Diritti / Approfondimento
Come è lontana la parità di genere per le donne con disabilità
In Italia nelle principali associazioni per i diritti delle persone con disabilità le donne non ricoprono ancora ruoli apicali. Manca una prospettiva che definisca politiche per la maternità e piani contro le discriminazioni e la violenza. C’è chi prova a cambiare
Dopo nove anni nel consiglio drettivo, lo scorso settembre Anita Pallara, 31enne, è stata eletta presidente di “Famiglie SMA”: “Sono coinvolta nella vita dell’associazione da quando ero molto giovane -racconta-. Poi, quando avevo 21 anni, la presidente Daniela Lauro, ha iniziato a coinvolgermi sempre più nelle attività e nei progetti: mi ha letteralmente cresciuta. E questo mi ha spinto a continuare e a impegnarmi nel mondo associativo”. Anita Pallara ha la SMA -una malattia genetica rara- ed è una delle 17 donne che oggi guidano un’associazione impegnata nella rappresentanza e nella tutela dei diritti delle persone con disabilità. Il dato emerge da una ricerca condotta da Altreconomia (tra agosto e ottobre 2020) attraverso il censimento dei componenti dei consigli direttivi di 58 associazioni, scelte tra le più rappresentative a livello nazionale e regionale.
Obiettivo: fotografare il “peso” della componente femminile all’interno degli organismi dirigenziali. Complessivamente le donne che ricoprono il ruolo di consigliere, segretario, tesoriere, vicepresidente o presidente nelle 58 associazioni che abbiamo preso in esame sono 193 (pari al 37,8% del totale) mentre gli uomini sono 318 (62,2%). Come già evidenziato, le donne presidente sono 17 mentre gli uomini che ricoprono il ruolo apicale all’interno delle associazioni sono 41. Le vicepresidenti sono 30 (gli omologhi di sesso maschile sono invece 40). Il rapporto tra i sessi si inverte solo quando si prende in considerazione il ruolo del tesoriere: in questo caso le donne sono più numerose (17 contro dieci).
Anche per le donne con disabilità è difficile sfondare il soffitto di cristallo. Le motivazioni di questa situazione sono (in parte) simili a quelle che frenano la componente femminile nell’assumere ruoli apicali nella politica o nelle imprese, come la difficoltà a conciliare il lavoro e la cura della famiglia con l’impegno all’interno del mondo associativo. Silvia Cutrera, vicepresidente FISH-Federazione italiana per il superamento dell’handicap (fishonlus.it), punta il dito su un altro elemento: “I tempi e i modi di fare politica all’interno delle associazioni riproducono ancora le caratteristiche dei modelli patriarcali. I meccanismi maschili di potere che determinano i ruoli direttivi escludono il modo di relazionarsi tipico delle donne, basato sulla capacità di mediazione”.
“I meccanismi maschili di potere che determinano i ruoli direttivi escludono il modo di relazionarsi delle donne, basato sulla capacità di mediazione” – Silvia Cutrera
C’è poi un ulteriore elemento, legato alle difficoltà specifiche che le persone con disabilità incontrano nel costruirsi una vita indipendente. “La stragrande maggioranza delle donne con disabilità deve fare i conti con retaggi culturali del passato. Le famiglie, ad esempio, spesso tendono a essere troppo protettive. Sicuramente i genitori sono convinti di agire a fin di bene ma in questo modo scoraggiano le ragazze, in modo particolare le più giovani, nell’impegnarsi in prima persona”, aggiunge Francesca Arcadu, 45 anni, coordinatrice del “Gruppo Donne” dell’Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare (UILDM).
Ci sono però realtà in cui la presenza femminile è più forte e la loro azione lascia un segno su azioni e politiche. A partire dall’esperienza del “Gruppo donne” della UILDM, nato nel 1998 proprio per portare all’interno dell’associazione una prospettiva di genere e che nel corso di questi 20 anni ha “contaminato” l’associazione anche attraverso la pubblicazione di studi e ricerche su maternità e gravidanza, vita sessuale e violenza di genere. Toccando anche temi più “leggeri” (ma non per questo meno necessari al benessere femminile) con un’apposita dispensa dedicata al trucco, all’estetica e alla cura di sé intitolata “Trucco e parrucco”.
