Ambiente / Reportage
Corpus Christi, viaggio all’inizio della sporca filiera del gas liquefatto
Gli Stati Uniti sono il primo fornitore di Gnl per l’Europa. Ma in Texas si moltiplicano le “zone di sacrificio” e il diritto alla vita e l’accesso all’acqua delle comunità razializzate confligge con gli interessi dell’industria estrattiva
Nel 2023 gli Stati Uniti si sono confermati primo fornitore di gas “naturale” liquefatto per i Paesi dell’Unione europea, con 201 milioni di metri cubi di gas esportati al giorno, ovvero il 48% dell’import di Gnl del vecchio continente. Punto di partenza di buona parte di questo gas è la costa meridionale del Texas, in particolare il golfo di Corpus Christi, dove si trovano gli impianti del principale esportatore di gas liquido statunitense: Cheniere energy. “Da qui nel 2023 sono partiti circa 424 milioni di metri cubi di gas liquefatto in 250 navi gasiere, che lo hanno esportato prevalentemente verso il mercato europeo”, ci raccontano le attiviste di una coalizione di organizzazioni che si oppongono all’espansione dell’impianto di Cheniere: Texas Campaign for the environment, Chispa Texas e Ingleside on the bay coastal watch alliance sono tra le più attive.
Siamo a Ingleside on the Bay, una frazione di poche centinaia di abitanti nella contea di Nueces. Davanti a noi c’è l’imbocco del canale di La Quinta, che permette il passaggio delle navi gasiere tra le più grandi al mondo nella baia di Corpus Christi, fino all’impianto di liquefazione del gas di Cheniere. Un impianto industriale di centinaia di ettari, tra i più imponenti del Paese, che ha già avuto l’autorizzazione per la terza fase di espansione.
Quest’ultima consiste nella costruzione di altri sette treni, che si aggiungono ai tre esistenti e nella possibilità di accogliere fino a 400 navi all’anno. “Le navi gasiere passano proprio qui, a poche decine di metri dalle abitazioni -racconta Cyndi Valdes-. Ogni giorno, dentro e fuori dal canale, questi cargo danneggiano irrimediabilmente l’ambiente marino circostante, dove fino a qualche anno fa le persone vivevano della pesca di gamberetti, granchi e crostacei, oramai quasi scomparsi”.
Con lei e le altre attiviste attraversiamo la baia su delle piccole imbarcazioni, in un susseguirsi di impianti per l’esportazione del gas e del petrolio estratto quasi esclusivamente con la tecnica del fracking nel bacino permiano e nella Eagle Ford Shale Bend. Tutte infrastrutture realizzate dopo il 2015, quando gli Stati Uniti hanno iniziato a esportare combustibili fossili venduti sul mercato globale. Il gas liquefatto a Corpus Christi arriva fino ai terminal di Snam di Livorno e Piombino, in nome di una paventata “sicurezza energetica” di cui le comunità più povere pagano il costo.
Il piano di espansione del gas liquido intreccia una serie di questioni ambientali e sociali che sono radicate nella storia coloniale e di razzismo sistemico di questo lato del mondo. Le comunità che vengono espulse per fare posto ai nuovi impianti industriali sono composte da persone nere e latino originarie, tra le più povere e con meno strumenti per difendere la comunità intesa anche come territorio di appartenenza e l’accesso ai servizi di base come ad esempio l’acqua.La costruzione dei grandi impianti di raffinazione e liquefazione del gas e del petrolio, unito all’esacerbarsi dei cambiamenti climatici ha generato una situazione di scarsità idrica che oramai da diversi anni ha costretto la città di Corpus Christi, 317mila abitanti, a mettere in atto un piano di razionamento dell’acqua che riguarda tutte le fasce della popolazione, ma colpisce in maniera più importante i gruppi più indigenti.
“Sapete quanto pago di acqua al mese? Quasi cento dollari”, dice Mona mentre ci accompagna in un vero e proprio “toxic tour” del suo quartiere, Hillcrest. “Mentre l’industria paga l’acqua a 1,95 dollari al gallone, le famiglie la comprano a cinque dollari”, continua Mona. Hillcrest è uno dei pochi quartieri di Corpus Christi in cui durante la segregazione potevano vivere le comunità nere, passato poi gradualmente a “zona di sacrificio” dell’industria pesante. Proprio qui, negli ultimi dieci anni, il piano dell’autorità portuale ha indirizzato la costruzione di grandi infrastrutture e la conseguente espulsione delle famiglie con offerte al ribasso o espropri. Oggi a Hillcrest vivono solo un centinaio di persone, esposte all’inquinamento dell’industria e minacciate da due nuove grandi opere: un impianto di desalinizzazione e uno di ammoniaca “verde”, necessarie tra le altre cose anche per l’espansione degli impianti di liquefazione del gas di Cheniere energy. A Corpus Christi si parla di circa 94.600 litri d’acqua (25mila galloni, ndr) che vengono ceduti quotidianamente alle industrie, secondo il nuovo codice municipale. Che prevede allo stesso tempo, in caso di siccità, la riduzione nell’accesso all’acqua per le famiglie, con la definizione di soglie che non tengono conto del numero dei componenti di ciascun nucleo.
