Diritti
Città figlie della partecipazione
A Ravenna un laboratorio per decidere che cosa fare della Darsena; a Venezia si discute della destinazione del Forte Marghera
L’“urbanistica partecipata” non è un’idea utopica, e da qualche anno si studio anche all’università. È nella prassi, però, che le differenze si leggono davvero: quando un’amministrazione coinvolge i cittadini nei processi decisionali degli uffici tecnici comunali, può nascere però un’“altra città”.
A Ravenna hanno realizzato un laboratorio di partecipazione per decidere che cosa fare della “Darsena di città”, un’area di 136 ettari a ridosso del centro storico. Già porto industriale lungo il canale Candiano, oggi è un’area dismessa in attesa di riqualificazione, la cui proprietà è -per il 98%- in mano a 47 soggetti privati, “da piccoli proprietari ravennati a grandi gruppi come Eni”.
Andrea Caccìa lavora per il “Villaggio globale”, una cooperativa sociale che gestisce la bottega di commercio equo in città e ha ideato, progettato e condotto -per conto dell’amministrazione comunale- il percorso di progettazione partecipata “La Darsena che vorrei”: “Dagli anni Ottanta in avanti, dopo che le industrie hanno chiuso o si sono spostate altrove, sull’area si sono susseguiti piani diversi. Del Comune, della Confindustria locale, oppure promossi da consorzi di attori privati. C’è stato un grosso dibattito, che però non ha prodotto alcun cambiamento”. Il percorso di partecipazione, avviato nell’agosto del 2011, ha visto un comitato promotore di 7 associazioni che hanno incontrato una sponda nell’amministrazione comunale. Il processo partecipativo era, infatti, già nel programma di Fabrizio Matteucci, il sindaco eletto nella primavera del 2011.
“Siamo i facilitatori -spiega Andrea-: abbiamo concordato con gli uffici tecnici del Comune le modalità per coinvolgere la cittadinanza in un processo che portasse a ‘studiare’ l’area, e in seguito apportare proposte. Del gruppo di lavoro fanno parte anche gli assessorati all’Urbanistica, alla Partecipazione e l’Agenda 21 locale”.
Prima di partire, sono stati definiti alcuni limiti: “Le proprietà private non potevano essere espropriate, perché il Comune non ne aveva i mezzi; inoltre, la Darsena e il canale d’acqua che divide in due l’area sono fortemente inquinati, e questo comporta oneri extra -racconta Andrea-: bisognerà, perciò, recuperare le risorse per bonificare acqua e terreni, come auspicano tutti i partecipanti al processo. Infine, ci sono zone demaniali”.
L’avvio formale del percorso è stato il 7 settembre del 2011, con un’iniziativa pubblica di presentazione, cui hanno partecipato tra le 400 e le 500 persone convocate sia pubblicamente che privatamente, con lettere ad associazioni, operatori culturali e altri stakeholder. “Attualmente sono 420-430 gli iscritti al sito www.ladarsenachevorrei.comune.ra.it” spiega Andrea.
Sono un migliaio, invece, le persone che hanno partecipato alle attività dei focus group -ovvero alle interviste di gruppo su uno o più temi specifici- e all’Open Space Technology (Ost). Questo modello, prescelto per la progettazione partecipata, prevede una giornata di lavori senza alcun programma né relatori né tavoli di presidenza, una specie di brain storming collettivo per dare voce a tutti coloro che decidono di intervenire. Con l’aiuto di “facilitatori”, il risultato diventa un libro che a fine giornata viene consegnato a tutti i partecipanti. La prima fase del processo si è conclusa il 17 dicembre, ed è riassunta in un volume che è scaricabile dal sito. “I tecnici comunali hanno in eredità questo documento. Il Piano operativo comunale, che è in discussione, verrà redatto anche tenendo conto di tutte le proposte emerse. Poi ci saranno i passaggi classici. Prima di consegnarlo in consiglio comunale, però, ad aprile 2012 i tecnici di incontrano nuovamente con i cittadini, per spiegare quali saranno le prime riflessioni”.
