Economia / Approfondimento
Facebook: ecco il comma “salva haters”
Nonostante gli annunci, il social network continua rifiutarsi di rispondere della condotta dei suoi utenti -che gli hanno garantito ricavi pubblicitari per 17,4 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2017- e declina ogni responsabilità anche nel caso di un proprio inadempimento. Una clausola che l’Antitrust ha definito “vessatoria” e che contribuisce a inquinare il dibattito online
I diffamatori che popolano e arricchiscono Facebook e che spesso conquistano l’attenzione e lo sdegno degli osservatori per i loro post o commenti, sono in realtà tutelati da un “comma” della stessa “Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità” (https://www.facebook.com/legal/terms) del social network di Mark Zuckerberg, aggiornata l’ultima volta il 30 gennaio 2015.
Si tratta del terzo comma dell’articolo 15, “Controversie”. “CI IMPEGNIAMO A MANTENERE FACEBOOK ATTIVO, ESENTE DA ERRORI E SICURO, MA L’UTENTE ACCETTA DI UTILIZZARLO A SUO RISCHIO E PERICOLO -si legge-. […] FACEBOOK NON È RESPONSABILE DELLE AZIONI, DEI CONTENUTI, DELLE INFORMAZIONI O DEI DATI DI TERZI, PERTANTO NOI, I NOSTRI DIRETTORI, FUNZIONARI, DIPENDENTI E AGENTI SIAMO SOLLEVATI DA QUALSIASI RECLAMO O DANNO, NOTO O SCONOSCIUTO, DERIVANTE DA O RELATIVO A EVENTUALI LAMENTELE INDIRIZZATE CONTRO DETTI TERZI”.
La parte più interessante arriva dopo: “NON POSSIAMO ESSERE RITENUTI RESPONSABILI DI MANCATI GUADAGNI O DI ALTRI DANNI CONSEQUENZIALI, SPECIALI, INDIRETTI O ACCIDENTALI DERIVANTI DA O RELATIVI ALLA PRESENTE DICHIARAZIONE O A FACEBOOK, ANCHE NEL CASO IN CUI FOSSIMO STATI AVVISATI DELL’EVENTUALITÀ DEL VERIFICARSI DI TALI DANNI”. L’indennizzo rischia di essere misero: “LA NOSTRA RESPONSABILITÀ DERIVANTE DALLA PRESENTE DICHIARAZIONE O DA FACEBOOK NON SUPERERÀ L’AMMONTARE DI CENTO DOLLARI (100 $) O L’IMPORTO PAGATO DALL’UTENTE NEGLI ULTIMI DODICI MESI. LA LEGGE APPLICABILE POTREBBE NON CONSENTIRE LA LIMITAZIONE O L’ESCLUSIONE DI RESPONSABILITÀ O DANNI CONSEQUENZIALI O ACCIDENTALI, PERTANTO LE LIMITAZIONI O ESCLUSIONI SOPRACITATE POTREBBERO NON ESSERE APPLICABILI. IN TAL CASO, LA RESPONSABILITÀ DI FACEBOOK SARÀ LIMITATA AL LIMITE MASSIMO CONSENTITO DALLE LEGGI APPLICABILI”.
Tradotto: Facebook si rifiuta di rispondere della condotta dei suoi utenti e declina ogni responsabilità anche nel caso in cui questa derivi da un proprio inadempimento (la mancata o tardiva rimozione di un commento o di un contenuto, ad esempio). E questo passaggio è una sorta di assicurazione sulla vita degli “haters”, rasserenati dal fatto che la piattaforma che li ospita -non potendo esserne chiamata a rispondere- non si rifarà mai sui responsabili di comportamenti da codice penale. Saranno semmai affari tra i singoli e la Polizia postale, se mai questa riuscisse a recuperarne le generalità. Questo è il circolo vizioso che ha garantito ad oggi sia i diffamatori sia i bilanci della multinazionale. Lo certificano i conti presentati dal colosso ai propri investitori, relativi al secondo trimestre 2017. Nei primi sei mesi di quest’anno, Facebook Inc. ha registrato ricavi per 17,3 miliardi di dollari.