È di metà aprile la notizia che Corpus Christi potrebbe applicare il terzo livello di restrizioni nell’uso dell’acqua entro la fine dell’estate. Questi limiti valgono in teoria sia per le famiglie sia per le attività commerciali e industriali, tuttavia organizzazioni per la giustizia sociale come Chispa Texas segnalano che spesso e volentieri l’industria si appella a eccezioni di ogni tipo, mentre le famiglie più numerose, specie nelle comunità razializzate come Hillcrest, si ritrovano a pagare bollette molto più care per avere superato il tetto dei consumi. “È ingiusto che siano le famiglie a pagare il prezzo della crisi idrica, mentre lo spreco più significativo è permettere all’industria un uso indiscriminato di acqua”, afferma Blanca. Secondo le attiviste, l’80% dei consumi complessivi di acqua nella città di Corpus Christi è imputabile all’industria, mentre solo il rimanente 20% alle famiglie. “Abbiamo presentato una denuncia contro la città davanti al governo federale, per discriminazione ambientale e ingiustizia ai danni del quartiere di Hillcrest”, ci racconta la pastora della comunità Claudia Maria Rush.
Ora sono in fase autorizzativa due nuovi grandi impianti per la produzione di ammoniaca, uno proprio nel quartiere di Hillcrest, dove l’autorità portuale vuole costruire anche un impianto di desalinizzazione. Il costo previsto di quest’ultimo è di 1,7 miliardi di dollari. Ma sarebbe solo l’inizio: il piano di sviluppo industriale complessivo prevede la costruzione di cinque impianti di desalinizzazione e sei per la produzione di ammoniaca nel territorio di Corpus Christi. Rush spiega che le comunità nere e latino, insieme, sono riuscite a forzare la mano sull’amministrazione della città e sull’autorità portuale, chiedendo delle valutazioni indipendenti per spiegare il progetto dei desalinizzatori e facendo emergere che si tratta di impianti destinati all’industria, i cui costi ricadrebbero però sugli abitanti. “È una questione razziale e di giustizia sociale -continua la pastora-, e l’abbiamo portata davanti agli investitori per fermare il progetto. Se blocchiamo il primo, fermeremo anche gli altri e tutto il piano di espansione dell’industria”. Insomma, Davide contro Golia in una lotta per la giustizia sociale in cui l’attacco finale viene proprio dall’industria del gas. Se l’acqua serve al raffreddamento nei processi industriali, l’ammoniaca è utilizzata per decarbonizzare un settore tra i più climalteranti.
Lo vediamo anche nella zona di Midland, dove questo gas viene estratto nel bacino permiano texano. Oltre all’inquinamento derivato dalle emissioni tossiche di anidride solforosa, mercaptani, e altre componenti del gas che viene emesso direttamente o bruciato in torcia (il cosiddetto flaring, ndr), è impressionante il livello di inquinamento delle falde acquifere di questa regione al centro del boom del fracking.
Ramon dell’organizzazione Texas permian future generations ci accompagna appena fuori dal paese di Imperial a vedere il più grande dei circa trenta “laghi tossici” dove le acque e le sostanze iniettate nel sottosuolo per la fratturazione idraulica delle rocce di scisto sono riemerse, percorrendo anche decine di miglia sottoterra e attraversando la falda delle acque salate, e hanno creato dei veri e propri laghi. “Siamo di fronte a un disastro ecologico senza precedenti”, denuncia Ramon. Qui dove l’estrazione di petrolio è iniziata da decenni, sono migliaia i pozzi esauriti ma non chiusi che si intersecano al dedalo dei pozzi nuovi, che attraversano il sottosuolo in orizzontale. Le risorse idriche sono a totale disposizione dell’industria fossile, ma l’accesso all’acqua è un problema reale soprattutto per le comunità più povere, senza acqua potabile in casa, mentre a pochi passi le aziende dell’Oil&gas fatturano miliardi.
Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it- per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco
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