Intanto, i lavori inizieranno dagli spazi demaniali: verranno messi i lampioni, realizzate alcune strade, e soprattutto fatte sparire le recinzioni, “perché l’area è sempre stata recintata -spiega Andrea-: da questo siamo partiti, dall’esigenza di una ri-appropriazione dell’area da parte della cittadinanza. Abbiamo voglia di farla conoscere. Per questo abbiamo organizzato passeggiate con gli anziani, alcuni dei quali, magari, avevano lavorato proprio lì. È il recupero della memoria dell’area”.
“Costruire il meno possibile è senz’altro una delle indicazioni emerse dalla progettazione partecipata” conclude Andrea Caccìa: i tecnici del Comune devono decidere anche gli indici di edificabilità. La parola agli uffici.
Centocinquanta chilometri più a Nord, la “regola della partecipazione” non ha funzionato per il Comune di Venezia. Un gruppo di cittadini, così, ha costituito un “Gruppo di lavoro per Forte Marghera”, per coinvolgerne molti altri in merito al futuro del forte, 34 ettari di terra, acqua e canali all’incrocio di alcune via principali tra Mestre e Venezia. Da quando il Demanio lo ha ceduto al Comune di Venezia, tra cittadini e istituzioni va avanti un dibattito serrato. In realtà, è stato il Comune a convocare -nel luglio del 2001- il laboratorio “Idee per Forte Marghera”, promosso da Marco Polo System, un “gruppo europeo d’interesse economico” (Geie) attraverso il quale l’ente gestisce la struttura. “Al laboratorio hanno partecipato circa 200 persone -racconta Stefano Giorgetti, architetto, oggi membro del ‘Gruppo di lavoro per Forte Marghera’. Questo tipo d’iniziative ha bisogno di un’organizzazione ferrea, ma in realtà non era chiaro con quali obiettivi Marco Polo System l’avesse convocato. Il percorso è diventato man mano più vuoto. Non c’era, ad esempio, un facilitatore. E tutto muore ad agosto. A quel punto era chiaro che l’obiettivo del ‘Laboratorio’ era arrivare a ‘scegliere’ un progetto di valorizzazione dell’area già definito altrove”.
Prevale il “realismo economico”: “Dicono che il problema di Forte Marghera è che sta crollando a pezzi, e che il Comune non ha i soldi per fare niente. In realtà -commenta Stefano-, ha altre priorità di bilancio. Bisogna capire come metterlo a posto, ed è evidente che ci serve un grande investitore: per questo il Comune sta pensando ad un bando”.
Bando che, secondo il “Gruppo di lavoro per Forte Marghera”, non può essere calato dall’alto: “Ci siamo ritrovati, in dieci, ai primi di agosto. Abbiamo avanzato la proposta di realizzare una vera progettazione partecipata, ma è stata bocciata da Marco Polo System, che non ha più convocato il laboratorio ‘Idee per Forte Marghera’”.
Il “Gruppo di lavoro per Forte Marghera” è cresciuto, e oggi conta una quarantina di persone, stabili. “A quel punto il nostro obiettivo è stato quello di allargare sempre di più il gruppo -racconta Stefano-. Abbiamo promosso incontri pubblici, i giovedì sera; abbiamo coinvolto le scuole superiori, le abbiamo invitate a realizzare attività nel Forte. Con gli studenti abbiamo parlato di orti urbani, di guerrilla gardening. Parallelamente -continua-, siamo entrati in contatto con il master in ‘Azione locale partecipata’ dell’Istituto universitario di architettura di Venezia (Iuav). Sei studenti hanno scelto il tema della progettazione partecipata di Forte Marghera per il loro tirocinio. Nessun finanziamento, però: “Per scelta, abbiamo deciso di autofinanziarci” spiega Stefano.
Il 5 febbraio 2012 si è svolta la giornata di progettazione partecipata. Al Liceo-ginnasio
“Raimondo Franchetti” c’erano 300 persone. Il risultato sono le “Linee guida partecipate e condivise per il futuro di Forte Marghera”. In copertina, un marchio: “Che Forte, decido anch’io”. A metà marzo 2012 è stato presentato pubblicamente: l’auditorium del PalaPlip di Mestre era pieno. “L’unica certezza è che il ‘Gruppo di lavoro’ verrà convocato dalla commissione incaricata di elaborare il bando di gara. Ma non credo che questo verrà costruito in modo partecipato, con un percorso dal basso”. —