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Finanza / Opinioni

Comanda BlackRock, con o senza il dollaro. La lettera di Larry Fink agli investitori

Laurence D. Fink, detto Larry, amministratore delegato di BlackRock © World Economic Forum / Thibaut Bouvier

L’amministratore delegato del più grande gestore di risparmio al mondo -con quasi 12mila miliardi di dollari di attivi- paventa una possibile “dedollarizzazione” dell’economia globale legata alle attuali condizioni statunitensi, a partire dall’enorme debito federale. Ventilando anche l’ipotesi che una valuta digitale privata possa diventare il nuovo strumento di riserva. Perché lo ha fatto, quali effetti ha sulle ricette di Trump e che cosa c’entra il piano di riarmo europeo. L’analisi di Alessandro Volpi

Larry Fink, l’amministratore delegato di BlackRock, il più grande gestore di risparmio al mondo con quasi 12mila miliardi di dollari di attivi, ha inviato la sua “lettera” agli investitori in cui ha espresso un’ipotesi pesantissima per gli Stati Uniti.

Ha dichiarato infatti che le attuali condizioni americane, a partire dall’enorme debito federale, mettono a repentaglio la tenuta del dollaro come valuta di riserva internazionale. In altre parole, il più grande fondo mondiale, con sede negli Stati Uniti, che possiede circa il 10% dell’intero listino S&P, ed è dunque legatissimo alla tenuta del dollaro, sostiene che il dollaro potrebbe perdere quella condizione in grado di garantire non solo la sopravvivenza del gigantesco debito federale Usa, ma direi dell’intera economia statunitense.

Fink, tuttavia, non si ferma qui perché aggiunge che il ruolo del dollaro potrebbe essere svolto, nel prossimo futuro, non da un’altra valuta, come l’euro o lo yuan, quanto dai Bitcoin, cioè da una “moneta” privata. Si tratta di una dichiarazione davvero esplosiva sia perché per la prima volta un soggetto così decisivo del mercato finanziario mette in discussione il dollaro e quindi il primato Usa, sia perché ventila la prospettiva di una valuta digitale come strumento di riserva globale, fornendo un’indicazione ben precisa agli investitori mondiali destinata a trascinare i prezzi degli stessi Bitcoin.

Al di là del rilievo assoluto di una simile dichiarazione, mi sembra indispensabile provare a capire che cosa possa averla motivata. Ci sono almeno tre ragioni che possano avere indotto Fink ad assumere questa posizione.

La prima. Il capo di BlackRock ha inteso mandare un segnale molto diretto a Donald Trump, di cui i grandi fondi non condividono le posizioni economiche e soprattutto i legami con una finanza “alternativa” rispetto al monopolio delle Big Three e rappresentata da figure come Musk e Thiel. La nomina di Atkins alla Sec, di Bessent al Tesoro, di Lutnick al Commercio e la decisione di affidare ai dazi la prerogativa di reggere la tenuta del dollaro senza ricorrere alla politica dei tassi alti della Fed di Powell non piacciono certo a Fink e soci per cui i tassi alti sono la duplice garanzia di evitare la concorrenza di altri soggetti finanziari e del rendimento dei titoli del Tesoro americano.

Minacciare una “dedollarizzazione” è dunque un siluro ad alta carica diretto al nuovo presidente.

La seconda ragione ha a che fare con l’Europa. Il Piano di riarmo, attraverso ReArm Europe e Readiness 2030, il bazooka tedesco del governo Merz, l’azione della Banca europea degli investimenti orientata ancora verso il settore del riarmo, la prospettiva di un mercato unico dei capitali hanno convinto BlackRock e gli altri grandi fondi americani che in Europa sia possibile una vera e propria bolla finanziaria, decisamente remunerativa, generata appunto dalla spesa pubblica in direzione del settore degli armamenti. In questo senso, le Big Three hanno trovato nell’applicazione del “Piano Draghi” -non a caso elogiato da Fink- una destinazione dei propri attivi in grado di sostituire la bolla tecnologica ormai davvero troppo gonfiata.

In estrema sintesi, la politica del riarmo europeo ha fornito ai grandi fondi americani la strada per minacciare Trump, provando a spaventarlo, e, al contempo, per evitare gli effetti di una crisi finanziaria, determinata dall’ipertrofia dello S&P, di cui proprio i grandi fondi pagherebbero le conseguenze.

La terza ragione si lega ai Bitcoin e, ancora una volta, è espressione dello scontro interno al capitalismo americano. Larry Fink indicando nei Bitcoin la possibile valuta di riserva internazionale vuole renderli estremamente appetibili e dunque creare su questa appetibilità una miriade di strumenti finanziari, in primis gli Etf, in grado di garantire ottimi risultati alle Big Three che con i Bitcoin intendono spazzare via tutto l’universo delle criptovalute legate all’élite finanziaria trumpiana.

“Impossessandosi” dei Bitcoin attraverso la produzione di Etf BlackRock vuole cancellare un pezzo importante del sostegno finanziario a Trump. Una cosa pare evidente: chi comanda e quanto le posizioni della Commissione europea favoriscano tale potere.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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