Oggi il direttivo nazionale UILDM è composto in egual misura da uomini e donne. “L’associazione è molto attenta alle tematiche di genere, come quelle legate alla maternità -spiega Francesca Arcadu-. Negli anni Novanta per una donna con distrofia muscolare era impensabile avere un figlio: oggi non è più così. Sono sempre più numerose le donne che hanno una disabilità come la mia e che sono diventate mamme, per questo motivo UILDM ha dovuto occuparsi anche di temi come congedi familiari per le neo-mamme, di conciliazione tra vita familiare e lavoro. Questo è solo un esempio di cosa succede quando, all’interno di un’associazione, è presente una prospettiva di genere. Inoltre nella nostra associazione ci sono tante giovani presidenti di sezione attive sul territorio”.
“La vita sessuale e sentimentale delle donne con disabilità è ancora un tema inesplorato -aggiunge Anita Pallara, presidente di ‘Famiglie SMA’-. È difficile che questi temi vengano declinati al femminile perché si pensa che siano solo gli uomini ad avere desideri e bisogni sessuali ma non è così. Inoltre spesso manca una presa in carico a 360 gradi per le donne con disabilità che vogliono diventare madri: per questo stiamo lavorando a progetti specifici sulla maternità per le donne affette da SMA. Ma vorrei mettere in campo un progetto rivolto alle adolescenti sull’accettazione di sé e il rapporto con il proprio corpo”.
Agire per dare una risposta alle esigenze specifiche delle donne con disabilità e contrastare le discriminazioni multiple rappresenta una sfida urgente cui la FISH -la più importante federazione di associazioni di persone con disabilità attiva in Italia- ha dedicato un’attenzione crescente nel corso degli ultimi due anni. Durante il congresso del maggio 2018 è stata approvata una mozione con cui la federazione si è impegnata a “considerare rilevante la prospettiva di genere nell’elaborazione di qualsiasi proposta o emendamento o progetto”. Dando così applicazione a quanto previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009.
“La Convenzione Onu ha il grande merito di aver riconosciuto per la prima volta la specificità delle donne con disabilità e i loro diritti. Per questo chiede che in ogni azione, legge o programma relativo alla disabilità venga presa in considerazione la questione di genere”, spiega Luisella Bosisio Fazzi, membro del board dell’European disablility forum, organizzazione ombrello che riunisce le associazioni di persone con disabilità a livello europeo (edf-feph.org) e che da mesi sta promuovendo un’intensa attività di lobby affinché la Ue inserisca i diritti delle donne con disabilità all’interno dell’Agenda europea dei diritti delle persone con disabilità 2021-2030.
A seguito dell’approvazione della mozione a giugno 2020 è nato il “Gruppo donne” di FISH: “Alla prima riunione eravamo una quarantina, da tutta Italia. Una delle prime questioni emerse è stata quella dell’accessibilità dei servizi dedicati alla salute sessuale e riproduttiva, come i consultori e gli studi ginecologici -sottolinea Silvia Cutrera, vicepresidente FISH-. Si è poi parlato molto del tema della violenza, che per le donne con disabilità rappresenta una vera e propria emergenza, perché hanno più probabilità di subirla rispetto alle donne senza disabilità”. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il 31,5% delle donne con disabilità ha subito una violenza fisica o sessuale. Mentre in caso di stupro o tentato stupro, la percentuale arriva al 10% tra le donne con disabilità (4,7% tra le donne senza disabilità).
Proprio per fronteggiare questa emergenza, a metà novembre FISH ha diffuso il kit informativo “La multidiscriminazione delle donne con disabilità” rivolto a donne con disabilità, famiglie, associazioni, operatrici e operatori del settore. Inoltre ha avviato il corso di formazione a distanza “La violenza nei confronti delle donne con disabilità” per la formazione di operatrici e operatori della rete antiviolenza, assistenti sociali e altri professionisti dei servizi pubblici e privati, ma anche leader associativi oltre che donne e uomini con disabilità. “Il lavoro da fare è ancora tanto, ma ci sono alcuni positivi segni di cambiamento, anche al di fuori del mondo associativo -conclude Silvia Cutrera-. In rete ci sono diverse giovani donne con disabilità molto competenti che usano Internet e i social per far sentire la propria voce e sensibilizzare sui diritti e sulle battaglie di tutte noi”.
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