c’è e cresce. Noi siamo responsabili del fatto che questo sviluppo abbia luogo anche in Italia. La coscienza del mondo è la certezza che siamo una sola umanità, fatta di tanti volti, storie, tradizioni, differenze relative, ma pur sempre la stessa umanità sulla terra che ci ospita. Nessuno è padrone, nessuno accoglie senza nel contempo essere a sua volta accolto per un verso o per l’altro. Nessuno può dire “prima noi”: tutti siamo tenuti a scoprire che cosa voglia dire affrontare i problemi insieme. La fraternità e la sororità etiche, dove ognuno riconosce che la sorte degli altri lo riguarda, sono lo statuto del nostro stare al mondo. Le identità particolari non hanno il diritto di spezzare l’unità della comunità umana universale. Chi lavora per un’altra economia non può scendere al di sotto di questa consapevolezza.
Ma le resistenze alla maturazione della coscienza umana collettiva aumentano. Così molte “brave persone” cedono al conformismo della logica del respingimento verso chi è diverso o più debole. Mi riferisco alla risposta che si dà ai migranti e più ampiamente ai popoli tuttora devastati da un colonialismo che non è mai finito. Mi riferisco all’attesa legge sullo ius soli che porta a superare il vincolo razziale tra sangue e cittadinanza tipico dello ius sanguinis. Mi riferisco al decreto del ministro dell’Interno che consente ai sindaci di allontanare chi crea un problema di “decoro urbano” (ossia i poveri, i mendicanti, i rom). E mi riferisco al diffuso fastidio verso le norme che tutelano l’orientamento antifascista della Repubblica.
Aumenta, alimentato dolosamente dai partiti che ci guadagnano voti, il risentimento nei confronti dei respinti dal sistema. Si diffonde la classica mentalità di destra, fatta di xenofobia, odio per il Parlamento, voglia di “legge e ordine”, obbedienza al capo carismatico, brama di prendere il potere per ridurre gli altri al silenzio. Questa miscela si alimenta di ignoranza storica, miopia etica e presunzione di essere migliori di tutti, nella falsa convinzione che la differenza tra destra e sinistra e quella tra fascismo e antifascismo siano superate. In particolare, il Movimento 5 Stelle si è distinto per lo zelo nel coltivare questo spirito di risentimento, riuscendo solo a dimostrare il precoce fallimento di una forza politica che doveva creare un’alternativa al sistema di potere consolidato nel nostro Paese e che invece oggi sembra, dopo il PD renziano, il nuovo “partito della nazione”, se con tale espressione intendiamo il partito che riunisce in sé i difetti delle correnti qualunquiste e antidemocratiche mai estinte nell’opinione pubblica italiana.
L’antropologo Arjun Appadurai ha ricordato che in India si sta rafforzando un cosmopolitismo dal basso, dove proprio i più poveri, anziché accanirsi contro chi è diverso e magari anche più povero di loro, imparano ad accogliere le differenze, ad apprezzarle, ad affrontare insieme i problemi posti dall’esclusione sociale e dal potere dominante. Egli ci ricorda che “l’obbligo di essere cosmopoliti è un’assoluta condizione di sopravvivenza della democrazia profonda” (A. Appadurai, Il futuro come fatto culturale, Raffello Cortina, p. 291), cioè di quella democrazia che è un modo di convivere lavorando all’attuazione dei diritti di tutti. Dinanzi a ogni questione che ci chiede una presa di posizione lucida, l’ampliamento dei nostri orizzonti etici e politici verso l’universalità umana e verso il valore della natura è necessario per non cadere in una regressione di civiltà che, con la democrazia, spazzerebbe via anche qualsiasi esperimento di economia alternativa. Ecco perché non c’è mondo comune senza coscienza etica e non c’è futuro senza che la cultura della democrazia si sviluppi vincendo la solita duplice tentazione di affidarsi a un capo e di sfogarsi su un capro espiatorio.
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