Il 98% deriva dalla pubblicità. Senza gli utenti-prodotto, di qualunque tipo, temperamento o condotta, la macchina è destinata a perdere carburante. Tanto che nelle slide riassuntive dei suoi “Risultati” è indicato il valore medio di ogni singolo utente: in Europa, nel 2017, ogni user varrà, secondo stime tratte dai bilanci, 23,4 dollari.
Chi ha provato a rompere questo circolo, in Italia, è stata l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM). In primavera si è occupata proprio dei “Termini di Utilizzo” (https://www.whatsapp.com/legal/#terms-of-service) di WhatsApp Messenger, adottati da WhatsApp Inc., di proprietà del gruppo Facebook.
In tema di “responsabilità” si ritorna anche qui al maiuscolo. E le parole sono identiche alla “Dichiarazione” della capogruppo, compreso il tetto dei 100 dollari dell’indennizzo: “LE PARTI DI WHATSAPP -si legge- NON SARANNO RESPONSABILI NEI CONFRONTI DELL’UTENTE PER LUCRO CESSANTE O DANNI CONSEQUENZIALI, SPECIALI, PUNITIVI, INDIRETTI O ACCIDENTALI RELATIVI A, DERIVANTI DA O LEGATI AI NOSTRI TERMINI, A NOI O AI NOSTRI SERVIZI, ANCHE NEL CASO IN CUI LE PARTI DI WHATSAPP FOSSERO STATE AVVISATE DELL’EVENTUALITÀ DEL VERIFICARSI DI TALI DANNI”. Indennizzo? “LA NOSTRA RESPONSABILITÀ COMPLESSIVA RELATIVA A, DERIVANTE DA O LEGATA AI NOSTRI TERMINI, A NOI O AI NOSTRI SERVIZI, NON ECCEDERÀ L’AMMONTARE PIÙ ELEVATO TRA CENTO DOLLARI (100 US $) O L’IMPORTO CHE L’UTENTE CI HA PAGATO NEGLI ULTIMI DODICI MESI”.
Nel provvedimento dell’11 maggio 2017, l’Antitrust era stata chiarissima: quelle clausole, sovrapponibili a quelle adottate da Facebook, erano (e sono rimaste) vessatorie perché “prevedono esclusioni e limitazioni di responsabilità” considerate “molto ampie e assolutamente generiche”. Comprese le “clausole di salvaguardia” a seconda delle diverse giurisdizioni, anch’esse “generiche” e fonte di incertezza. L’utente è “impossibilitato a far valere ogni suo diritti contrattuale” mentre WhatsApp (o Facebook) si auto-assolve anche qualora “sia a conoscenza dell’eventualità del verificarsi del danno […] e abbia la possibilità di attivarsi in via preventiva per evitarlo”.
L’approccio dell’AGCM non era stato affatto ingenuo. “È evidente che ai fini dell’equilibrio tra gli interessi delle parti, il Professionista (WhatsApp, ndr) non debba rispondere per i danni cagionati dalle azioni od omissioni che dipendono dalla condotta di terzi e/o che sfuggono alla propria sfera di controllo -aveva chiarito- ma è necessario prevedere, nel contratto, diversi gradi di responsabilità del Professionista in funzione delle diverse tipologie di eventi che possono verificarsi a danno del consumatore, distinguendo tra quelli riconducibili alla Parte e quelli ad essa non riconducibili”.
WhatsApp avrebbe dovuto pubblicare sul suo sito e poi notificare a tutti gli utenti italiani il testo del provvedimento firmato dall’Antitrust entro il primo giugno 2017. Non solo non l’ha mai fatto ma ha addirittura reso noto di voler “effettuare un ricorso per l’annullamento di quel provvedimento unitamente ad un’istanza per la sospensiva dello stesso”. L’Antitrust ha annunciato sanzioni. La partita è aperta. Il destino degli “haters” -e della civiltà della Rete- passa (anche) da qui.
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